«Ora, d’improvviso, rieccolo […], in quella turbinosa apparizione che aveva del tragico e del carnevalesco»
(L. Pirandello, Tirocinio [1905], in Novelle per un anno, vol. IV, a cura di S. Costa, Mondadori, Milano 2011, p. 111).
Rieccolo. Il teatro aperto, il foyer gremito (si fa per dire…), il sipario non più calato. Luci vespertine, ritrovi cortesi, piovose abluzioni. What is the phrase? Riapertura bagnata, riapertura fortunata. A colpire è però, innanzitutto, il clima di parziale sconcerto, lo spaesamento che percorre endemico lo sguardo degli intervenuti. Disimparate le più antiche mondanità, tra ombrelli richiusi di fretta, code all’ingresso e corpi in scansione, un certo imbarazzo suggella invero il rientro a teatro. Rieccolo dunque, il rito bizzarro, l’abito tragico e carnascialesco.
Il piacere dell’onestà, su cui la scuderia del Teatro Stabile di Torino sceglie di scommettere per riaprire i battenti dopo sei mesi di virtualità coatta, è un piacevole balzano, termine che, se aggettivato, ben si addirebbe all’ars agendi del primo attore. In Valerio Binasco, qui in duplice veste di persona dramatis e regista, risulta infatti assai labile il confine tra civis e homo fictus. Un tourbillon caleidoscopico e mai spossante, il suo, che obbliga il capocomico e direttore artistico – sornione l’attimo prima, intenso quello successivo – a un indefesso “giuoco delle parti”. Lo spettacolo si apre con un suo breve prologo, energico e genuino, per quanto dovuto: un messaggio di bentornato volto alla platea, con un sorriso beneaugurante al seguito, lanciato dalla ribalta, in piena luce.
Dopodiché, tutto ha nuovamente inizio: attori e spettatori si rimettono in gioco, ri-educandosi all’ascolto, alla visione. Al centro dell’allestimento, nonostante l’arrivo in differita, un musiliano “uomo senza qualità”, Angelo Baldovino, cui presta volto e voce l’alessandrino: «E’ la prima figura di antieroe del drammaturgo siciliano – leggiamo nel quaderno di sala – un perdente, un relitto, ma soprattutto un uomo solo, che ha fatto dell’isolamento la personale difesa da una società che lo ha spinto ai margini». È colui che viene a squarciare cieli di carta(pesta), a rimuovere l’ovatta della vita quotidiana. In virtù della sua condizione di reietto, viene introdotto da Maurizio/Lorenzo Frediani come l’ideale capro espiatorio per cavar d’impaccio una giovane di buona famiglia, compromessa dal già ammogliato cugino: in cambio infatti del ripianamento dei propri debiti di gioco, Baldovino accetterà certamente di sposare la bella Agata/Giordana Faggiano, incinta del coniugato marchese Colli/Rosario Lisma, con il beneplacito della madre di lei, Maddalena/Orietta Notari, e la promessa di chiudere un occhio sulla fedifraga liaison.
L’uomo accetta dunque su di sé il ruolo che il consesso familiare gli propone, mostrandosi tuttavia – appena un istante più tardi – un loico ingombrante, di razionalità così caustica e tagliente da risultare esasperante.
La scenografia – opera del nitido lapis di Nicolas Bovey – ci trasporta in un salotto di nordico rigore, ma vago sentore medio-novecentesco. Accompagna il pubblico in vari ambienti domestici, tra il grigio argenteo e l’écru, tinte che ben canalizzano quel sentimento di perbenistica facciata che percorre le vite dei protagonisti. La geometria abitativa, tra circoli rotanti sul piano di calpestio e fondali quadrangolari, trascolora alfine in un eburno tendaggio, che genera un’atmosfera trasognata, da pellicola espressionista. L’incedere si fa qui più lento e le battute più sincere, viscerali. Molto interessante la fisicità di Giordana Faggiano, che nel ruolo di mademoiselle psicastenica emana tramite il proprio corpo un lucore magenta, macchia – per l’appunto – balzana sul pervasivo manto cinereo, esteriore e morale, dell’allestimento.
Se mediante i costumi Gianluca Falaschi ci riporta al tradizionale dramma familiare, il contraltare perfetto lo offrono le parole dette, talvolta sbocconcellate, talaltra poste su una curva tonale che raggiunge il brivido, lo squillo (per esempio, quando la Notari lamenta sfinita le vessazioni subite da parte del novello genero).
A rendere, all’interno dello spettacolo, una brillante prova d’attore sono in particolare le figure di Baldovino e Maddalena: nel primo si intercettano di continuo (grazie alla mimica e alle screziature vocali, in un registro che dall’ironico sprofonda nel drammatico) i frammenti di un’umanità irrisolta. Per ammissione infatti dello stesso Binasco, «Baldovino nella sua vita ha dovuto sostenere tre incarnazioni almeno: prima era un uomo rispettato e affascinante, poi un ridicolo ripugnante perdente, poi un filosofo stravagante. Adesso è un vendicatore». Queste istanze non sono linearmente giustapposte, l’una accanto all’altra, ma magmaticamente compresenti, nevroticamente paratattiche.
Da parte sua, Orietta Notari – che avevamo lasciato sul palcoscenico a fine ottobre, nell’accecante “Casa di Bernarda Alba” di Leonardo Lidi – si muove sempre agilmente, svariando tra cifre stilistiche opposte. Bravi anche gli altri attori in scena: Lisma, per esempio, riesce a costruire un’efficace complementarità, a livello prossemico e gestuale, nelle relazioni sceniche con l’amante e il cugino. Esilarante poi la querelle battesimale, siparietto nel quale viene agganciato anche il parroco, Franco Ravera.
Un’opera, insomma, per rincominciare. In scena fino a domenica 9 maggio sul palco del Teatro Carignano di Torino.
IL PIACERE DELL’ONESTÀ
di Luigi Pirandello
adattamento di Valerio Binasco
con Valerio Binasco, Giordana Faggiano, Orietta Notari, Rosario Lisma, Lorenzo Frediani, Franco Ravera
regia Valerio Binasco
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Gianluca Falaschi
regista assistente Roberto Turchetta
assistente regia Giulia Odetto
assistente costumi Anna Missaglia
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
durata: 1h 30’
applausi del pubblico: 5′ 32”
Visto a Torino, Teatro Carignano, il 26 aprile 2021
Prima nazionale