“Sono strani quanto basta e non somigliano a nessuno”: è la descrizione che ci ha dato Lucia Calamaro a proposito di Nerval Teatro, con cui sta lavorando per un nuovo debutto. La compagnia, fondata nel 2006 da Maurizio Lupinelli ed Elisa Pol, porterà in scena prossimamente un testo inedito dell’attrice e drammaturga romana intitolato “Ma perché non dici mai niente? Monologo”.
Per saperne qualcosa di più abbiamo intervistato Lupinelli, che nel mese di gennaio ha tenuto un laboratorio a Berlino incentrato sul testo “Sangue sul collo del gatto” di Rainer Werner Fassbinder, uno degli autori di elezione del regista e attore ravennate.
Lupo, partiamo proprio dall’esperienza laboratoriale di Berlino. Come è nata e come si è articolata?
L’esperienza fatta a Berlino è nata per volontà di un mio ex allievo, Mauro Paglialonga. Vive a Berlino dal 2009, fa il regista di corti e il videomaker e ha un passato di giovane attore per il Teatro delle Albe ne “I Polacchi” di Marco Martinelli. Siamo rimasti in contatto e proprio l’anno scorso ci siamo incontrati per ideare un progetto per Berlino.
È nato “La Germania che ho in testa”, un laboratorio sul testo di Fassbinder “Sangue sul collo del gatto”, presso un ex birrificio del quartiere di Neokòlln, a cui hanno partecipato attori italiani, brasiliani, statunitensi, messicani e francesi residenti a Berlino.
Per due settimane abbiamo lavorato in uno spazio magnifico, le cantine di Kindel Brauerei, per poi aprire al pubblico l’ultima sera, con la presentazione dello studio: c’era tantissima gente…
Che atmosfera hai respirato in Germania?
Credo che questa di Berlino sia stata per me una delle emozioni più forti di sempre. Fare finalmente un progetto su un autore tedesco che amo, che da sempre fa parte – con altri autori tedeschi – del mio percorso personale, e riuscire a realizzare tutto questo nel cuore della Germania, è stato veramente importante. Non soltanto per il lavoro artistico, ma anche per il fatto di vivere a stretto contatto con un modo del tutto diverso di concepire la vita di tutti i giorni. La maggioranza delle persone che abitano a Berlino è in gran parte straniera; è un luogo dove in qualche modo ti è permesso di sperimentare, di rischiare, in qualsiasi settore.
Cosa intendi?
Le istituzioni stesse ti incoraggiano e cercano di aiutarti, e se sei giovane ti danno ulteriori sostegni…
C’è un’apertura mentale che può esistere solo in uno Stato che crede che la cultura sia veramente uno strumento per rafforzare lo sviluppo di una società civile.
Le istituzioni, quando decidono di fare una cosa, la fanno, senza mezzi termini, sono attenti e molto rigorosi alle proposte e ai progetti, sono veloci, l’energia scorre, tutto è possibile… come nel caso del nostro laboratorio. Con un piccolo budget per l’allestimento siamo riusciti ad avere quasi tutto: luci, fonica, costumi, etc. In Italia non sarebbe stato possibile.
Avrà un seguito questa esperienza?
Probabilmente rifaremo lo studio a Berlino. Nello stesso tempo stiamo pensando ad un nuovo progetto per il prossimo anno, da presentare alla municipalità del quartiere di Neokòlln. Un progetto che preveda una serie di iniziative rivolte ai giovani e non solo, come laboratori teatrali, di scenografia, di teatro e movimento, scrittura. Stiamo pensando anche alla possibilità di organizzare una piccola rassegna di teatro.
Intanto stiamo cercando di organizzare dei laboratori anche in Italia, sempre all’interno del progetto “La Germania che ho in testa”, incentrati sul testo di Fassbinder.
Per il momento il gruppo di lavoro, oltre a Nerval Teatro, è costituito da Mauro Paglialonga, la costumista e scenografa Sofia Vannini, Luca Villa per le luci, e Francesco Birigozzi per video e foto.
Approfondiamo un attimo il tuo grande amore per Fassbinder.
Credo che la sua scrittura – sia nei testi teatrali, sia nelle sceneggiature dei film – abbia al centro sempre l’essere umano, con tutte le sue debolezze e contraddizioni. Fassbinder ha rischiato di persona sulle sue scelte artistiche, tanto da sprofondare… ma nel suo sprofondare c’era, e c’è, l’inno alla vita. Ne “La Germania in autunno”, un film collettivo, c’è un momento commovente in cui lo vediamo dialogare di politica e dei fatti terroristici della banda Meinhof con la madre, o anche quando è insieme al suo compagno, rendendoci partecipi della sua omosessualità. Era un uomo che veramente ha dialogato e fatto i conti col suo tempo.
Continui a portare avanti anche il laboratorio stabile coi ragazzi di Armunia. Su cosa stai lavorando?
Da ottobre scorso è iniziato un nuovo percorso incentrato sul movimento. Sto cercando di capire cosa vuol dire per loro la percezione di un corpo in movimento. Cerchiamo di mettere in evidenza il ritmo in un corpo che è nell’impossibilità di attuarlo nel modo giusto, per i deficit che ognuno ha… E’ proprio qui la questione che mi piacerebbe indagare: come un gesto mal fatto o un movimento privo di ritmo possa invece essere dentro ad una partitura, possa ricordare una coreografia; come si inscriva un non gesto in una partitura ben precisa e chi restituisca quella pura e nuda verità che solo quei corpi possono attraversare.
Mi piace pensare all’idea di riuscire, col tempo, a montare una coreografia in cui il gesto e il movimento di questi splendidi ragazzi possa inscrivere una storia solo col movimento.
Raccontaci un po’ del nuovo progetto sul testo di Lucia Calamaro.
In questo periodo stiamo lavorando ad un monologo inedito di Lucia dal titolo “Ma perché non dici mai niente? Monologo”, che dovrebbe debuttare a luglio. Protagonista in scena sarà Elisa Pol.
Per il momento siamo ancora ad una prima fase, anche se abbiamo fatto alcune prove aperte. Siamo molto contenti, anche se ci rendiamo conto che la scommessa non è da poco.
Di cosa parla?
Di una donna che vive sola, abbandonata dal marito, e che forse soffre di Alzhaimer… o forse è solo una povera donna che delira, schiacciata dalla solitudine e dall’abbandono. La cosa interessante è che in questo caso la scrittura non delinea solo il disagio, la sofferenza, ma anche l’ironia, oserei dire la comicità.
Per il momento a me piace dire che la figura femminile in certi momenti ricorda alcuni personaggi di Gena Rowlands.
Con Elisa sulla scena, stiamo cercando di trovare sempre più nelle parole di Lucia “il corpo”: è a partire da questa intenzione che ricerchiamo la via giusta per tratteggiare il percorso dello stare sulla scena della nostra protagonista, e nello stesso tempo il “luogo”, ossia dove siamo…
Lucia Calamaro, cosa puoi dirci del testo che sarà portato in scena da Nerval Teatro?
È il testo in cui appare più rotondamente la condanna al soliloquio come habitat privilegiato della parola. Una convinzione, questa, che mi porto appresso in tutti gli spettacoli, ma qui è dichiarata e assoluta, trattandosi di monologo.
Non credo si comunichi mai, si parli mai veramente, con nessuno. Credo ci si incontri a suon di soliloqui e ci si risponda alla meno peggio in eco tangenziali. Tutta un’imprecisione e un costante fraintendimento. O forse a volte si comunica. Ma capita quattro, cinque volte nella vita. Una vera conversazione, un vero scambio, sono occasioni eccezionali, in una vita.
Perché hai scelto proprio Maurizio Lupinelli ed Elisa Pol per il monologo?
Hanno scelto loro, ed io ho detto sì, perché sono strani quanto basta e non somigliano a nessuno.
Stai preparando anche un nuovo lavoro…
Non so parlarne, o non voglio per ora, mi scuserai. Ti dico il titolo: “La vita ferma: sguardi sul dolore del ricordo”, e ti dico i miei adorati e abbastanza straordinari interpreti: Riccardo Goretti, Alice Redini, Simona Senzacqua. Senza di loro, sai che silenzio…