(Milano, 12 dicembre 1929 – 16 marzo 2012)
“Non c’è teatro dove non c’è commozione. Io ho impresso nella mente e negli occhi il giorno in cui è finita la guerra, a Milano. Ognuno emanava una specie di fratellanza. Anche se era difficile perdonare o comprendere certi soprusi, certi divari disgustosi. Anche se chi è stato buttato nella melma ha la voglia lecita di alzare le mani verso la strozza di qualcun altro. Poi, però, scatta un segnale di distensione, di perdono. Prevale un senso mistico della verità. Qualcosa di più aleatorio della verità in senso stretto, che sennò comporterebbe sempre e solo crocifissioni. Delle due, l’una: o si mente, o si muore. Ma io ad esempio mento e muoio al medesimo tempo, come tutti i cristiani eretici, un po’ forse come Pasolini, o come Christopher Marlowe”.
(G. Cobelli, 1994)
Giancarlo Cobelli, io me lo ricordo in televisione, vestito di nero come mimo. Me lo ricordo come se fosse ieri questo piccolo ometto che diventerà un autentico maestro del teatro italiano.
Si è spento ieri mattina, a ottantadue anni; era nato a Milano il 12 dicembre del 1929.
Giancarlo Cobelli, io me lo ricordo poi all’inizio del mio percorso di spettatore, per una straordinaria versione della “Figlia di Iorio” perfettamente calata nel mondo ancestrale abruzzese, dove la poesia dannunziana usciva prepotentemente moderna.
Non facile mettere in scena D’Annunzio, ma lui “non si tirava mai indietro” proponendo visionariamente, oltre l’amato Shakespeare, testi assai difficili: “Gli Uccelli”, “Aminta”, “Le Trachinie”, “La Venexiana”, “La pazza di Chaillot”, “Il dialogo nella palude”, “Un patriota per me” (nel ’91 Premio Ubu miglior regia), “Re Giovanni” e la meravigliosa “Turandot”, anche questa perfettamente nitida nella mia memoria, Premio Ubu nel 1981 per miglior regia, miglior spettacolo, migliore scenografia di Paolo Tommasi e migliore attrice protagonista, Valeria Moriconi.
Nel 2003 curò una messa in scena del Woyzeck per la dodicesima edizione dell’École des Maîtres, avvalendosi per le musiche – con azzardo magnifico – della collaborazione di Giovanna Marini.
E poi, ovviamente, la regia di numerose opere liriche: “Tosca”, “Rigoletto”, “La dannazione di Faust”, “L’angelo di fuoco”, “Salomè”, “Simon Boccanegra”, “Tristano e Isotta”, “Ifigenia in Tauride”, “Un ballo in maschera” e un “Orfeo e Euridice” di Gluck che fece scandalosamente epoca. E poi due film, “Fermate il mondo… voglio scendere!” (1970) e “Woyzeck” (1973), oltre allo sceneggiato televisivo “Teresa Raquin” (1985), tratto dall’omonimo romanzo di Émile Zola.
Tutte regie permeate dalla forte caratterizzazione di ogni elemento della scena, che doveva colpire al cuore l’emozione dello spettatore.
Addio adorabile mentitore!
addio pippotto dello zecchino d’oro. Con te che ti avvii addio alla mia fanciullezza