“Produrre traiettorie e non territori” è una delle tracce offerte, consentendo un continuo superamento delle barriere di genere, con un interscambio tra pratiche diverse, e un continuo rilanciar il proprio orizzonte più lontano, dall’esortazione a bucare le nostre abitudini interpretative e operative, nella riconsiderazione dell’atto performativo come gioco che lavora e resiste al nostro indebitamento con il tempo (“Senza grazia. Azzardo e vita quotidiana”, la relazione illuminante di Marco Dotti) al lungo e appassionato excursus di Chiara Guidi sulla sua ormai trentennale relazione di amore e lotta con e contro la voce (“Relazione sulla verità retrograda della voce”, eccezionale documento di una “tecnica molecolare” che antepone il suono al significato, disponibile in podcast anche sul sito di RadioTre).
Dalla tecnologia al servizio del lirismo visivo (o viceversa) nel lavoro di Masque Teatro o dell’interattività più imprevedibile e rovinoso (Collettivo Cinetico, “X. No, non distruggeremo l’Angelo Mai”) alle incursioni brevi su commissione di “Ornitologia”, progetti estemporanei, con esiti spesso comici, affidati da Michele Di Stefano, direttore artistico della compagnia Mk e di Angelo Mai Italia Tropici, a diversi performer che condividono, lo stesso brano musicale, la stessa durata e posizioni corporee di partenza e fine.
E ancora, tra le altre incursioni, si è passati dalla brillantezza mimica di Isabella Mongelli (“Lido Azzurro”) alle atmosfere esotiche, queer (alla Jack Smith), di Hugo Sanchez, Anna Clementi e Lola Kola (“Tropicanesimo”); dall’uso ironico ed estensivo dello spazio e del tempo ne “L’infanzia di San Francesco d’Assisi” rivissuta da Fabrizio Favale / Le Supplici, fino al corpo a corpo sonoro del “Bangalore Air Show” a cura di Biago Caravano (MK) e Luca Brinchi (Santasangre), inoltrandoci poi in atmosfere ‘gothic’ passando dagli appunti performativi su Edgar Allan Poe, al limite e oltre il grottesco di “Song for Edgar” (Teatro delle Moire) fino al fragore nero del concerto-performance finale inscenato da Black Fanfare Dewey Dell (“Tuono”).
Merita un approfondimento, in questa panoramica, “Just Intonation” di Masque Teatro, che situa la sua ricerca tra una morbosità kafkiana trasferita anche in ambito sonoro, e la rarefazione della stessa materia sonora, il suo nascondimento, un assottigliamento dell’udibile, che rimanda ai lavori di LaMonte Young.
Tra toni puri di durata estesa, un continuum che accompagna il corpo in scena, una figura femminile emerge dall’oscurità ed esplora lo spazio in lenta evoluzione su una superficie che prima pare un letto e poi un pianoforte ribaltato.
Accanto al corpo, come unica altra presenza scenica, un Disklavier, pianoforte Yamaha sprovvisto di musicista ma comunque risonante, poiché in grado di essere pilotato in remoto via midi. Ma l’indipendenza dall’operazione umana è solo apparente, poiché è letteralmente il corpo di Eleonora Sedioli a suonare, a mettere il tono giusto nella nota attraverso un complesso sistema di video-tracking che converte le variazioni luminose prodotte dai movimenti della performer in segnali digitali midi.
Aldilà dell’elaborata macchina tecnologica alla base della struttura compositiva, “Just Intonation” sembra cercare soluzioni per rispondere al vuoto (del pianista in scena, ma non solo e ben oltre), nutrendosi di essenzialità e precisione prossime al rito e al sacro: tanto calibrato e teso alla scomposizione analitica dei gesti è il lavoro coreografico della performer, quanto rigoroso è il lavoro di decifrazione sonora e luminosa dell’intensità e della durata dell’azione.
Tornando a Tropici e al suo eterogeneo insieme di proposte, quel che più preme far notare è quanto vitale possa risultare, nel grande e faticoso calderone di “già visto” che Roma offre, pensare una rassegna come questa, in cui ancora si tenta di andare oltre l’ossessione dei contenuti, ripensando piuttosto, eccentricamente, spesso indisciplinatamente, le forme e le tecniche della ricerca e della creazione.