Il Ferdinando di Arturo Cirillo. Una regia attenta a non prenderle

Ferdinando di Arturo Cirillo
Ferdinando di Arturo Cirillo
Arturo Cirillo e Monica Piseddu (photo: Marco Ghidelli)

“Ferdinando” è un testo di intrinseca cattiveria, uno sguardo cinico sull’universo perbenista della parte molle della società.
La denuncia di Annibale Ruccello in realtà non ha un personaggio portavoce, ma gira a turno sulla bocca di tutti, e finisce nella crudele condanna con cui la mediocrità prevale sulla mediocrità per il tramite degli istinti più brutali.
Da questo punto di vista, la storica drammaturgia di Ruccello è un capolavoro di cinismo e un atto d’accusa durissimo ma criminalmente lucido.

La vicenda narrata è nota: Donna Clotilde, una vedova dal tratto forte e dal credo politico borbonico (Sabrina Scuccimarra) vive allettata e assistita da un’altra zitella, Gesualda, dal carattere succube (Monica Piseddu) ma desideroso di rivincita. Questa è l’amante di Catellino, il torbido (e accanitamente bisex) sacerdote di paese, vocato ai piaceri della carne con missionaria dedizione.

Saranno tutti soggiogati dal giovane Ferdinando (Nino Bruno), aitante impostore che, fingendosi nipote lontano della vedova, si presenterà a casa della malata immaginaria, risvegliando in lei e nelle altre figure che le sono di grigio contorno l’istinto per la vita, a qualsiasi costo.

E con una storia di soldi finirà la vicenda, con un colpo di genio drammaturgico che ne ha fatto la più nota scrittura teatrale del mai abbastanza rimpianto scrittore partenopeo, che con le sue opere di onirica e spaesante evocazione dell’inarrivabile follia nel mediocre quotidiano, anticipava le evoluzioni della scena che furono poi di tutta la scuola britannica degli ultimi due decenni del secolo scorso.

Che lettura dà di questo capolavoro il regista napoletano Arturo Cirillo, anche lui in scena nella parte del prete?
La menzione alla malata immaginaria, nell’inconscio del fruito teatrale, si lega più che alla storica versione interpretata da Isa Danieli, a quel “Malato immaginario” interpretato da Peppino de Filippo, con il letto frontale a vantaggio degli spettatori.

Infatti la proiezione ortogonale di questo spettacolo è proprio geometrica, lineare: cerca, escluso qualche (peraltro inutile) ‘fuori pista’ sopra le righe della Scuccimarra nel campo della napoletanità più ‘vaiassa’ e gesticolante, di non prendere nessun rischio né di lettura del testo né di interpretazione, lasciando cuocere la vicenda scenica nella broda grigia e decadente in cui ovviamente la si immaginerebbe.

Un tappeto sdrucito e stinto a fare da cosmico fondale. Tutto è a vista e nulla è lasciato alla fantasia, mentre di tanto in tanto arrivano segni poco spiegabili come l’ingresso del personaggio di Ferdinando, che irrompe in scena di corsa.
Sì, certo, il contrasto con l’immobilità del mondo in cui piomba, ma poco altro.
Un segno scenico peraltro incongruente con tutto il resto del recitato, che invece non è di congettura meta teatrale e di portato simbolico. Se il codice di lettura è quello del realismo recitativo, risulta senz’altro interessante la livida Gesualda della Piseddu; mentre il Catellino di Cirillo è di mestiere.

Quanto a Ferdinando, ogni forma vivente (come ogni personaggio teatrale) trova nell’evoluzione la sua “species”, il suo volto, la sua sembianza, e quella che Cirillo sceglie per dar corpo al personaggio ruccelliano appare proprio estranea all’evocazione al contempo efebica e suadente: il giovin attore si difende, ma non buca mai la quarta parete.

Ad un tratto pare che tutti cerchino di non far danno, ma questo è proprio il limite generale di questo lavoro, che pare attanagliato dalla paura di osare una lettura originale, non “media” di questo testo.
Tutto è proprio come lo si potrebbe immaginare nella meno audace delle fantasie, dove la bravura è nel cercare di non commettere errori e di portare la nave in porto con meno inciampi possibili.

Nulla di indimenticabile dunque, per una lectio poco sapida dal punto di vista degli interrogativi profondi. Sembra mancare la sospensione, il clima paradossale di rarefatta e nascosta pesantezza del destino di sconfitta, un qualsiasi dietro le quinte dell’animo dei personaggi, che ne lasci respirare il portato criminale, che invece arriva quasi come una soluzione ex machina, anziché essere regolata, dal punto di vista scenico, come un potenziale nel carattere di queste figure umane, e di cui la regia riesca a scolpire il diafano bassorilievo esistenziale.

Ciò non vuol dire che lo spettacolo non piaccia: il pubblico, proprio perché di fronte a una messa in scena non rischiosa, gode di questa facilità.
Lo spettatore non deve interrogarsi, cercare segni, simboli, le trovate drammaturgiche sono proposte nella modalità più elementare. La recita si adagia in un comodo fruire la storia, interpretata con l’idea dello spettacolo popolare, basato su un dialogo istintivo fra attori e pubblico, in cui il calibro degli interpreti pare registrato in un meccanismo volutamente rodatissimo e di tanto in tanto ammiccante. Niente di male, per carità. Dipende da quello che si cerca.

Dal nostro punto di vista, è un po’ come assistere ad una partita non di cartello (anche se avrebbe sordidamente, come Catellino, la pretesa di esserlo) giocata con l’obiettivo di non perdere, anzi, senza provare, dal punto di vista registico, mai a vincere (proprio come Catellino): l’equivalente di un 1 a 1 fra Pro Vercelli e Sangiovannese, con i gol arrivati un po’ per caso. Già a dirlo, lo si immagina.

FERDINANDO
di Annibale Ruccello
con; Sabrina Scuccimarra, Monica Piseddu, Arturo Cirillo, Nino Bruno
regia: Arturo Cirillo
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
disegno luci Badar Farok
musiche Francesco De Melis
regista assistente Roberto Capasso
produzione Fondazione Salerno Contemporanea – Teatro Stabile d’Innovazione
in collaborazione con Benevento Città Spettacolo

Visto a Milano, Tieffe Menotti, il 13 febbraio 2013

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4 Comments

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  1. says: roby

    chi è abituato alla cucina grassa non apprezzerà mai cibi raffinati e Francambandera sicuramente magia al Mac donald’s. Avete mai visto i suoi tristi e banali ritratti?
    Non te la prendere con gli artisti se non sei mai riuscito ad esserlo

  2. says: daniele timpano

    Oh, severo Francabandera! e potevi venire a veder noi alla contraddizione se poi dovevi soffrire tanto!! 🙂