Tra gli ospiti a Bologna, James Batchelor, Gaetano Palermo, Claudia Caldarano…
Due giorni di affascinanti e insolite visioni teatrali, quelle della XXII edizione di Gender Bender, il festival bolognese diretto da Daniele Del Pozzo e Mauro Meneghelli, che si presenta come una manifestazione che intende analizzare “gli immaginari prodotti dalla cultura contemporanea internazionale legati alle nuove rappresentazioni e relazioni, generate dall’espressione dei corpi, dalle differenze di genere e dagli orientamenti sessuali”.
La kermesse si configura, nella sua estrema varietà di offerte culturali, come una manifestazione multidisciplinare che si articola attraverso proiezioni cinematografiche, spettacoli di danza e teatro, performance, mostre e installazioni di arti visive, incontri e convegni di letteratura ma anche party notturni.
Il coraggio dell’impostazione del festival si manifesta sin dal primo spettacolo a cui assistiamo, “Lounge”, della portoghese Margarida Alfeirão, che lavora come coreografa a Berlino da molti anni. E’ uno spettacolo che trasferisce sul palco in modo prepotentemente esplicito il piacere della sensualità femminile, attraverso i movimenti sinuosi e accattivanti di Mariana Benengue e della stessa Alfeirão che, partendo da uno stato condiviso di riposo, piano piano si lasciano andare ad un intreccio di gesti e movimenti per mezzo dei quali ognuna di loro scopre ed esplora con dolcezza irriverente il corpo dell’altra. Ne consegue una performance di accentuato erotismo, mai espressamente volgare, che trasmigra dallo sguardo reciproco delle due performer a quello di ogni spettatore, che le osserva dal proprio particolare punto di vista, in un continuo rapporto di corpi e di attenzioni.
Di tutt’altra natura è “Shortcuts to familiar places”, del coreografo e danzatore australiano James Batchelor che, danzando con Chloe Chignell sulle musiche corroboranti e create dal vivo di Morgan Hickinbotham, propone un sentito omaggio alle maestre che lo hanno formato, unendo in questo modo il sapere di tre generazioni di performer della danza moderna. Davanti ai nostri occhi appaiono le immagini di Ruth Osborne, che ci propone estratti della sua personale tecnica espressionista, ereditata a sua volta dalla maestra austriaca Gertrud Bodenwieser, artista pioniera di una danza considerata al tempo degenerata e fuori forma, che anch’essa si mostra in immagini al nostro sguardo. Batchelor traduce così dal vivo, con un linguaggio contemporaneo, la tecnica espressionista ereditata dalle sue due mentori, in un contesto che lo vedeva unico maschio in un mondo artistico popolato da sole donne.
Molto particolare, nella sua essenza, si è mostrato “The Garden” di Gaetano Palermo, che già conoscevamo per l’interessante performance di danza urbana “The Swan”, ispirata a “La morte del cigno”, che Michel Fokine costruì per Anna Pavlova nel 1901.
Nella totale oscurità del piccolo teatro all’italiana di San Giovanni in Persiceto, di cui è illuminata poeticamente solo la prima fila di poltrone, il corpo riverso di una donna, in mezzo al palco, è capace di reinventare per trenta minuti, attraverso contributi sonori e musicali, una vera coreografia di ricordi, immagini e suggestioni nello sguardo di ogni spettatore, a seconda del rispettivo bagaglio culturale e sensibilità. La musica è evocatrice: di suspence grazie a Bernard Herrmann, autore prediletto da Alfred Hitchcock, che si presenta con la sua stessa voce; attraverso Madonna, che prima di un suo concerto lascia i suoi fan liberi di interpretare la propria musica, e ancora Maria Callas che canta “Sola perduta abbandonata”, o lo straziante lamento di Manon creato da Puccini, insieme a una banda di paese, alle ripetute grida del battitore di un’asta che si mescolano nell’aria scura del teatro, illuminando le memorie degli spettatori seduti nei palchi.
Come già accaduto per il canto in “U” di Alessandro Sciarroni, è qui l’ambiente sonoro a farsi danza, con buona pace dei tradizionalisti.
Eccoci poi allo spettacolo più composito e affollato nei nostri due giorni di permanenza al festival: “Terminal beach” del coreografo bavarese Moritz Ostruschnjak.
Guido Badalamenti, David Cahier, Daniel Conant, Roberto Provenzano e Miyuki Shimizu, nel grande palcoscenico dell’Arena del Sole, utilizzando pattini, corazze e bandiere si misurano in modo pirotecnico in un vivacissimo collage coreografico che mescola periodi, generi, stili e tecniche differenti. Su un tappeto musicale variegatissimo, che va dal classico al country, dall’elettronico al coro verdiano di “Va pensiero”, i cinque performer immergono così il pubblico su questo “mare” di note, in una congerie di visioni in cui la danza si muove come frastagliata onda marina.
Infine, in un contesto tutto diverso, arriva “Corpo a Corpo”, la durational performance di Claudia Caldarano, apprezzata non dalla visuale canonica di un palco, ma dai sotterranei di Palazzo Bentivoglio. Il corpo nudo di Claudia si muove in continuità sulla superficie riflettente di un parallelepipedo nero, con cui per due ore ha un vero e proprio corpo a corpo sotto gli occhi degli spettatori e delle spettatrici, che lo osservano in momenti diversi, suggerendo relazioni difformi e contrastanti che rimandano a visioni già sperimentate in altre forme e contesti.
Il corpo della Caldarano si agita, si gira e rigira, si muove rigido e flessuoso, davanti e dietro, mostrandosi senza pudori di sorta, scivolando anche fuori dalla superfice, cospargendosi d’olio in un continuum davvero particolare di intimità e dinamismo.
Alcuni microfoni posizionati intorno riverberano la presenza del corpo dell’artista anche negli altri ambienti dei sotterranei, ridonando nuovi stimoli percettivi.
Un festival davvero prezioso e inusuale, Gender Bender, le cui cinque performance incrociate ci fanno riflettere su come protagonista sia il nostro sguardo, liberato da ogni catena di conformismo e convenzionale assuefazione.