E che peggiora ulteriormente la condizione già drammatica della donna che vi è incastrata dentro perché – e questo la differenzia da altre messe in scena – non riesce, neanche sporgendosi, a vedere suo marito Willie.
Un uomo, anche lui sulla sessantina, che vive rintanato in un buco posto dietro l’installazione, ridotto ad uno stato quasi larvale, a cui la moglie continua a rivolgersi sebbene riceva in cambio solo mugugni o risposte monosillabiche.
Alla privazione di ogni elemento di normalità (un immobilismo pressoché totale, il campanello che scandisce l’ora del sonno e della veglia) fa da contraltare il chiacchiericcio salottiero e inarrestabile di Winnie, la ripetizione di gesti quotidiani e tipici di un modus vivendi borghese come lavarsi i denti, pettinarsi, il “tenersi in ordine”. Ma soprattutto la sua ostinazione a dichiararsi felice. “Un altro giorno divino” è la sua prima affermazione, che verrà ripetuta più volte nel corso della celebre pièce di Samuel Beckett, al Teatro Out-off di Milano fino al 14 aprile.
E’ proprio in questo millantare una felicità che sembra inconcepibile e inconciliabile con la condizione di degrado in cui i coniugi si trovano che risiede il corpus dell’opera. Nella forza, o ridicolaggine, dell’essere umano – per dirla con le parole di Beckett – di “voler sempre affermare la vita anche se è forse la peggiore delle condizioni possibili”.
Riuscire a tenere la scena senza poter usufruire di nessun mezzo espressivo, se non quello della voce e della mimica facciale, è una sfida non semplice, accolta in passato da grandi signore del teatro (per le messe in scena italiane ricordiamo Giulia Lazzarini, Adriana Asti, Lucilla Morlacchi…). E che Elena Callegari, attrice di riferimento di molti lavori di Loris ma alle prime prese con un’opera beckettiana, affronta con discreta maestria. Giocando molto sulla vividezza dello sguardo, attraverso un uso quasi fibrillante delle pupille, soprattutto nel secondo atto, in cui Winnie è conficcata fino al collo nel cerchio. E su quella che potremmo definire un’umanizzazione del personaggio, a cui viene attribuita una lieve inflessione dialettale milanese (molto più marcata nel racconto che Winnie fa dei coniugi Shower – o Cooker? – passati da quelle parti tempo addietro), che lo rende meno astratto.
Le incursioni di Loris al testo originale non sono tutto sommato molte, se si escludono alcune videoproiezioni (fiori, erba, fuoco, universo, parole) che invadono, in precisi momenti dello spettacolo, il cerchio, oltre alla sigla della famosissima serie televisiva “Happy days”, che accompagna l’inizio e la fine di questi Giorni felici.
GIORNI FELICI
di Samuel Beckett
traduzione: Carlo Fruttero
regia: Lorenzo Loris
con: Elena Callegari, Matteo Pennese
scena: Daniela Gradinazzi
costumi: Nicoletta Ceccolini
luci: Luca Sioli
durata: 1h 30’
applausi del pubblico: 2′ 10”
Visto a Milano, Teatro Out-Off, il 3 aprile 2013
Prima nazionale