Chi è John? Indubbio è che, ancor prima di assistere allo spettacolo, chiunque sia incuriosito dal titolo: un nome comune proprio e allo stesso tempo tanto universale nelle sue varianti e traduzioni, da poter accomunare figure religiose, presidenti Americani e attori western. Ma John non compare in scena, almeno non visivamente, e solo sul finire viene fatto il suo nome, in una sorta di mini soap opera in cui il pubblico stesso si ritrova partecipe.
La scena è invece abitata da giochi di altri tempi – trottole, picchi che scendono su aste di legno – con i quali gli interpreti (insieme alla coreografa, Matteo Ceccarelli, Marc Lacourt e Elisa Ferrari) interagiscono, assieme ad altri oggetti a loro totalmente estranei (carote, cd, parrucche) in una sorta di partitura giocosa dove tutto è indizio. Si capisce infatti solo in seguito che gli oggetti, che apparentemente non hanno alcun nesso, costituiscono tessere di un puzzle che solo sul finire prenderà forma, quando tutti gli elementi diventano un tutt’uno per rimandare a più immagini e riflessioni corrispondenti.
C’è il gioco anzitutto, che caratterizza tutta la performance coinvolgendo continuamente anche il pubblico. I performer giocano con il rapporto tra pubblico e azione performativa attraverso domande, richieste di partecipazione attiva e una serie di corti circuiti che diventano parte integrante dell’insieme. Giocano inoltre con il tempo, attribuendogli valori nuovi e del tutto casuali, o decostruendo ciò che è stato fatto, come quando un semplice pretesto – il picchio che cade senza che sia stato preso come previsto – impone di ricominciare tutto da capo, andando così a rappresentare la possibilità del rivivere e ripensare il proprio vissuto.
Si gioca inoltre con il fare spettacolo, in una chiave ironica più filtrata rispetto ad altre caricature a cui spesso assistiamo, esasperate dalla stessa (troppa) contemporaneità. Come dire che la verità va cercata oltre i simulacri delle fratture e degli insuccessi della società che ci circonda, nei piccoli gesti, negli atteggiamenti, nelle idiosincrasie più o meno assurde delle nostre multi-identità.
Lo stampo libertario, la casualità degli eventi, il trasporre il gesto quotidiano nell’opera d’arte fanno pensare che John possa anche essere un omaggio a John Cage e ai suoi happenings, dove il gioco e gli oggetti comuni, intrisi di una loro artisticità, oltre all’interazione con il pubblico, sono parti costituenti di molte sue performance.
Pur trasformando tutto in leggerezza, Ambra Senatore, che aveva presentato il nuovo spettacolo anche a Torinodanza a inizio del mese, porta avanti una ricerca sensata che lascia spazio alla riflessione senza necessariamente destabilizzare, con quella fluidità del movimento che le è propria, con gli scivolamenti apparentemente casuali del gesto e con sfumature dell’ironico che non cadono mai nell’eccesso, consegnandoci un lavoro che fa respirare appieno la spontaneità eloquente del gesto.
John
coreografia: Ambra Senatore, in collaborazione con Matteo Ceccarelli, Elisa Ferrari e Marc Lacourt
in scena: Ambra Senatore, Matteo Ceccarelli, Marc Lacourt e Elisa Ferrari
luci: Fausto Bonvini
progetto sonoro e musicale: Igor Sciavolino
durata: 1h
applausi del pubblico: 3’
Visto a Ponte a Moriano (Lucca), Teatro Nieri, il 12 ottobre 2013