Glauco Mauri è Minetti, ritratto di un artista da vecchio, diretto da Andrea Baracco

Glauco Mauri (ph: Manuela Giusto)
Glauco Mauri (ph: Manuela Giusto)

Il grande classico di Thomas Bernhard in scena al Piccolo Teatro di Milano

Herlitzka, Pagni, Manfredini solo per citarne alcuni.
Il ruolo di Minetti è un enigma che ha attirato, negli anni, diversi grandi attori e altrettanti registi per una serie di allestimenti molto diversi tra loro (e dei quali anche noi abbiamo spesso parlato).

Glauco Mauri, ultra novantenne, incontra il più grande interprete della Germania del dopoguerra e si crea un’amalgama sui generis, di quelle da segnarsi sul calendario.
Sembra, nel suo fragile entrare in scena, il sacerdote di un rito. Con lui c’è sul palco tutta la storia del teatro moderno, compresi quei grandi nomi che, insieme al suo, hanno contribuito a comporre e definire l’identikit di un personaggio tanto complesso.

Andrea Baracco ci fa entrare lentamente nell’inquietante mondo di Thomas Bernhard e sceglie di ambientare il racconto, come da copione, nel foyer dell’hotel di Ostenda dove, la notte di capodanno, il protagonista attende il direttore di un teatro che, dopo trent’anni, gli vuole offrire (secondo lui) la possibilità di reinterpretare il Lear, suo cavallo di battaglia.
Con sé, in un’anonima valigia, la maschera di Ensor con la quale ha sempre affrontato il ruolo.
Un Godot di qualche decennio dopo, circondato dai suoi Lucky e Pozzo, ma, ambientato in un contesto preciso. Da subito è palese a tutti che l’uomo atteso non arriverà mai e che il gioco, se così si può chiamare, è “far passare il tempo”, caricando un “lungo aspettare” di significati “altri”.

Marta Crisolini Malatesta veste i personaggi con abiti in linea rispetto all’epoca e alla ricorrenza festiva, ma la regia carica di particolare irrequietezza il plot. Irrompono talvolta inquietanti personaggi con la testa di coniglio o altri animali, impegnati in simbolici movimenti en ralenti. E’ il mondo di Ensor, iper citato da Minetti, che fa capolino per spazientire ulteriormente il sempre più confuso attore. Colpisce il contesto post-apocalittico, in cui la sensazione predominante è di assistere a qualcosa che è già accaduto, o meglio, ai suoi resti. Non è chiaro (e non vuole esserlo) se siano visioni dello stesso protagonista, ma la sovrapposizione di mondi differenti è la cifra stilistica prevalente.
La visione che di Minetti ha Thomas Bernhard da un lato, l’identità del grande attore dall’altro, l’immaginario pittorico di Ensor e poi ancora il corpo e la voce di Mauri che dà vita al personaggio. Forse è quest’ultimo l’aspetto predominante dello spettacolo. Settant’anni di palco attraversando i più grandi testi sia della classicità che del teatro moderno si sentono e si vedono nella pressoché assoluta fluidità del gesto e della battuta.
C’è poi una particolare coincidenza: Mauri si è confrontato con il Lear oltre trecento volte. Le parole del vecchio Minetti abitano una casa davvero opportuna, tanto appropriata da offuscare l’obiettività (se così si può definire) nel definire e commentare la performance. I ricordi apparentemente sconclusionati ai quali Mauri-Minetti mette mano cercando la posticcia attenzione dei viandanti rimandano, citando Bernhard nel copione, ad una “vita altra”, un tempo estraneo e passato rispetto a quello in cui si svolge la vicenda, un momento di identificazione totale con l’arte ricercato e voluto dal protagonista come unico modo per vivere il teatro.
Le parole scorrono con naturalezza surreale attraverso gli ammalianti monologhi dell’interprete, solo a tratti interrotti da piccole interazioni verbali.

Il pubblico resta ammaliato nell’osservare una scena toccante a livello emotivo. Aleggiano collettivamente alcune domande: ad esempio cosa avverta l’attore nell’interpretare un personaggio così profondamente sovrapposto a sé stesso, o cosa voglia dire entrare in scena ogni sera sapendo che potrebbe essere realmente l’ultima, e come si possano pronunciare quelle parole…

Non abbiamo potuto confrontarci con Mauri, la prova è troppo impegnativa, e la stanchezza la fa da padrone, ma la consapevolezza di aver partecipato ad un rito diventa tangibile negli applausi finali, interminabili, con diverse standing ovation, riaperture del sipario e l’attore che “crolla” commosso in poltrona, raccogliendoli tutti.

Interno Bernhard
Minetti. Ritratto di un artista da vecchio
di Thomas Bernhard
traduzione di Umberto Gandini
con Glauco Mauri
e con Stefania Micheli, Federico Brugnone, Danilo Capezzani, Francesca Trianni, Pietro Bovi, Giuliano Bruzzese
regia Andrea Baracco
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
musiche Giacomo Vezzani, Vanja Sturno
luci Umile Vainieri
produzione Compagnia Mauri Sturno

durata: 60′
applausi del pubblico: 5′

Visto a Milano, Piccolo Teatro Strehler, il 28 gennaio 2024

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