Il cielo su Torino è tutto qui?

Il mondo di C.i.
Il mondo di C.i.

La cornice è sempre affascinante: la sala dell’ottocentesco Teatro Gobetti accoglie la seconda edizione della rassegna “Il cielo su Torino” che, mutuando il titolo da uno dei successi dei Subsonica, mira a sostenere giovani compagnie e realtà teatrali piemontesi legate ai linguaggi del contemporaneo. La proposta di Sistema Teatro Torino seleziona per ogni stagione nuovi allestimenti da inserire all’interno del cartellone del Teatro Stabile, in duplice replica, destinando l’intero incasso (escluse le spese Siae) alle compagnie.

Protagoniste della precedente stagione erano state la Piccola Compagnia della Magnolia con “Atridi-Metamorfosi del rito”, O.P.S. Officine per la Scena con “I giganti della montagna” di Pirandello, Compagnia Crab con “Le notti di Tino” e Silvia Battaglino con “Lolita”.

Dal 5 al 17 gennaio la nuova edizione: i riflettori sono stati puntati sulle produzioni di Kataplixi Teatro, Associazione Tedacà, 15febbraio in collaborazione con Associazione Baretti, Roberto Zibetti e Maniaci D’Amore Teatro.

Kataplixi, in collaborazione con Acti Teatri Indipendenti e Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, sceglie la messa in scena di “Occident-Express”, testo di Matéi Visniec, fertile autore ed intellettuale cresciuto a Bucarest e naturalizzato francese che,  manifestamente anti-ideologico, è stato sottoposto a pesante censura durante il regime di Ceaușescu.

Di una disillusione politica fortemente critica che permea le pièces di Visniec, nonché emblematica di un ultimo Novecento est-europeo che ha sfatato molti dei dogmi precedenti alla caduta del Muro di Berlino, viene sviluppato il piglio sarcastico e l’amara ironia.
“Occident-Express” è un collage di quadri, di momenti catturati su un treno che procede verso Parigi, in traiettoria speculare al mitico Orient Express dei diplomatici e degli uomini di affari che, dal 1883, tagliarono l’Europa in cerca delle promesse balcaniche. L’Occident-Express è la conseguenza di un richiamo, non sempre liberamente scelto, verso l’Ovest.

I personaggi sono un nonno, reduce di guerra e ormai cieco, che attende ogni giorno il passaggio del treno sui binari della stazione per assaporare l’odore d’avventura che i vagoni lasciano dietro di sé lungo i binari; un gruppo di attori professionisti, assoldati come figure d’intrattenimento del vagone ristorante per farsi stereotipati “zingari” rumoreggianti, ma anche grezzi e volgari; una giovane donna che cerca di sedurre per denaro “you biutiful American!” tra una telefonata e l’altra della madre con il nipote influenzato; e una coppia di migranti senza meta che, dopo una lunga traversata clandestina su strada, si ritrovano sull’Occident Express.

Ben strutturati i cambi scenici e le scelte musicali; ciò che vince nella messa in scena di Kataplixi Teatro è l’uso orchestrale dei corpi in ambientazioni semplici ed essenziali (qualche panchina, una paio di sedie).
I dialoghi del testo di Visniéc snocciolano la loro crudezza su un treno di cui viene restituito il movimento, e tra uomini e donne seduti, in silenzio, di spalle. E’ in quest’atmosfera che un figlio cercherà di convincere il padre a scrivere la sua biografia di carnefice per un successo editoriale assicurato: “Fai dei tuoi errori il tuo capitale”.

“Il Mondo di C.I”, spettacolo di Lorenzo Fontana e Nicola Bortolotti ispirato alla figura di Christopher Isherwood, sostituisce all’ironia il lirismo.
Un lungo ed intenso monologo (recitato con bravura dallo stesso Fontana) ripercorre con introspezione gli abbandoni di un professore (George, protagonista del romanzo “A single man” e alter ego di Isherwood) alle prese con un dolorosissimo lutto, quello del suo compagno di vita Jim, morto in un incidente.
Abbandoni e scelte, perdite e ricordi, libri letti e scritti, incontri evocati in una stanza chiusa e in un tempo sospeso si riflettono metaforicamente nei giochi di luci e ombre che filtrano sullo sfondo: un paesaggio inglese settecentesco di Thomas Gainsborough che gli autori definiscono, e così pare davvero, “un romanzo per gli occhi”.

Deludenti, invece, “Strani – Oggi” di Associazione Tedacà, “La Gerusalemme Liberata” per l’interpretazione e la regia di Roberto Zibetti e “La Crepanza” dei Maniaci d’Amore.

Di spettacoli su una generazione senza più prospettive se ne sono visti davvero tanti negli ultimi anni. Così tanti da rendere un azzardo riproporre ancora l’argomento sperando di non cadere nel detto e ridetto. La precarietà giovanile c’insegue ormai da almeno un decennnio. La scommessa era quindi difficile in partenza e Tedacà, pur nell’evidenza di un lavoro corale che non mette in dubbio le intenzioni e l’entusiasmo del gruppo, non cade in piedi da questa prova.
Le storie dei giovani protagonisti sono quelle dei nostri amici dell’Erasmus, di noi stessi, dei vicini di casa, dei compagni di università… niente di nuovo sotto il sole; così come non è nuova la situazione di ‘palude’ che i personaggi cercano di superare nelle diverse maniere possibili, tra Italia ed estero, tra fughe e ritorni e tanti, troppi, stereotipi.
Piccoli sketch, con una comicità a tratti più o meno riuscita, propongono quindi l’ennesima istantanea sull’argomento.
Ma per emergere (e uscire da questa palude) occorrono idee nuove; non sempre trovarle e scriverle può risultare facile, ecco perché a volte l’autorialità altrui può venire in aiuto.

Passiamo a “La Gerusalemme Liberata”. Roberto Zibetti, accompagnato dalle musiche dal vivo (cuore salvifico dello spettacolo) del trio Giorgio Mirto, Celeste e Placido Gugliandolo, si dilunga in una selezione episodica della grande opera del Tasso con un occhio al teatro di Paolini, ma senza riuscire in una rilettura accattivante. Pura recitazione, ottima per un audiolibro ma inadatta per il teatro, ed ulteriormente afflitta da proiezioni che, alle spalle dei musicisti, dovrebbero ammorbidire il ritmo di una noiosa filastrocca ma riproducono invece immagini piatte di Gerusalemme come fossero i paesaggi automatici dello screen saver di un desktop.

Concede qualche sorriso in più il duo Maniaci D’Amore, qui alle prese con gli unici due superstiti dopo la fine del mondo, circondati da un paesaggio selvaggio, minaccioso e desolante.
I “tipi” sono quelli dei precedenti “Biografia della peste” e de “Il nostro amore schifo”: lui paranoico ed introspettivo, lei possessiva e materiale. S’inserisce tuttavia in “La Crepanza” anche una Madonna-fata, la Fadonna, elemento di sacralità con cui dovrà confrontarsi il profano di un mondo “post” ed attorno alla cui figura emergeranno le contraddizioni di un uomo e una donna di fronte al vuoto e alla violenza delle proprie domande.

Il trittico è stimolante, ma la narrazione procede disordinata e drammaturgicamente incompleta, cosa che, in assenza di soluzioni nuove rispetto alle precedenti creazioni, rende “La Crepanza” un collage poco riuscito di cose già viste e sentite.

Si sono nel frattempo chiusi, la scorsa settimana, i termini per il bando di partecipazione all’edizione 2016/17 della rassegna: “Il cielo su Torino” vedrà una terza edizione. Lo Stabile di Torino mantiene nelle intenzioni future un’attenzione a quella scena locale altrimenti estranea o lontana dai suoi circuiti.
Ma affinché queste repliche ‘di prestigio’ non diventino solo un’occasione di sfoggio destinate ad amici e parenti, perché servano davvero a creare contaminazioni di pubblico e opportunità vivificanti per le compagnie, crediamo valga la pena una riflessione sulla qualità delle proposte, che vengono valutate dell’Area Produzione e Programmazione dello Stabile sulla base dei materiali inviati, seguiti da eventuali incontri di approfondimento.
Si potrebbe allora giustificare il “rischio – riuscita” addossandolo a un bando che (come molti, del resto) va alla ricerca di spettacoli ancora in fieri o meglio, in una “forma pre-definitiva” che permetta comunque di vederne prove o video.
Ma tentativi e risultati non sempre coincidono.

In attesa della prossima edizione, la speranza è che la qualità complessiva dei lavori possa migliorare. Lascia infatti un po’ perplessi constatare come il progetto non abbia stanato, nell’ambito della realtà teatrale piemontese Off-Stabile, qualcosa di più ‘maturo’. Che sia l’offerta a non essere sufficientemente attraente? I talenti in nuce (e non ce ne vogliano le compagnie qui nominate, ma la domanda è posta in modo più generico) offrono davvero ‘solo’ questo?
E, soprattutto, qual è la consapevolezza – da parte sia delle istituzioni che delle compagnie – di tale situazione?

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