Torna, dopo il periodo di confinamento che tutti abbiamo conosciuto, uno dei festival ‘ai confini dell’Impero’ fautori del nuovo teatro italiano degli anni ‘90 – dal quale hanno spiccato debutti del calibro di Ascanio Celestini e Roberto Latini – ed oggi ripristinato, da tre anni, nell’ottica della costruzione di un dialogo fra generazioni, grazie all’affiancamento di un bando per giovani autori a quattro gruppi storici pronti a tornare in scena, che portano con sé anche lavori di altri artisti più giovani, da loro segnalati.
Il flusso continuo della sperimentazione e della ricerca teatrale è insomma pronto a travolgere i molti spazi della città di Rovigo coinvolti nella XVI edizione del Festival Opera Prima.
Gli ambiti disciplinari implicati sono i più diversi, e le convinzioni di base che muovono il ritorno del festival in un tempo come questo ci ricordano che, proprio dalla periferia centrifuga, il teatro di prosa e di parola può incontrare una novità reale, e non soltanto in termini di nuovi linguaggi.
Se già prima la creazione di simili agglomerati teatrali quali i festival era un atto complesso, oggi in era Covid il tutto diviene ancora più complicato, ma tanto più necessario, al di là delle costanti limitazioni ai nostri modi di incontrarci.
E proprio sulla base di questa sentita necessità di un teatro-in-presenza, ma anche proprio di un teatro-presenza in questo momento così peculiare, le giornate coperte dal festival si espandono rispetto agli anni scorsi: si va infatti dal 6 al 13 settembre, iniziando la mattina di domenica con cinque eventi attraverso la storia e la città grazie al progetto OPUS 1 sviluppato in collaborazione con il Festival Rovigo Cello City.
Da lunedì 7 fino alla domenica di chiusura si potrà invece fare esperienza dell’installazione “Terzo Tempo” sviluppata da Momec alla Gran Guardia, mentre da martedì 8 il teatro inizierà a riempire le vie e le case della città grazie all’idea di Massimo Munaro, coordinatore artistico del festival: “Una sola moltitudine” è infatti il progetto che porta un singolo attore direttamente a casa dello spettatore per lasciare un piccolo atto poetico, un lascito che nel modo di accadere faccia riflettere sui mesi passati del lockdown.
Con martedì 8 si passa poi ad un reading poetico prossimo all’eredità di William Blake grazie alla voce di Giuliano Scabia, accoppiato a quello di Marco Munaro, presentato col titolo “Ruggine e oro”.
Da qui si giunge presto alle attività teatrali vere e proprie, che vengono inaugurate mercoledì 9 dalle 18 alle 21 presso il Teatro Studio dall’ultimo lavoro dei padroni di casa – il Teatro del Lemming presenta “Metamorfosi, di forme mutate” -, per poi espandersi da giovedì a domenica con quattro lavori al giorno presentati dalle 18 alle 22.
Giovedì 10 alle 18 sarà la volta de”I miei fragili amici”, l’indagine di Valentina Dal Mas sulla sottigliezza dell’incontro con gli amici, accoppiata poi a “LOOP”, uno studio intorno al mito di Sisifo condotto da Livello 4.
Si procede poi con la compagnia Abbondanza/Bertoni che presenta alle 20,15 al Teatro Studio “HYENAS”, un ballo in maschera di minotauri contemporanei, e concludendo infine la giornata al Chiostro degli Olivetani con “Sarajevo, mon amour” di Farmacia Zoo:è, una storia di resistenza che è il lascito teatrale di un viaggio compiuto davvero dagli attori e scrittori del pezzo, che rivangano assieme i 1425 giorni d’assedio vissuti dalla città del titolo a metà degli anni ‘90.
Ci si rivede il venerdì alle 18,30 ai Giardini due Torri per “Alla Sorgente” di Domenico Castaldo/Labprem, un ritorno al tragico che non mancherà di indagare nuovi rapporti possibili con gli spettatori. Alle 21, al Teatro Studio, va invece in scena l’ultimo lavoro di Cantiere Artaud, “L’eco della falena”, una ricerca sul tempo come memoria e ricordo, dal problema del trauma al tema dell’infanzia.
Sabato 12, ad ingresso gratuito, un laboratorio di danza africana dalle 17 alle 18 ai Giardini Due Torri e poi alle 20,15 il “Caligola” del Teatro del Carretto, liberamente ispirato al capolavoro di Albert Camus, non così spesso disponibile sulle nostre scene italiane. Segue, alle 22, di Angelo Campolo, “Stay hungry“, il racconto dal punto di vista del teatro di un’Italia schizofrenica che deve fare i conti con la fame di vita dei migranti, con i quali l’autore ha lavorato fattivamente in progetti di ricerca teatrale.
Il programma di questa edizione si conclude con l’ultima ricca giornata di festival, inaugurata in mattinata dal laboratorio gratuito di teatro-danza a cura di Thierry Parmentier, che lavorerà sul problema del mantenimento delle distanze interpersonali in ambito scenico, e che continua poi con Fabio Liberti e il suo nuovo lavoro “We are present” alle 18 in piazza Annonaria, un evento di coreografia istantanea basato sugli stimoli provenienti dal pubblico che presenzierà all’evento. Ancora, alle 20.15, CRiB presenta “U*”, un lavoro sulle indeterminatezze derivanti dai oggi molto sentiti gender troubles.
Il tutto si chiuderà, infine, con un concerto conclusivo alle 22 ai Giardini Due Torri messo in atto dalla sinergia tra classico e indie delle note di Federico Albanese.