Lo spettacolo è stato accolto a OperaEstate Festival per un focus su “La notte poco prima della foresta”
Era il 2018 quando Pierfrancesco Favino fece scoprire al pubblico nazionalpopolare sintonizzato sulle frequenze di Sanremo il nome di Bernard-Marie Koltès, portando sul palco del Teatro Ariston l’estratto di uno spettacolo prodotto pochi mesi prima con e dalla Compagnia degli Ipocriti Melina Balsamo: “La notte poco prima della foresta”, un atto unico considerato la prima opera teatrale dell’autore maledetto francese, scritto e rappresentato nel 1977 al Festival d’Avignone.
Morto nel 1989, Koltès divenne un mito, e la sua leggenda cominciò aa amplificarsi nella decade successiva anche in Italia, lanciando il guanto a vari sfidanti (tra cui anche Claudio Santamaria).
Erano quegli gli anni in cui anche Enrico Castellani e Valeria Raimondi di Babilonia Teatri si avvicinavano alla sua lettura.
Proprio loro sono stati coinvolti nella sezione Bmotion di OperaEstate Festival di Bassano del Grappa (VI), all’interno della quale Michele Mele, responsabile della programmazione danza e teatro, dalla scorsa edizione sta promuovendo un focus sulla drammaturgia contemporanea: si tratta di un progetto di valorizzazione della parola e della scrittura nel contesto specifico della performing arts.
Nel 2023 il focus si è concentrato sulla drammaturgia tedesca, nello specifico di Nino Haratischwili e Sasha Marianna Salzmann, individuati grazie al coinvolgimento di studiosi e traduttori esperti. In quell’edizione, lo stesso Mele scelse «quelle che secondo me sono in Veneto tra le più brave e interessate a investire su una dimensione autoriale in scena non solo come attrici»: Federica Rosellini, Matilde Vigna e Leda Kreider.
Quest’anno, il focus si è incentrato su un unico soggetto, affidato a tre realtà artistiche in grado di declinarlo con modalità interpretative e in prospettive culturali differenti.
“La nuit juste avant les forets” è stato presentato tra il 23 e il 25 agosto in tre diverse traduzioni in altrettante lingue italiane, rivelando la sagomatura subita dai mondi socio-culturali che a quelle lingue corrispondono: il veronese dei Babilonia Teatri, il napoletano di Domenico Ingenito, il palermitano di Giuseppe Massa.
La genesi del progetto può avere avuto una suggestione non troppo lontana: vale la pena ricordare che proprio Antonio Latella, di cui Michele Mele è stato assistente alla regia, realizzò nel 2011 una messinscena de “La notte poco prima della foresta” interpretata in tedesco da Clemens Schick. Più di recente Mele, come ci ha riferito, ebbe occasione di notare Domenico Ingenito nel 2022, in qualità di giurato del Premio Nuove Sensibilità 2.0 e in collaborazione col Premio Leo De Berardinis, per il quale l’attore e regista napoletano, proprio per la propria traduzione del testo di Koltès, aveva riscosso la menzione speciale della giuria. Alla fine dello stesso anno, il dramaturg Matteo Bavera propose a Palermo una “Maratona Koltès”, commissionando a Giuseppe Massa una traduzione in dialetto locale e abbinandola all’interpretazione di Ingenito. «Io ho solo avuto l’ardire di proporre la traduzione anche ai Babilonia Teatri» conclude Mele.
I temi dell’opera sono noti: emarginazione, stigmatizzazione, sfruttamento da una parte; dall’altra desiderio di rispetto, comunanza, tregua, ascolto; ansia di solidarietà, di vicinanza, di riscatto; attesa di riconoscimento in primis della propria umanità, del diritto ad un respiro meno affannato, meno preoccupato. La scrittura di Koltès è torrenziale e si modula con slanci lirici in immagini utopiche e delicate il cui fascino è di per sé incoercibile. Nel titolo stesso, “La notte” sembra essere una dimensione di esistenza sospesa in cui il popolo privo di una patria davvero materna può incontrarsi prima che “le foreste” del giorno, del quotidiano, dei rapporti di potere costituiti si avvicinino e facciano prigioniero chi dice io ed i suoi simili.
Nel testo originale numerosi riferimenti conducono ad identificare nel protagonista un immigrato magrebino in Francia. Ingenito, che ha il merito di aver sviluppato per primo una versione dialettale, ci ha dichiarato: «Quando ho letto il testo, mi sono sentito subito a casa»; Domenico stesso, infatti, è brasiliano d’origine ed è stato adottato, quindi «spesso sono confuso con uno straniero finché non apro bocca»; ma questa non è l’unica matrice di una scissione dalla società, che deriva da una percezione di «estraneità a tutto».
Nelle tre versioni dialettali, la qualità fonetica e la ricerca espressiva hanno un impatto di volta in volta capaci di creare slittamenti di significato e di calarci in orizzonti e contesti sociali differenti. “Nuttata” di Ingenito riproduce il linguaggio di strada dei “ragazzi di vita” della stazione di Napoli, perdigiorno, marchettari, palpitanti di una disperata vitalità, che non intendono la babele di lingue europee che li avvolge. “Canzuna segreta” di Giuseppe Massa è un concerto a tutti gli effetti, sia perché si avvale dell’accompagnamento live del polistrumentista Dario Mangiaracina – cofondatore de La rappresentante di lista -, sia perché sonorità beat, be-bop e pop, suggerite dal testo originale, sono amplificate dalla scelta di espressioni emerse dalle periferie più degradate.
“Foresto” di Babilonia Teatri (che aveva già debuttato a Pergine Spettacolo Aperto quest’estate) affida il ruolo di protagonista ad un giovane sordo che scandisce la drammaturgia nella lingua dei segni, mentre Enrico Castellani gli dà voce in dialetto veronese rimanendo a lato della scena.
La tessitura sonora è rilevante in tutti e tre gli sviluppi e si nutre sia della pastosità dialettale, sia di una ricerca ritmica cadenzata, sia di contributi strumentali corroboranti. Una convergenza giustificata dal fatto che «la musica era già dentro, andava fatta scoprire, emergere», come dice Mele: nel testo di Koltès, infatti, manca del tutto la punteggiatura e «questo fatto apre a delle possibilità incredibili dal punto di vista sonoro e musicale».
Ma ciò che risulta più significativo è che il passaggio di questo monologo di bocca in bocca, di lingua in lingua, svela che quella percezione drammatica dell’esistenza è trasversale a tante categorie stigmatizzate ed escluse che forse non sanno di avere qualcosa in comune: ai migranti, ai giovani diseredati dei rioni napoletani, al sottoproletariato dei vicoli palermitani più bui, alle comunità invisibili dei vari portatori di disabilità. A loro un’occasione rara di denunciare il proprio disagio in modo incalzante ma al tempo stesso ammiccante ad una possibile alleanza, a noi l’opportunità di ascoltare e forse il dovere di reagire.
Abbiamo visto e approfondito in particolare la restituzione dei Babilonia Teatri il 23 agosto nella chiesa sconsacrata di San Bonaventura, una cornice suggestiva per una scena spoglia di oggetti ma vibrante della corporeità del protagonista e della densa atmosfera sonora.
«Il progetto ci ha subito interessati – ci ha detto Enrico Castellani – Abbiamo aderito alla proposta di Michele Mele perché è un testo che ci accompagna forse da venti anni, quando per la prima volta ci venne in mente di metterlo in scena, ma l’idea restò uno dei progetti che non avevamo finora mai portato a termine. Conoscevamo bene il testo ed eravamo consapevoli di quanto recitarlo sulla scena fosse difficoltoso per il tipo di lingua, però l’idea di poterlo realizzare in dialetto ce lo ha reso immediatamente più vicino, più diretto, più chiaro, e quindi ci siamo lanciati in questa sfida».
Il titolo stesso, “Foresto”, ci introduce al processo di adattamento che l’originale ha subìto nelle varie versioni. In italiano significa straniero, estraneo, ma Koltès non utilizza questo termine, bensì topi, che né nel contesto regionale, né in quello italiano, avrebbe reso altrettanto efficacemente lo stato d’animo del protagonista. I vari autori hanno similmente operato sostituendo espressioni francesi dissonanti rispetto al nostro immaginario con formule più espressive e concrete, che tuttavia concorrono a farci slittare in orizzonti affini ma distinti dall’originale.
Per quanto Babilonia Teatri ci avessero abituati a vedere in scena interpreti non professionisti oppure diversamente abili, resta una scelta sui generis affidare il ruolo di protagonista ad un giovane sordo.
Daniel Bongioanni comunica ed agisce in scena attraverso una mimica facciale e gestuale che accompagna la scansione con le mani nella lingua dei segni. Siamo quindi di fronte ad una doppia translitterazione del testo originale, nella LIS nazionale ed nel dialetto veronese, non essendoci tuttavia una corrispondenza diretta. Viene da domandarsi se in questo caso la seconda fosse davvero necessaria e non risulti ridondante. Infatti, «la LIS diventa un vero e proprio atto performativo» commenta Mele, che catalizza l’attenzione su un segmento sociale sottorappresentato. Al tempo stesso, il carattere performativo è amplificato dal corpo in continuo movimento di Daniel che esprime quella necessità e quell’energia tipica di una fascia maggiore di popolazione altrettanto poco ascoltata, quella degli adolescenti e dei giovani di ogni regione.
Enrico Castellani ha ricostruito il processo creativo: «Ci hanno spinto a lavorare con lui alcune scoperte che abbiamo fatto da quando siamo alla direzione di Pergine Spettacolo Aperto. Già prima del nostro arrivo alla direzione artistica, il festival svolgeva un lavoro di accessibilità culturale, che in qualche modo ci ha aperto gli occhi su una realtà e anche su delle possibilità. Pur avendo lavorato nei nostri spettacoli anche con persone con disabilità varie, non c’eravamo mai posti la questione della fruizione degli spettacoli dal punto di vista di un pubblico a ridotta accessibilità. Quindi abbiamo provato a lavorare fin dall’inizio, e non a posteriori della creazione, per rendere lo spettacolo accessibile a tutti, provando a ribaltare il punto di vista abilista».
Ne è un esempio lo sfondo sonoro che sostiene lo spettacolo, rendendo più spessa e percettibile la tenerissima inquietudine del soggetto: il sound designer Giovanni Frison ha dovuto confrontarsi con la necessità di ricorrere a frequenze che potessero essere udite anche da Daniel, quindi molto basse ma intimamente penetranti. Quello che può apparire come un limite, in realtà ha catalizzato un coinvolgimento autentico ed effettivo del protagonista. Ma non è finita qua. «Al centro della scena sta Daniel, che parla con la lingua dei segni. La sua voce tuttavia è presente, sia perché emette dei suoni, sia perché io gli do voce – e lui forse dà a me un corpo» racconta Castellani riferendosi alla sua posizione ai margini del palco, di fronte ad un’asta per microfono, dove scalpita e pare che persino il ritmo delle sue parole sia trattenuto. «Inoltre, a dialogare con noi ci sono la lingua scritta proiettata e la lingua della musica. In aggiunta, attraverso l’utilizzo di un’audiodescrizione per non vedenti di ciò che avviene sulla scena, lo spettacolo diventa fruibile per chiunque». Una prospettiva che abbiamo già avuto il piacere di approfondire sempre nel contesto di OperaEstate Festival dialogando col collettivo Al.Di.Qua Artists e auspichiamo possa trovare la più ampia adesione.
Mentre “Foresto” ora è pronto per andare in tournée, abbiamo domandato a Michele Mele cosa ci riserverà il prossimo focus sulla drammaturgia. «E’ probabile che non avremo autori e testi nuovi ma stadi di avanzamento sulle progettualità già in essere». Infatti, egli auspica che le letture sceniche delle drammaturgie tedesche possano trovare un sostegno produttivo e che le proposte presentate quest’anno possano avere altre occasioni di essere fruite congiuntamente perché, «anche se autonome come poetiche e come estetiche, insieme restituiscono una dimensione progettuale e di collaborazione che in Italia spesso facciamo fatica a leggere e sostenere».
Foresto
cura e regia Babilonia Teatri
con Enrico Castellani e Daniel Bongioanni
traduzione in dialetto veronese Enrico Castellani
traduzione LIS Daniel Bongioanni
musiche live e sound design Giovanni Frison
light design Luca Scotton
consulenza scientifica Jean Paul Dufiet
interprete LIS Andrea Consolaro
consulenza accessibilità Ass. Fedora
comunicazione non verbale Luca Falbo
organizzazione Serena Pallanch
co-produzione Pergine Spettacolo Aperto, OperaEstate Festival, Teatro Scientifico di Verona
con il sostegno di Fondazione Caritro
in collaborazione con l’Università degli studi di Trento
Visto a Bassano, OperaEstate Festival, il 23 agosto 2024