15 anni di Esperidi, teatro ecologico e sensoriale. Intervista a Michele Losi

Michele Losi
Michele Losi

L’arte che abbraccia il paesaggio. Laboratori, performance, spettacoli site specific fra prati e boschi secolari. Animando tramonti e albe, senza artifici scenici. Dialogando con la natura. Questo è Il Giardino delle Esperidi, festival brianzolo di Campsirago (Lecco) e dintorni, giunto nel 2019 alla XV edizione.
Solstizio d’estate e ritualità per teatrofili. Da domani 21 giugno al 7 luglio, tre weekend di poesia e bellezza animeranno i borghi e i sentieri del Monte di Brianza.

Michele Losi, da quindici anni curi la direzione artistica del Giardino delle Esperidi. Qual è il tema di questa edizione? Chi ci sarà?
Esperidi 2019 è dedicato agli alberi, all’intelligenza del mondo vegetale. Il nostro è un approccio ecologico e sensoriale. Gli alberi, il loro respiro, il loro slancio vitale fatto di radici e nutrimento sono essenziali per la sopravvivenza del pianeta. Noi prefiguriamo scenari naturalistici completamente privi di uomini. Dedichiamo il festival ai Millennials che, sulle orme di Greta Thunberg, combattono una battaglia sagace per la Terra e per il futuro. Il primo weekend è dedicato al teatro nel paesaggio. Gli altri due alla drammaturgia contemporanea e alle performance. Daremo visibilità soprattutto a giovani compagnie e artisti del teatro di ricerca italiano ed europeo, come Teatro Elettrodomestico, Collettivo Amigdala, bologninicosta, bolognaprocess, Elena De Carolis, Chiara Ameglio.

La vostra particolarità sono proprio le opere site specific.
A maggior ragione quest’anno, in cui abbiamo prodotto “Alberi maestri”, performance itinerante dedicata al Genius Loci di Campsirago creata con Sofia Bolognini. Realizzeremo un percorso poetico e sensoriale di sedici ore che s’innesta sulla tradizione del monachesimo cluniacense, andando incontro all’intelligenza del mondo vegetale, dedicandoci alla raccolta notturna di piante officinali. Percorreremo sentieri romanici, fondendo la voce umana con quella della natura, frassini, faggi, ippocastani, querce, noci, castani, in un rito di trasformazione e fertilità. Abbiamo studiato gli itinerari con molta attenzione, senza derive pop.

Quali linguaggi espressivi avete curato in particolare?
Sia le opere site specific, sia gli spettacoli contemporanei, cercano di scarnificare il linguaggio teatrale. Quest’anno ci sarà più spazio per i video, le raccolte documentarie, le nuove tecnologie. Ad esempio Sista Bramini tratterà il mito di Amore e Psiche con il supporto della musica elettronica. Invece la giovane compagnia belga bolognaprocess, finalista al Premio Scenario Periferie 2019, racconta con “Anticorpi”, attraverso un viaggio-inchiesta in quattro paesi europei, i giovani militanti neo-nazionalisti. Tre attori, un italiano, un francese e un greco, aiuteranno a indagare il fenomeno dilagante dei nuovi fascismi in relazione alle giovani generazioni. Con questo tema intendiamo lanciare un segnale contro il fanatismo.

Spettacoli come “Odisseo” (Teatro dei Lemming), “Viaggio di Psiche” (O Thiasos TeatroNatura) e Trieb “TRIEB_L’indagine” (Fattoria Vittadini, Campsirago Residenza) rimandano invece al mito, e pertanto al nome che vi siete dati.
Quel nome nacque su una spiaggia dell’isola greca di Ikaria, nel 2004. Fino agli anni Novanta a Campsirago c’era un festival chiamato “Campsirago Teatro”. Noi scegliemmo un altro nome proprio perché volevamo allargare il festival a un territorio più esteso. Lo abbiamo chiamato “Giardino delle Esperidi” perché nella mitologia classica si trattava di un luogo a Occidente della Grecia. Uno spazio non contaminato, un’oasi delle arti immune dall’industrializzazione, dedicata alle ninfe della sera, deputata ad accogliere miti, musica e teatro.

Campsirago mantiene il senso di una comunità utopica permeata da un forte idealismo. Non avvertite il rischio di rifugiarvi in una specie di nicchia fuori dalla storia?
Forse questa dimensione utopistica attira gli artisti, le compagnie, lo stesso pubblico. Ma noi non ci sentiamo chiusi. Siamo aperti al contatto con migliaia di persone che affluiscono non solo dalle comunità limitrofe, ma anche da Milano, Bergamo, Como, Brescia. Tanti arrivano dall’estero. Ogni anno a ottobre si svolge la festa della Burolla, dedicata alla caldarrosta, che riunisce tutta la comunità. Abbiamo rapporti con le scuole. Una delle nostre compagnie, Riserva Canini, tiene lezioni accademiche in Paolo Grassi. Non siamo un luogo claustrale, ma uno spazio di ricerca.

A proposito di Riserva Canini. Un aspetto che vi caratterizza è il legame che si crea tra Campsirago e le sue compagnie. Questa simbiosi è più una risorsa o un condizionamento?
Campsirago entra nei ricordi e nella memoria. Il palco della corte piccola, con i cento chilometri di pianura alle spalle, con lo sfondo di Montevecchia, se lo ricordano tutti. È un luogo di cui ci s’innamora. Non a caso qui arrivano spettatori da tutta la regione, e non si tratta di un pubblico di addetti ai lavori. Abbiamo poi attori che arrivano da Francia, Russia, Danimarca, Inghilterra, Finlandia, Cina. Noi mettiamo a disposizione delle compagnie la foresteria anche per un paio di settimane. Questo legame è un valore aggiunto.

Insieme al paesaggio naturale… una scenografia che trattate con riverenza. Toccando il meno possibile.
Mi capita a volte di discutere di questo con compagnie che porterebbero in scena 8mila kilowatt d’impianto tecnico. Io credo che chi viene qua si debba adattare. Per gli spettacoli a Campsirago basta un piazzato di montaggio. Basta il passaggio naturale dalla luce diurna al buio per creare il cambio di scena.

A distanza di quindici anni, cosa resta dell’entusiasmo iniziale?
Giulietta Debernardi, Anna Fascendini ed io siamo qui dall’inizio. Il primo anno, la nostra è stata una conduzione artigianale a tutti gli effetti. Con Cinzia Ayroldi e Tania Corradini facevamo di tutto, dal segare i tavolacci all’allestire le tribune, fino a preparare i proiettori, a confezionare le locandine da attaccare in giro per i comuni. In dieci giorni dormivo complessivamente una ventina d’ore, roba da saltare di sana pianta quasi la metà delle notti. Lo spirito resta quello, ma non avendo più trent’anni devo dosare le energie. Adesso abbiamo bravissimi tecnici, un valido direttore organizzativo, un ottimo ufficio stampa. Resta il senso artigianale del mescolarsi e del condividere.

In questi anni avete contribuito anche a lanciare giovani compagnie. Operando nel segno dell’internazionalità.
Molte di queste compagnie sono pluripremiate: Collettivo Cinetico, Piccola Compagnia Dammacco, Confraternita del Chianti, Sanpapié, bolognini costa. Ma posso citare anche artisti come Giuseppe Semeraro. Quanto all’internazionalità, abbiamo aderito al progetto Erasmus Plus, che riguarda giovani tra i 15 e i 18 anni provenienti da Italia, Francia e Inghilterra, impegnati in un percorso teatrale di figura e paesaggio.

Un aspetto che caratterizza le Esperidi è l’impatto umano.
La relazione è la nostra caratteristica centrale. Il resto m’interessa poco. Non guardo al tornaconto economico e neppure a quello personale. Apprezzo compagnie come Riserva Canini, che vivono per l’arte in modo nudo e puro. E questa è la forma della loro autenticità.

Un errore che non rifaresti?
A volte abbiamo messo troppa carne al fuoco. Meglio fare meno cose avendo la possibilità di curarle nei dettagli.

Un merito che ti riconosci?
Aver fatto di Campsirago un luogo indipendente, sia come produzioni sia come formazione.

Hai registrato dei cambiamenti nel teatro degli ultimi 15 anni?
Credo ci sia una rinnovata attenzione alla drammaturgia. Siamo oltre la dimensione etica e sociale del Terzo Teatro. C’è un uso più incisivo delle nuove tecnologie.

Quali sono le prospettive per il futuro?
Dovremo superare la dimensione idealistica di un festival autoprodotto per l’85%, e trovare qualche risorsa economica in più. Ma non intendiamo snaturarci. Non vogliamo cioè rinunciare alla dimensione utopica che ci rappresenta dagli albori.

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