Si chiude la VI edizione del festival di Bardha Mimòs che ha coinvolto 10mila spettatori. A Bulgherini e Zappa il Premio Stratagemmi
Decolla il FringeMI Festival. Tredici quartieri si accendono grazie all’arte, coniugando riflessione e socialità.
Aria aperta e show frizzanti. Street food e birra. Voglia di svago e preludio d’estate. Il “teatro dove non c’è” squarcia la Milano oltre la “circonvalla”. E forse persuade a restare in città quei cittadini che si recano alle urne per le Europee e palesano anticorpi ai Vannacci di turno e ai fascismi di ritorno.
Milano è ancora quella del 25 Aprile. Una sinistra non più a ZTL squarcia l’enclave di Zona 1 e sfonda nelle periferie.
Ma la metropoli dei sobborghi, in questo scorcio d’inizio giugno, è anche arte, cultura, cibo, convivialità. E teatro. I milanesi lo percepiscono, e la periferia diventa centro.
Il FringeMI, ideato da Bardha Mimòs (Giulia Brescia, Davide Verazzani e Ippolita Aprile), diventa Idra dalle tredici teste.
Tredici quartieri. Le novità assolute di Giambellino, Lorenteggio, Barona e San Siro. Dieci giorni. 75 palchi. 200 eventi. 10mila spettatori. Ma i numeri non dicono tutto.
Vince la sesta edizione del programma ufficiale del FringeMi 2024 Filippo Capobianco con “Mia mamma fa il notaio ma anche il risotto”, di scena allo Spazio WeMi Rizzoli, a Parco Lambro.
Il quartiere più povero di Milano premia la ricchezza della poesia. Il 26enne Capobianco, pavese, campione mondiale di Poetry Slam, una passione per la fisica e i versi, sconquassa il pubblico con un profluvio di parole stordenti. Parla di madri in carriera e fidanzate terrapiattiste, di metropoli e provincia, nel dilagare delle zanzare che fanno tutt’uno tra la bassa padana di partenza e il fiume Lambro d’approdo. Rime e assonanze. Consonanze e dissonanze. Bisticci semantici. E un’arte tra Dante e Bergonzoni che diventa ipostasi della letteratura e della sua energia.
“Mia mamma fa il notaio ma anche il risotto” sarà in cartellone all’Elfo Puccini la prossima stagione.
A proposito di letteratura: nella top five del programma ufficiale c’è anche “Generazione Pasolini”, drammaturgia e regia di Marta Bulgherini, in scena con Nicolas Zappa ad Alibi, alla Martesana. Lo spettacolo ottiene il premio della redazione di Stratagemmi, mediapartner del festival come Krapp’s Last Post. Questa la motivazione: «Per la sua capacità di sviluppare un flusso di coscienza in grado di entrare in dialogo con le idee e le visioni di Pier Paolo Pasolini, smitizzando allo stesso tempo l’immagine di un autore capace di riflettere sulle istanze della propria contemporaneità in maniera lucida. Per l’utilizzo coerente dello spazio e l’adattabilità al contesto performativo, lo spettacolo ha trovato una modalità suggestiva di interazione con il pubblico, aiutandolo a comprendere le criticità della società dei consumi senza offrire delle soluzioni immediate o semplicistiche. Per le modalità con cui affronta questioni dalla complessità tragica con un linguaggio ironico e irriverente, di comune accordo, la redazione ha scelto di premiare Generazione Pasolini».
Per chi volesse approfondire lo sguardo sullo spettacolo, in arrivo l’articolo di Mario Bianchi.
Il nostro sguardo si focalizza su altri lavori. Ad esempio, “Bob Marley: How Reggae Changed the World” di Duane Forrest. A Ostello Bello, a pochi passi dalla Stazione Centrale, il musicista e cantante canadese di madre giamaicana prende la chitarra e accompagna il pubblico in un suggestivo viaggio acustico attraverso le radici del reggae.
Esploriamo l’influenza globale di Bob Marley. Musica, intrattenimento, antropologia e cultura. Sociologia e storia. Le molteplici suggestioni del reggae. I suoi retroterra. Le influenze che arrivano fino a Sting ed Eric Clapton. Ci sorprendiamo ad apprezzare le interpretazioni acustiche di leggendarie canzoni reggae che hanno rimodellato innumerevoli vite, inclusa quella di Duane. Dalle origini all’eredità trascendente di Marley, ci immergiamo in melodie piene di sentimento e nel potere trasfigurante di una musica iconica. Gli spettatori si lasciano volentieri contagiare da una lingua inglese senza sovratitoli. Ci sciogliamo anche noi in un canto liberatorio, coinvolti in questa esperienza musicale interattiva.
FringeMi al femminile. “Chilometro_42”, monologo di Giovanni Bonacci diretto e interpretato da Angela Ciaburri, musiche live di Munendo, luci di Marco Laudando, di scena al Nuovo Armenia a Dergano, è la biografia di Kathrine Switzer, ragazzina impertinente con la passione della corsa, che affrontò la società maschilista del tempo e arrivò a correre la maratona di Boston nel 1967.
Switzer non voleva essere una pioniera. Ma grazie alla sua perseveranza, ha contribuito a cambiare per sempre la cultura dello sport. “La vita è partecipare, non guardare”, le suggeriva il padre. Switzer si costruì una nuova muscolatura per arrivare a correre una distanza che si credeva preclusa alle donne.
Lo spettacolo è la testimonianza di un’abnegazione. Una performance dispersiva e con poco ritmo all’inizio che decolla nella seconda parte, di pari passo con la motivazione del personaggio rappresentato e con il salire delle musiche di Munendo, che integrano la partitura drammaturgica.
Stand-up comedy sapida a Cascinet, spazio verde e culinario di Ortica, nelle vicinanze di Linate. Marianna Folli in “Parzialmente stremata” narra le acrobazie femminili di un’attrice, mamma e moglie trentenne proveniente da Brescia (dove la vena creativa si riduce alla “Bella Gigogin” intonata dai muratori usando le ascelle), e approdata a Milano, dove «il mattone è così caro che te lo grattano come il tartufo».
Il divertentissimo monologo scritto con Alessandro Giugliano, che strizza l’occhio alle tematiche di genere, è tutto un oscillare tra la presunta freddezza bresciana («ho avuto un’educazione siberiana con qualche bestemmia “uvaiana” [riferimento all’assiduità con l’alcol dei bresciani, N.d.R]» … «se voglio un po’ di calore umano mi tocca parlare con Alexa»… «mia madre nella vita precedente dev’essere stata un calippo») e la Milano «governata dai rapper e sfamata da Glovo», dove ogni bilocale si trasforma in B&B ed «esistono tutte i ristoranti del mondo, ma solo con i cinesi in cucina».
Un’ironia introspettiva caratterizza “Funerale all’italiana” di Benedetta Parisi e Alice Sinigaglia. Con suggestioni da Eduardo De Filippo a Vittorio De Sica, si viaggia nel cuore dell’italianità attraverso il momento topico di una morte che è diversamente vita.
Mare Culturale Urbano, zona San Siro, è una fucina artistica piena di vita, iniziative, musica, cibo, e gente che ospita una convivialità alternativa al concertone di Vasco Rossi in programma nel vicinissimo Stadio Meazza. Ma la musica ad alto volume è anche qui, in questa cascina rimodellata, e stupisce come Benedetta Parisi in scena sappia creare una bolla per recitare e catturare il pubblico, che dimentica il fastidio dei suoni intorno.
Siamo faccia a faccia con il rito funebre, tra ricordi dell’infanzia e antropologia, perché «resteremo morti per molto più tempo rispetto a quando siamo stati vivi».
I morti sono in ciò che si tramanda: foto, vestiti, sedie, ricordi. Quello della giovane attrice laziale è un dialogo con i fantasmi e gli oggetti, con le persone e le cose. Con gli occhi illuminati di sentimento, tra lacrime e sorrisi, ci tuffiamo in un’epoca senza tempo, dal sapore paesano, con una custodia della memoria che è di per sé atto religioso, mentre il funerale è al contempo celebrazione della vita e legame spirituale.
Lo scatenato ballo finale strozza una performance prêt-à-porter, che colpisce per naturalezza e genuinità, e si trasforma in un primo bilancio della nostra esistenza.
Chicca conclusiva del festival alla Fondazione Feltrinelli è “Still Night”, spettacolo fuori concorso scritto, diretto e interpretato da Gemma Brockis e Silvia Mercuriali, con il sound design di Lewis Gibson.
Si parte dalle “Città invisibili” di Italo Calvino per esplorare Milano, la babele che ospita noi e il festival. Un esperanto immaginifico; un grammelot che coniuga italiano, inglese, francese, portoghese, tedesco, spagnolo (e quant’altro) basta a stordire lo spettatore. Il resto lo fanno le cuffie, con suoni eterogenei che coniugano realtà e finzione. Le immagini davanti ai nostri occhi, alcune rimbalzate attraverso un gioco di specchi deformati, ci proiettano nella Fantasilandia meneghina. Milano è una, nessuna e centomila: non sempre riconosciamo il volto della nostra città, i suoi mille volti e diecimila occhi. Milano scrigno di sorprese. Milano sfuggente, solida, evanescente. Milano sublime e misteriosa, cinica e autoreferenziale, distratta e sognante.
Questo lavoro caleidoscopico a un certo punto si apre alla città in carne e ossa. Basta spalancare le tende di questo palazzo di vetro, e passiamo dal virtuale al reale, altrettanto immaginifico.
È forse il modo più giusto di chiudere il FringeMi: questo fuoco creativo con spettacoli per tutti i gusti e tutte le tasche (comprese quelle completamente vuote) che ci dà appuntamento al 2025. E chissà che, dopo aver fatto 13, nuovi quartieri non si aggiungano ad arricchire il festival. Trasformando sempre più Milano in un immenso teatro a cielo aperto.