Mai come quest’anno Fabbrica Europa offre una programmazione imponente, con tantissimi ospiti italiani ed internazionali. E ce lo ha dimostrato fin dal suo primo fine settimana di debutto.
Partito il 7 maggio con “I suoni del Kurdistan”, concerto di Dengbej Kazo, e con la danza della Lee Hee-moon Company, il festival arriverà sino ai primi di luglio spostandosi fra spazi eterogenei tra Firenze e Pontedera.
Sarà un’edizione caratterizzata dalla danza, scelta per parlare di incroci di linguaggi, contaminazioni, con un focus sull’area asiatica attraverso due prime europee.
Abbiamo incontrato Maurizia Settembri (alla direzione artistica della sezione danza di Fabbrica Europa) per farci raccontare la sua idea del festival e confrontarci sulle aspettative in un momento così delicato per il teatro tutto.
Sarà l’anno della Corea del Sud, che apre e chiude la rassegna con due prime europee…
Sì, quest’anno abbiamo voluto dedicare un focus alla scena performativa coreana. Il primo lavoro presentato è “ZAP” della Lee Hee-moon Company, un’opera ibrida che unisce teatro, musica, canto, danza e tradizione in una dimensione raffinatamente contemporanea. Altro importante evento, in coproduzione con il Maggio Musicale Fiorentino, è “Bul-Ssang” della Korea National Contemporary Dance Company di Seul, compagnia impegnata a portare la danza contemporanea a un pubblico più vasto, anche oltre i confini asiatici. Con loro l’anno scorso abbiamo realizzato una coproduzione con due coreografi italiani, Luisa Cortesi e Michele Di Stefano, che hanno presentato i loro lavori a Seul con grande successo. “Mousing” di Luisa Cortesi, con la straordinaria danzatrice Cha Jin-Yeob, verrà presentato in prima europea a Fabbrica Europa.
Parliamo un po’ delle linee guida: ci saranno varie contaminazioni.
Sì, un esempio è, sempre per quanto riguarda il focus asiatico, la presenza di Sang Jijia, coreografo tibetano che avevamo già ospitato nella passata edizione. Quest’anno abbiamo voluto invitarlo di nuovo con un progetto che vuole valorizzare la professionalità dei danzatori italiani chiamati a confrontarsi con un autore di fama internazionale. È nato così “Pa|Ethos”, che è andato in scena questo fine settimana a Pontedera, con i danzatori della Paolo Grassi di Milano e con il Spellbound Contemporary Ballett.
Per questa creazione, Sang Jijia si è ispirato alla scultura fiorentina del Rinascimento e ad artisti come il Giambologna, che lo ha molto toccato. La fase creativa di questa produzione è iniziata a Milano, è stata poi ospitata a Roma e si è spostata infine a Pontedera, dove il coreografo e i danzatori sono stati in residenza per due settimane. Lo spettacolo si avvale anche della presenza del compositore Dickson Dee e della collaborazione di Luca Brinchi e Roberta Zanardo di Santasangre per la scenografia virtuale. Si tratta di una produzione internazionale che, oltre a Fabbrica Europa, la Fondazione Milano Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi e il Spellbound Contemporary Ballett, comprende anche Marche Teatro e due festival cinesi, il Bejing Dance Festival e il Guangdong Dance Festival.
Per la danza italiana ci sono tanti nomi. Tra gli altri, Cristina Rizzo, Michele Di Stefano, Giulio D’Anna, Luca Vegetti, Gruppo Nanou, Aterballetto…
Aterballetto è protagonista domani sera di una serata composta di tre pièce con coreografie firmate da Michele Di Stefano e Cristina Rizzo. Cristina è in programma anche con “Boleroeffect”. Ci saranno poi Glen Çaçi, coreografo e danzatore italo-albanese prodotto da Marche Teatro con “KK // I’m a Kommunist Kid”, che racconta la sua storia personale, un lavoro molto politico e interessante, e l’ultima produzione di Giulio D’Anna, in prima nazionale, anche questo un lavoro impegnato. Vorrei anche citare “Vivo e coscienza” di Luca Veggetti, coreografo italiano che risiede a New York. Il suo lavoro è prodotto con la Paolo Grassi e ripercorre lo schema formale del balletto-cantata “Vivo e Coscienza” di Pasolini, scritto negli anni ’60 e rimasto incompiuto.
Ci saranno anche degli incontri. Secondo lei hanno ancora valore o sono oramai solo momenti per esporre i propri percorsi e cantarne le lodi, senza creare veri e propri incroci?
Secondo me tutto dipende dai temi proposti e dalla scelta dei partecipanti. L’incontro che abbiamo organizzato venerdì scorso, in apertura, “Un nuovo sistema per la danza?”, ha voluto riflettere sui nuovi scenari della danza coinvolgendo artisti, operatori, rappresentanti delle istituzioni e mettendo intorno allo stesso tavolo organismi che operano in maniera più convenzionale, come i circuiti, e organismi più alternativi come C.Re.S.Co. Vogliamo trovare nuove modalità di collaborazione: gli incontri sono fatti per parlare, ma anche per incontrarsi a tu per tu.
A volte sembra più facile collaborare con l’estero che con l’Italia…
Questo non è del tutto vero. Il progetto RIC.CI. Reconstruction Italian Contemporary Choreography anni ’80-’90, di cui Fabbrica Europa è partner, ha creato una rete tra importanti strutture produttive italiane, come Amat, Arteven, Teatro Pubblico Pugliese… È un bellissimo progetto che sta riportando all’attenzione del pubblico una serie di importanti coreografie degli anni ’80 e ’90 affidate a giovani interpreti.
Altro esempio di collaborazione che sta dando ottimi frutti è quella tra le strutture che promuovono la NID Platform, la nuova piattaforma della danza italiana.
Insomma, l’importante è lavorarci, impegnarsi a fondo, e i risultati poi arrivano.
Con il nuovo decreto ministeriale Fabbrica Europa ci ha guadagnato o perso?
È un’incognita, non sappiamo ancora niente. In questo momento stiamo organizzando il nostro festival senza avere alcuna conferma; direi che in un certo senso siamo degli eroi…
Eppure il festival ha un’impronta “imponente”.
Sì, è imponente e impegnativo, perché volevamo comunque dare un segno. È stato un grande lavoro, che speriamo ci venga riconosciuto.
Rispetto agli ultimi anni questa sembra una delle edizioni più “strutturate”. Sembra ci sia dietro una volontà progettuale molto forte…
Sì, c’è un’idea forte e molto diversificata. In realtà stiamo presentando aspetti molto diversi della danza, un ventaglio così completo forse non lo abbiamo mai proposto. La danza è però in stretta relazione con il teatro e la musica. Interdisciplinare non vuol dire programmare prima la musica, poi la danza e poi il teatro, ma pensare che la danza possa diventare una sorta di filo conduttore. Il programma comprende lavori più “impegnativi” e altri più “leggeri”.
…Anche per una scelta nei confronti del pubblico…
Sicuramente è un modo per coinvolgere pubblici e spazi diversi. A questo proposito vorrei ricordare che il festival comprende anche una sezione dedicata a nuovi autori del panorama internazionale, che si apre a Palazzo Strozzi con la danzatrice brasiliana Aline Corrêa, con uno spettacolo a ingresso libero di forte impatto, soprattutto in un luogo del genere.
Ci sarà anche il progetto del gruppo Nanou, che è molto originale: una sorta di prototipo di opera museale coreografica. Nel programma c’è comunque anche danza più “convenzionale”, se mi si passa il termine, come la Compagnia Opus Ballet con “Belles de sommeil”.
Che risposta si aspetta dal pubblico?
Mi aspetto una risposta soprattutto dai giovani, anche se il nostro non è un festival espressamente pensato per loro: il nostro è un pubblico che si interessa già alle arti performative, colto e preparato, perché Firenze è così. Mi auguro di avere anche il pubblico dei viaggiatori, che al festival potranno incontrare culture di Paesi diversi. Abbiamo poi un pubblico di operatori, danzatori, studenti stranieri… Mi piacerebbe che Fabbrica Europa diventasse però anche un festival “popolare”, per tutti.
Un artista-simbolo di quest’edizione?
La coreografa Cristina Caprioli, che ha inaugurato gli spazi della Stazione Leopolda con l’installazione interattiva “Trees”, visitabile a ingresso libero fino al 17 maggio. Lei è un’artista italiana che da vent’anni abita in Svezia, ed è una delle più importanti esponenti della scena scandinava.
Un rientro di cervelli in fuga…
Sì, ed è qualcosa su cui Fabbrica Europa ha sempre puntato, mettendoci il cuore.