Il Giardino di Benedetto Sicca, tra metafora e metateatro

Il Giardino dei Ciliegi
Il Giardino dei Ciliegi
Il Giardino dei Ciliegi

“Uno dei testi più rappresentati di Cechov merita oggi un percorso di riscoperta che giustifichi la stessa messa in scena”. E’ quanto si legge nelle note di regia diBenedetto Sicca, che ha diretto la compagnia Teatro Mane “Il giardino dei ciliegi” in scena al Teatro dei Filodrammatici di Milano.

Una riscoperta, dunque, di un’opera che già all’indomani della sua nascita rivelava una duplice natura, ora commedia ora tragedia, e che non lesina critiche impietose all’aristocrazia russa, incapace di adattarsi ai cambiamenti successivi all’emancipazione dei servi della gleba, ma che allo stesso tempo fu tacciata di portare in sé tracce del pensiero bolchevico di Checov.

Scovare il nuovo, in un classico che da oltre un secolo viene indagato in diverse forme e sfaccettature, non è un’operazione così scontata e tantomeno poco rischiosa. 
Per raggiungere l’obiettivo il regista, dopo un percorso laboratoriale a tappe con Teatro Ma (progetto teatrale indipendente di dieci attori diplomati nel 2011 all’Accademia dei Filodrammatici), ha deciso di mettere in jeans e camicia i protagonisti di questo “Giardino dei ciliegi”, di avere come sfondo sedie in legno legate ad elastici tesi, proprio come la loro condizione aristocratica, e di muoversi su un pavimento cosparso di mucchietti di sale che, come la sabbia nella clessidra, sottolineano lo scorrere incessante del tempo.

Ogni personaggio è introdotto da un tema musicale eseguito dalla violoncellista Bruna Di Virgilio, unica protagonista in costume d’epoca insieme al maggiordomo Fiers (Mauro Lamantia).  E’ grazie alla loro presenza che questo Giardino diventa quasi un’opera metateatrale.

Fedele è invece l’aderenza alla drammaturgia. Una scelta coraggiosa, quella di non operare nessuna modifica o adattamento ad un testo dei primi anni del secolo scorso: solo l’introduzione di citazioni sparse qua e là, da Alda Merini a Hikmet passando per Shakespeare. 
Una decisione che ha come diretta conseguenza un ritmo non sempre serrato, a cui si aggiunge la maggiore propensione dello spettacolo verso il tragico, sacrificando un po’ il suo risvolto in commedia. Se i versi tratti da “La clinica dell’abbandono” di Alda Merini, dal “Don Chichotte” di Nazim Hikmet e dall’Amleto portano vivacità e colore allo spettacolo, altre volte finiscono col trascinare questo “Giardino dei ciliegi” in strade che paiono prive di sbocco.

La tensione, tuttavia, riesce a rimane alta grazie soprattutto alle presenze femminili, che mostrano, nonostante la giovane età, di avere consapevolezza del palco, di saper usare il corpo, di controllare i movimenti e domare le emozioni. Particolarmente intensa l’interpretazione di Sara Drago, nel doppio ruolo di Liuba e Anja, e di Sonia Burgarello, anche lei nel doppio ruolo di Carlotta e Duniasa. Se nei loro dialoghi c’è intensità, nei loro non detti c’è altrettanto realismo.

Nella trasfigurazione della vicenda della famiglia aristocratica russa, che si vede sfilare da sotto la sedia quel giardino dei ciliegi acquistato dal figlio di un servo, leggiamo la metafora di ciò a cui abbiamo dovuto rinunciare nostro malgrado. La nostalgia e l’amarezza dei protagonisti travalicano i confini della vicenda per conquistare una dimensione universale, capace di penetrare ancor oggi l’animo degli spettatori. 

Il Giardino dei Ciliegi

di Anton Cechov 
regia: Benedetto Sicca
con: Riccardo Buffonini, Sonia Burgarello, Bruna Di Virgilio, Sara Drago, Mauro Lamantia, Giancarlo Latina, Luigi Maria Rausa, Beppe Salmetti, Carla Stara 
produzione: Teatro Ma / Ludvig con il sostegno di Teatro Filodrammatici

durata: 1h 40′

Visto a Milano, Teatro dei Filodrammatici, il 23 ottobre 2014
Prima nazionale

Tags from the story
,
0 replies on “Il Giardino di Benedetto Sicca, tra metafora e metateatro”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *