Il proiettile vocale di Edoardo Ribatto

Edoardo Ribatto
Edoardo Ribatto
Edoardo Ribatto è – anche – Viktor (photo: Elisabetta Torre)

Il Teatro della Tosse sceglie quest’anno di aprire il Cantiere Campana con uno spettacolo in prima nazionale liberamente ispirato all’opera e alla vita di Yuri Markus Daniel, scrittore russo dissidente processato e condannato negli anni sessanta per reati d’opinione. Non la sua, ma quella espressa dai personaggi dei suoi romanzi. “E’ come se si volesse mettere in galera Shakespeare per le opinioni di Jago. E, di fatto, avvenne proprio così”, cita la presentazione dell’evento.

Tutto si svolge, per l’appunto, nel 1963, in Russia, dove un uomo viene accusato ingiustamente di essere un delatore. In un attimo, tutti quelli che conosce gli voltano le spalle, come ad un appestato: “Una specie di Fight Club col colbacco”.

In scena un solo attore, tre microfoni a filo e uno schermo su cui vengono proiettate suggestioni legate al testo. All’interprete il difficile compito di incarnare i molteplici personaggi che, lentamente, compongono il puzzle di un teso thriller psicopolitico portato al pubblico in forma di radiodramma.

Una sfida estremamente difficile per Edoardo Ribatto che dello spettacolo è autore, regista ed interprete. Unico aiuto il vocoder, un dispositivo audio capace di contraffarre la voce, che gli permetterà di offrire sfumature diverse alle tante anime che intervengono nello spettacolo.
Il ritmo è serrato, sia nel dialogo sia nell’azione, ed è strano trovarsi a confronto con la dimensione dialogica quando davanti agli occhi si ha un solo attore.

Lo schema è quello più classico del genere. L’azione è divisa in scene, intercalate qua e là da brevi pezzi musicali. Tutto è estremamente preciso: i suoni, i sospiri, i passi, e la sensazione è realmente quella di assistere ad un teso thriller cinematografico costellato da ambiguità e misteri.
Ribatto riesce a mostrare allo spettatore le smorfie e gli sguardi dei vari interlocutori, anche di quelli femminili. E lo fa con estrema naturalezza. I tre microfoni vanno dalle mani dell’attore alle aste che li tendono, senza nulla di artificiale.

Sul palco c’è solo uno schermo, in posizione centrale, a simulare un vecchio manifesto di propaganda, sul quale vengono proiettate le immagini: una sorta di fotoromanzo, quasi servisse una guida visiva alla narrazione della storia. Tra i protagonisti di questa photostory parallela e complementare, compare ancora una volta quello principale, un elemento che inizialmente aiuta a seguire la vicenda, mentre nello snodarsi della trama rischia di disturbare l’attenzione quasi ipnotica che suscita il racconto.

“Ho pensato che questa confusione fra persona e personaggio fosse tragicamente calzante, per il destino di un artista – spiega Ribatto – Ho deciso, quindi, di assecondarla usando un procedimento noto come bio-fiction: la riscrittura liberamente romanzata di eventi e personaggi realmente esistiti. L’idea portante è: creare un ponte fra uno scrittore e il personaggio da lui inventato, facendoli conoscere”.

È interessante la prospettiva decisamente diversa con cui si affronta la mancanza di libertà d’opinione nella Russia di quegli anni, un argomento trattato ampiamente, dal teatro e non solo.
Forse, ma è un’ipotesi, la sfida a tutto tondo che l’artista ha scelto poteva spingersi ancora oltre, liberando lo sguardo del pubblico dal visuale, e affidando la scena interamente alla vocalità: andare a teatro e chiudere gli occhi per seguire meglio la storia. Stavolta, per chi scrive, è andata proprio così.

Io sono il proiettile. Radiodramma per attore solo e vocoder
di Edoardo Ribatto
con: Edoardo Ribatto

durata: 60’
applausi del pubblico: 2’ 10’’

Visto a Genova, Teatro della Tosse, il 19 ottobre 2013
Prima nazionale

 

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