Francesco Colella: di conformismo teatrale (e non solo). Intervista

Francesco Colella in Zigulì
Francesco Colella in Zigulì
Francesco Colella in Zigulì
Francesco Colella in Zigulì

Teatrodilina è al debutto con un nuovo lavoro, “Banane”, al Teatro dell’Orologio fino a stasera per la regia, ancora una volta, di Francesco Lagi.

L’aspettativa è alta, come sempre accade quando una compagnia è reduce da uno spettacolo il cui successo tutti vorrebbero veder replicato.
In attesa allora di vedere “Banane” ripartiamo oggi dallo spettacolo che, per Teatrodilina, ha smosso un po’ tutto: “Zigulì”, in scena a Milano la settimana scorsa, è un lavoro tratto dall’omonimo romanzo di Massimiliano Verga, e affronta il racconto di una vita con un figlio disabile senza nascondersi dietro la facciata del buonismo, ma anzi sbattendo in faccia al lettore la difficile quotidianità di questo (soprav)vivere. Proprio per tale motivo il libro aveva suscitato, alla sua uscita per Mondadori, reazioni violente e indignate in alcuni lettori.

Da quel libro la compagnia ha tratto un lavoro che, grazie anche alla vittoria del premio In-Box 2013, ha poi girato parecchio per l’Italia, ottenendo ovunque un buon riscontro di pubblico.

Krapp ha incontrato Francesco Colella, unico protagonista di un intenso monologo, a Torino, durante la scorsa stagione, nella breve vita di uno spazio, il Cap10100, reso (di nuovo) teatrale ma per troppo poco tempo.
Colella, così come investe il pubblico, dal palco, della forza di un padre diviso nelle emozioni di fronte alla disabilità del figlio, ci ha investiti, in una notte d’inizio primavera, della forza e dell’energia di un attore, anch’egli padre di due bambini, alla ricerca come tutti di un equilibrio tra vita e sentimenti. E forse non a caso il libro di Verga è arrivato in un momento di particolare difficoltà nella sua vita, in qualche modo indirizzandola: “Ho cominciato a leggere il libro in maniera distratta, e poi ne sono stato contagiato. Così ho scritto una mail a Verga raccontandogli d’essere un attore e l’impulso che il suo libro aveva suscitato in me. Pensavo fosse una letterina perdente. In realtà lui mi ha risposto, e anche in maniera entusiastica. Allora mi son detto: forse lo devo fare veramente”.

Nel dopo spettacolo, di fronte a una birra, con Francesco abbiamo parlato (tanto) del mondo del teatro, di crisi e status quo, ma anche di affetti, gioie e difficoltà. E di come lui, calabrese di nascita, romano e poi milanese d’adozione, fra esperienze cinematografiche, tv (“devo pur pagare le bollette”) e regie teatrali importanti (Lombardi/Tiezzi, la significativa esperienza con Luca Ronconi – “essere pasta nelle sue mani” – e un Premio Ubu nel 2010…) continui a coltivare anche questa passione per il teatro ‘meno Stabile’, grazie all’amicizia e alla stima che lo lega a Lagi ma soprattutto perché crede sia necessario “tornare a sporcarsi un po’ le mani”, in un universo, quello teatrale (ricerca inclusa), in cui il conformismo la fa da padrone.

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