Grande circuito o carnevale teatrale? La mia prima volta ad Avignon

Avignon Off
Avignon Off
photo: avignonleoff.com

Decido di partire solo. Scelta radicale, scelta preferita. L’imperativo è quello di spalancare occhi e orecchie, registrare alla meglio suoni, colori, odori e sapori raccolti insieme a definire, una volta di più, che cosa sia il teatro, perché ancora se ne senta il bisogno. Non che abbia bisogno di una risposta al perché sia stato disposto a prendere la macchina e guidare per oltre mille chilometri. Quella ce l’ho già ed è chiara. Piuttosto si tratta della curiosità di capire se sia possibile o no rispondere per tutti, vedere se, immergendosi fino al collo in questa atmosfera, divenga percettibile una motivazione comune.

Ad Avignon, mi dicono, durante il festival “sembra carnevale”. Ed è vero. Un carnevale in piena regola: lo dicono i colori e il tono delle voci, squillante sopra i tetti del borgo medievale, lo conferma un codice di comportamento che è proprio solo delle grandi feste. Viene permessa e incoraggiata una condotta oltremodo bizzarra, soprattutto una condotta libera, che tenta di annullare se stessa. Sappiamo che c’è il “Festival Ufficiel”, quello giunto alla 63esima edizione, con biglietterie ufficiali, programmi ufficiali stampati su cartoncino e grandi nomi (ufficiali anche quelli) riuniti a raccontarsi l’un l’altro dove stia di casa il grande circuito dello spettacolo dal vivo. E sappiamo che, contemporaneamente, un nutrito esercito di volenterosi e agguerriti “topi da palcoscenico” si muove, brulica, invade, componendo le file del festival off.
Tutto sommato è quest’ultimo ad averla vinta nel cuore dei visitatori. Un po’ perché, fermo restando l’imbarazzo dell’essere chiamati in causa – oltretutto in una lingua straniera – piace a tutti essere assaliti per le vie del borgo da centinaia di teatranti che ti invitano al loro spettacolo. E un po’ perché se una cosa del “grande circuito dello spettacolo dal vivo” l’abbiamo imparata, è proprio che non si sappia mai davvero dove stia di casa. In altre parole, la fila al botteghino ufficiale per accaparrarmi un biglietto valido per la creazione 2009 di Jan Fabre me la sono fatta volentieri ma, curiosamente, come qualcosa di dovuto.

Fatto questo, però, per l’intera giornata mi trascino dietro le 360 pagine in A4 che compongono il programma del festival fff. Ben 105 teatri (una cifra impressionante vista l’esigua superficie della città vecchia) che mettono in cartellone, in tre settimane, una media approssimativa di 10 spettacoli giornalieri, aprendo i battenti alle 10 e chiudendoli a mezzanotte.
Faccio due conti e capisco di avere tra le mani qualcosa come quasi 1000 spettacoli tra cui scegliere in poche manciate d’ore di permanenza e, purtroppo, con il portafogli mezzo vuoto. Intendiamoci, i prezzi oscillano tra i 7 e i 14 euro per i possessori di Carte Off (abbonamento a 13euro che vale uno sconto di circa il 30% sul biglietto), niente quindi a che vedere con i 27 euro dell’intero di Jan Fabre. Ma deve chiamarsi “grande circuito” anche per questo.

Affogato nel mio programma mi spingo fino alla piazza dove siede, imponente nella sua pietra centenaria (quest’anno sono tre secoli dall’arrivo dei pontefici) il Palais des Papes, dove un centinaio di Santi Padri si è dato il cambio nelle “smanie per la villeggiatura”. Pochi minuti dopo, sfogliando l’enorme programma e sentendo fresca di stampa nella tasca la Carte Off, mi rendo conto che la scelta è davvero troppo ampia, che non avrò modo che di vedere cinque o sei spettacoli, dieci se va bene, prima di puntare nuovamente i fari della mia auto verso l’Italia. Smarrito, sconsolato, mi rassegno a una severa selezione. So che quando darò un’altra occhiata al programma, una volta tornato a casa, mi maledirò per non aver notato questo o quello. Ma è un rischio inevitabile.
Nel frattempo no so che scegliere: quasi tutte e 900 le compagnie ospiti dell’off riescono ad avvicinarmi per ricoprirmi di flyer e voucher sconto, dandomi appuntamento a questa o quella sera. Io non rispondo che: “merci, merci beaucoup, oui merci”; mi gioco tutti i sorrisi e un minuto dopo non sono più sicuro di cosa vedere. Allora ecco la soluzione: partendo dalla constatazione del mio povero francese e assumendo come giustificazione la scelta troppo variegata, decido che sarà sufficientemente corretto prediligere spettacoli muti o quasi muti, comunque qualcosa in cui il testo non sarà il punto di forza.

La falce del mio criterio si abbatte sul programma lasciando in piedi una selezione (comunque più che copiosa) di spettacoli di danza, teatro-danza e, delizia delle delizie, teatro di figura.
Mi alzo dalla scala di pietra e, mentre intorno una giostra di saltimbanchi, musicisti e giocolieri vortica alla spinta del vento, muovo verso il corso con una rinnovata consapevolezza: amerò di questo festival proprio il carattere buffonesco.
Guardo correre per le strade e gridare gli stessi artisti che tra poco daranno luce e suono al buio e al silenzio della sala teatrale, li osservo condurre quella condotta-non-condotta e ripenso alle riflessioni sul Festival Ufficiel e sul Festival Off. Domani mi vedrò Jan Fabre, ma ci arriverò fresco di questo spirito di festa. Il carnevale nasceva proprio così: per pochi giorni di festa veniva data ai poveri e ai buffoni, ai “vinti”, la possibilità di schernire i padroni, di mostrar ad essi e ai cittadini come fosse fatta la metà folle della società, offrendo una prova di come sarebbe un mondo alla rovescia, in cui i padroni vengono presi in giro e i matti si fanno re.

E allora è così che mi piacerà guardare a questa grande festa del teatro “off”, come a un carnevale dell’espressione scenica, un’ora d’aria lunga tre settimane concessa a chi, almeno per adesso, il “grande circuito” non lo vede neppure da lontano.
Nonostante l’enorme affluenza, l’offerta è talmente vasta che mi capiterà di certo di sedere in platee semivuote, di essere uno dei pochi ad aver scelto proprio quello spettacolo di quella compagnia in quel teatrino in rue de la Croix. E sarà emozionante, mi sentirò speciale. Vivrò questo carnevale da buffone e non da padrone. Mi immaginerò questo piccolo mondo ribaltato e vedrò trionfare un sistema pieno di talenti che purtroppo, chiusi i battenti del festival, tornerà a spronfondare lì, negli antri del teatro “underground”.

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