Dal guerrilla marketing in poi. Vendersi e/è bene

Kath Mainland|Spoleto Fringe Festival|Da sinistra: Kath Mainland
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Spoleto Fringe Festival
Un momento del convegno L’arte dei luoghi (photo: Klp)
Quasi due milioni di biglietti staccati: è senz’altro uno dei numeri più significativi dell’edizione 2011 del Fringe Festival di Edimburgo, che da oltre sessant’anni invade, una volta all’anno, ogni luogo della capitale scozzese teatralmente appetibile.
Dato che il festival dura tre settimane (quest’anno sarà dal 3 al 27 agosto), sono in media centomila biglietti staccati al giorno: l’equivalente di più di un ipotetico sold out allo Stadio Olimpico di Roma per venti giorni di fila.

Di questo e altro è venuta a parlare a Spoleto Kath Mainland, direttrice del fringe più famoso al mondo, nell’ambito di una due giorni che ha visto anche un convegno su “L’arte dei luoghi: come la cultura valorizza i territori” e un simposio su “Critica e comunicazione ai tempi di Twitter e Facebook”. Due giorni ben strutturati, che hanno avuto come evento conclusivo la conferenza stampa della prima edizione di La MaMa Spoleto Open, il nuovo fringe festival di Spoleto, che inizierà il 30 giugno prossimo per continuare tutta l’estate, fino al 16 settembre.

Kath Mainland ha spiegato alla stampa e agli operatori i motivi per cui valga la pena partecipare al Fringe, dato che per le compagnie è un investimento economico senz’altro esoso: devono infatti pagarsi tutto (affitto sala, costi di trasferta, allestimento ecc.), mentre l’organizzazione si occupa di mettere lo spettacolo su tutto il materiale promozionale e fornire eventuali consigli su questioni pratiche.

Il Fringe di Edimburgo – ci racconta Kath – è una sorta di palestra, che prevede un rischio d’impresa che i teatranti in Italia conoscono forse poco, abituati soprattutto in passato a contare quasi esclusivamente su contributi pubblici.

Al Fringe di Edimburgo la pianificazione e la promozione sono elementi fondamentali per il successo; non ci si può improvvisare. Se sei un promoter capace, se hai lo spettacolo giusto (attenzione a non proporre monologhi, Oltremanica poco graditi!) si potrebbero anche spalancare le strade del successo: 974 sono stati i professionals (programmatori di festival, talent scout, agenti, produttori ecc.) accreditati nel 2011, oltre a 855 giornalisti. Cifre senz’altro importanti. “Può capitare che l’operatore giusto ti veda e magari sei sistemato per tre anni”, racconta Fabio Ferretti, organizzatore della compagnia lombarda Sanspapié, che al Fringe di Edimburgo ha partecipato.

Prima di approfondire altri aspetti del Fringe, Kath ci parla anche della rete fra i 12 maggiori festival della città. Una rete vera, volta a definire l’identità culturale della città, a operare insieme per fare economie di scala, al miglioramento dell’offerta culturale e di entertainment.
E mentre l’ascolto penso alla realtà romana, dove i festival quasi si fanno la guerra e a malapena si mettono d’accordo sulle date…

Da sinistra: Kath Mainland, Alessandro Colombo e Anneke Jansen
Da sinistra: Kath Mainland, Alessandro Colombo (nello staff de La Mama Spoleto Open) e Anneke Jansen (photo: Klp)
La direttrice del Fringe, insieme alla collega Anneke Jansen del Fringe di Amsterdam (la 7^ edizione si terrà dal 30 agosto al 9 settembre) e ad alcuni operatori e compagnie italiani (oltre a Sanspapié, Theandric – Teatro Nonviolento di Cagliari) presenti negli ultimi anni al festival, sono stati al centro di interessanti riflessioni su come un’artista debba necessariamente relazionarsi a un mercato, sull’importanza oggi del marketing (e del ‘guerrilla marketing’ ha sottolineato Jansen), della promozione e del networking per affermarsi in una manifestazione di questo tipo.

Nel dialogo parallelo che contemporaneamente incorniciava l’evento con la Tag Cloud di Twitter, sullo schermo dietro ai protagonisti è passato un tweet proprio di Anneke: “really? If artists use t creativity not just on stage but to promote their show too, you get great results. And it’s fun!”.
E sempre nella Tag Cloud, durante la presentazione di Kath, sono iniziati ad arrivare alcuni commenti che contestavano il sistema del Fringe: un’inclinazione troppo commerciale a discapito del lato artistico? E tutto questo enorme dispendio di soldi serve davvero a una compagnia?

In Italia ancora si auspica un’arte sovvenzionata che, negli anni, ha alimentato i sogni di migliaia di artisti, critici e organizzatori, e altrettanti migliaia di disoccupati. Artisti, o presunti tali, che non ipotizzano nemmeno la possibilità di confrontarsi con il mercato – che non è solo Zelig o i musical, ma può essere anche teatro di qualità.
Ancora si impugna la bandiera dell’assistenzialismo più o meno statale, in un’epoca di crisi e tagli che dovrebbero preannunciare un’inversione di tendenza. Ancora non si è capito che un ente che sovvenziona l’arte necessariamente in qualche misura la controlla, con maglie più o meno larghe.
Ancora poche idee sul cominciare a far girare soldi in modi “alternativi”.

Andrebbe bene anche l’arte sovvenzionata, se non diventasse – come invece è stato spesso – una mangiatoia pubblica cui rifocillarsi indipendentemente dalle capacità; il finanziamento pubblico non può certo essere, oggi, l’unica possibilità, sopratutto in un Paese come l’Italia dove la politica che sovvenziona è spesso di dubbia limpidezza.

La polemica contro il Fringe è continuata in rete, non molto diffusa ma comunque in difesa di un sistema di artisti che inorridiscono di fronte ai tagli e alla politica troppo spesso miope verso la loro arte.
Ma chi decide cosa è arte e cosa è spazzatura? Questa è una domanda cruciale, in un Paese dove le direzioni artistiche si passano quasi di padre in figlio (biologico o putativo), o dove il “figlio di” come minimo ha un posto all’Assessorato alla Cultura. Senza stare neppure a parlare dell’effettivo valore di un progetto, spesso talmente lontano da un potenziale pubblico da dover continuare ad assistere a messe in scena per i soliti pochi spettatori (quasi tutti non paganti perché, appunto, addetti ai lavori!).

Kath Mainland
Kath Mainland (photo: Klp)
A Edimburgo ti prendi gli incassi e cerchi di rientrare il più possibile delle spese; se la sala è piena molto probabilmente significa che hai lavorato bene, magari anche a livello di marketing, e che il tuo spettacolo in qualche modo riesce a parlare al pubblico.
Come sottolinea Kath, attenzione anche ai biglietti omaggi: la compagnia deve campare e ha investito soldi importanti per essere lì.
A Roma i teatri sono pieni di attori amici degli attori in scena, che quasi si azzufferebbero per non pagare il biglietto.

Personalmente credo che il sistema teatro in Italia (così come quello politico) abbia fallito: basta guardare i volti dei nostri anziani direttori artistici, politicanti o mezzi artisti, e compararli con le giovani intraprendenti direttrici dei Fringe scozzese e olandese.

La cosa più dura da accettare è, per chi scrive, che le nuove leve la pensano come le vecchie generazioni, e in tanti criticano i sistemi anglosassoni. Quasi che parlare di marketing fosse una bestemmia.
Ma le vacche grasse son finite già da un pezzo; occorre necessariamente trovare altre strade, mettersi in gioco, rischiare. Il che significa anche osare con le proprie risorse, magari per trovarne di nuove. E significa ammettere che non tutti siamo artisti. Per rendersi conto se sia opportuno o meno continuare questo (im)possibile mestiere. O, per dirla con le parole di Kath, “Il caos creativo di Edinburgh è utile a tutti. Alla fine del festival puoi aver capito dove devi migliorare, o magari che è meglio se fai l’idraulico”.
 

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  1. says: Daniele T.

    lungi da me far coincidere il concetto di bestemmia col concetto di marketing ma non capisco, nell’ultimo capoverso, far coincidere del tutto il fatto di essere bravi artisti con la capacità di essere dei bravi imprenditori e bravi promoter. Se, non essendo tali, non si è nemmeno in grado di diventarlo, anche se si fosse per caso artisti non scadenti, meglio mettersi a far l’idraulico che continuare a far l’artista? Così non sostituisci solo alla scaltra competenza, propria di un tempo ormai in disfacimento, di raggranellar soldi dallo stato quello di esser un buon imprenditore di se stessi semplicemente secondo altre regole? E il valore del progetto che non sceglie più senza nemmen guardarlo l’assessore o il funzionario connivente di turno lo sceglierebbe, in questa tua immagine retorica, il pubblico, il popolo? Non so. Accolgo molte delle tue osservazioni ma sono un po’ dubbioso lo stesso, non riesco a chiamarmi fuori dal novero di quelli che critichi in quanto han criticato questo meccanismo…