Il corpo come cura: analisi transazionale e training teatrale nel libro di Lo Re e Orlandini

Lo Re e Orlandini (ph: Sara Viganò)
Lo Re e Orlandini (ph: Sara Viganò)

L’incontro tra una psicoterapeuta e un regista diventa una guida per progettare il laboratorio di teatro. E avviare la trasformazione nelle relazioni e nell’arte

«Non nasce teatro laddove la vita è piena, dove si è soddisfatti. Il teatro nasce dove ci sono delle ferite, dove ci sono dei vuoti. È lì che qualcuno ha bisogno di stare ad ascoltare qualcosa che qualcun altro ha da dire a lui» (Jacques Copeau).

Il teatro come ricerca e necessità, come ferita e bisogno di autenticità, è sempre esperienza psicoterapeutica. Lo è il training, in quanto rinnovata consapevolezza di sé e padronanza di corpo. Lo è la scena, quando semplicemente da spettatori, nel più tradizionale dei riti, ci sediamo davanti a qualcuno che ci narra una storia.
“Il corpo come cura. L’esperienza del teatro e delle relazioni d’aiuto” (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 176, euro 16) è un libro scritto a quattro mani da Emanuela Lo Re, psicoterapeuta, e Claudio Orlandini, attore e regista teatrale.

Lo Re e Orlandini sono anche formatori di “All’improvviso il gruppo”, master sulla conduzione dei gruppi che unisce psicologia e arti sceniche. Essi accompagnano i partecipanti a sperimentare il confronto e la molteplicità, così da rivelare aspetti latenti di sé a volte inattesi e sorprendenti.
Dunque il teatro e la psicologia, la scena e l’Analisi Transazionale. La creatività diventa grimaldello per ascoltarsi, accogliersi, raccontarsi, trasformarsi. E generare nuove aspirazioni e speranze. Incontrando il Vero Sé. Prendendosi cura anche dell’altro.
Chi chiede aiuto, come chi va a teatro, quasi sempre «è alla ricerca delle ragioni della propria esistenza e crede che queste ragioni possano essere ricercate e trovate nella relazione con un altro essere umano».
Proprio per nutrire la fiducia di coloro che andranno a incontrare, gli analisti e gli attori si preparano, provano, dedicano tempo ed energie alla loro formazione in modo inarrestabile, con strategie sempre da perfezionare.
Il lettore incontra qualcosa dei propri nodi irrisolti; si interroga; delinea nuove possibilità.

Il libro è scorrevole. Alterna riflessioni di psicologia ed esercizi di teatro. Si adatta a docenti, psicologi, educatori, manager, counselor, supervisori. Interroga criticamente gli scenari della nostra normalità. Pone al centro dell’attenzione il corpo come sperimentatore di polarità, come ricettacolo di sensazioni ed emozioni: per vederci e vedere l’altro; per affrontare i traumi invisibili propri e altrui; per costruire la propria identità; per far nascere azioni creative e prefigurare luoghi di cura; per nutrire e sviluppare le proprie aspirazioni esistenziali più autentiche.
Ogni capitolo si apre con un’ampia citazione di un testo teatrale, coerente con il tema trattato. Il lavoro è un invito a trovare il contatto con quello che ci circonda e accade fuori, e con ciò che accade dentro di noi. Ci spinge a considerare il blocco di convenzioni, pregiudizi, illusioni e ossessioni che limitano la nostra autodeterminazione. Comprendiamo che dietro la millantata stanchezza spesso si nasconde una profonda tristezza, e che essere prede di frustrazioni e conflitti significa sempre limitare la propria libertà e assertività. Al contrario, l’esperienza dello stato attoriale ci permette di recuperare la nostra sensorialità, decontaminandoci e vivendo nella pienezza.

Ritrovare centralità e sintonia con gli altri: è questo il senso del teatro e di un laboratorio teatrale. Uno scritto recente del critico teatrale Alessandro Toppi pare sintetizzarne perfettamente il significato, che è lo stesso che ritroviamo in questo libro: «…camminare e produrre un battito quasi inavvertibile; partecipare a un movimento rendendo la collettività un unisono; sincronizzare il ritmo nonostante le nostre differenze; trovarci a terra in un tonfo solo; accordarsi sul cambio di tono o di respiro; riuscire a far rimanere un cerchio un cerchio: senza premerne la forma, senza slabbrarne la distanza. E valorizzare col mio gesto il gesto del compagno. Sentire che il mio turno s’incastra saldamente con il tuo. Andare nel piccolo e nel celere; sparire, perché sorga una costruzione che non c’era».

Emanuela Lo Re e Claudio Orlandini
Il corpo come cura. L’esperienza del teatro e delle relazioni d’aiuto
Ed. San Paolo
2024
176 pg.
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