Filax Anghelos, un manicomio asettico per Sarti e Loizzi

Photo: Laila Pozzo
Photo: Laila Pozzo

L’attenzione rivolta al mondo dei manicomi negli ultimi anni ha prodotto opere di grande bellezza e profondità. Forse anche per questo motivo non è facile scegliere quest’ambientazione riuscendo originali.

Renato Sarti porta sul palco del Filodrammatici di Milano un testo con alcuni aspetti interessanti. L’intuizione più efficace sta nell’ipertrofia verbale, nella costruzione di dialoghi ricchi di aggettivi e digressioni, che restituiscono a livello linguistico le tante nevrosi del soggetto narrante.
La trama di “Filax Anghelos” (protagonista Massimiliano Loizzi) risulta però un cliché: in quello che si scoprirà essere un manicomio, vive un individuo dalla doppia personalità. La prima parte della pièce è dedicata ad Angela/Anghelos, polarità femminile che racconta la propria esistenza fatta di stenti, fino al momento in cui si macchia di infanticidio.
Dopo il crimine, racconta di essere stata reclusa in un ospedale psichiatrico, finché non progetta un attentato contro le figure più importanti dello Stato, “ispirata” da un’illuminazione divina.

L’intervallo permette il cambio di personaggio e Loizzi apre il secondo tempo nei panni di Filax, figura dal ruolo poco chiaro, il cui principale intento è demistificare il racconto di Angela.
Nel finale, dopo una lite tra i due personaggi resa con supporto audio, viene palesata la comune identità: Loizzi rientra sul palco vestito per metà da Angela e per metà da Filax. Con una maschera posticcia che allude alla fisionomia identificativa di Filax legata sulla nuca, inizia una sorta di monologo alternato tra le due figure che, ritrovata una sintesi unitaria, conoscono la morte.

Lo spettacolo, più che contenere un messaggio puntuale, vuole restituire il senso di rovina e il disagio che la guerra ha lasciato nelle generazioni del secondo Novecento. Ma gli accenti posti a sorreggere questo sottile equilibrio drammaturgico arrivano poco, forse perché non supportati da una recitazione pluricorde. Manca la mimesi del personaggio femminile: Loizzi non interpreta Angela, è semplicemente sé stesso con una parrucca, una vestaglia e pesante trucco celeste, risultando goffo e rude nei panni del gentil sesso.
Ma al di là questo aspetto, che è una legittima scelta stilistica, la recitazione risulta inefficace. Il protagonista non prende fiato, non dà quell’inflessione alle frasi che esalterebbe la ricchezza verbosa del testo. Si perde il significato delle singole battute, ammassate l’una all’altra, intervallate da un respiro che non dà senso drammaturgico, ma diventa solo necessità fisiologica.
La fretta porta Loizzi anche a qualche imprecisione: molte parole invertite, così da distorcere il senso della frase, alcune parole sbagliate, qualche vuoto di memoria. Ma, soprattutto, le svariate battute comico-umoristiche presenti nel testo a dargli una verve più accesa, vengono completamente buttate via. Insolitamente, Loizzi perde ogni tempo comico, tanto che in due ore di spettacolo non scatta mai la risata.

Anche i momenti più cupi sono poco approfonditi: nel suo lunghissimo monologo il protagonista ha a che fare con personaggi minori, resi sempre da lui e dal suo racconto. Per esempio quando Angela raccoglie fra le braccia suo figlio, lo culla e gli parla teneramente. L’intenzione dovrebbe essere così totalizzante da far dimenticare al pubblico che il teatrante sta di fatto abbracciando un secchio. La credibilità dell’emozione dovrebbe essere così forte da farci vedere un bimbo. Loizzi, invece, parla a un secchio e si vede. Non ci crede neppure lui.

Registicamente lo spettacolo è ben costruito. Gli ingressi e i movimenti risultano fluidi e dinamici, anche se i cambi di costume sono un po’ lunghi per il tempo narrativo. L’uso dell’audio registrato, indispensabile per l’architettura dello spettacolo, non aiuta la comprensibilità dell’opera, poiché sfruttando sempre la stereofonia, si perde l’efficacia illusionistica della voce: se l’audio di Filax provenisse dalla quinta da cui è uscito, tutto sarebbe più chiaro.
“Filax Anghelos” è uno spettacolo con buone possibilità, ma ancora acerbo. Va rodato per diventare pungente.

FILAX ANGHELOS (Angelo custode)
testo e regia Renato Sarti
con Massimiliano Loizzi
scene e costumi Carlo Sala
musiche Carlo Boccadoro
produzione Teatro della Cooperativa
con il sostegno di Regione Lombardia e Fondazione Cariplo – Progetto NEXT 2016/2017

durata: 2h 15’
applausi del pubblico: 1’ 48’’

Visto a Milano, Teatro Filodrammatici, il 12 aprile 2018
Prima nazionale

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