Il senso di limite e morte per Massimiliano Civica. L’intervista

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Daria Deflorian
Daria Deflorian e Monica Piseddu (photo: Duccio Burberi)
Daria Deflorian e Monica Piseddu (photo: Duccio Burberi)

Ha debuttato ieri sera, 30 settembre, nel Semiottagono dell’ex carcere delle Murate di Firenze il nuovo lavoro di Massimiliano Civica, l’Alcesti di Euripide. Il lavoro – in scena fino al 26 ottobre – non avrà una tournée, e ospiterà in ogni replica solo venti spettatori.
Abbiamo incontrato il regista romano per parlare meglio di questo nuovo spettacolo, di cui ha firmato anche traduzione e adattamento del testo.

Perché hai scelto di portare in scena proprio l’Alcesti di Euripide?
L’Alcesti mostra che la domanda giusta da porsi non è “perché vivo?”, ma “per chi vivo?”: la vita non ha senso di per sé, ma trova il suo significato solo nell’incontro con l’altro, che implica una parte di sacrificio, ma che ripaga con la sensazione di non essere soli. Nella vita, come nel teatro, la relazione è tutto.

Un testo molto impegnativo – di cui hai curato anche traduzione e adattamento – che ha ispirato rielaborazioni e rifacimenti di molti autori, tra gli altri Hofmannstahl, Savinio e Yourcenar. Qual è stato il tuo metodo di approccio?
Quando incontri l’opera di un gigante della storia dell’umanità come Euripide, l’unico atteggiamento per me possibile è mettersi in ascolto, tentare di capire, entro i limiti delle proprie possibilità, il suo mondo espressivo. Con l’Alcesti ho ascoltato la domanda che ci pone Euripide, e ho cercato di farne risuonare al meglio un’eco nello spettacolo.

È interessante questa scelta di fare un debutto “assoluto ed unico”, ideato per soli 20 spettatori alla volta e a cui non seguirà una tournée. Per di più in un luogo molto particolare come il Semiottagono dell’ex carcere delle Murate a Firenze, mai utilizzato in precedenza come spazio teatrale. Da quale esigenza è scaturita la scelta?
Pascal diceva: “Alla fine, ciò che interessa veramente all’uomo è l’uomo”. Il teatro è l’arte in cui gli uomini si incontrano in presenza, dal vivo. Questo incontro va difeso e protetto attraverso la scelta di un luogo e di un tempo adatti in cui farli accadere. Per questo, per il nostro piccolo spettacolo, abbiamo scelto un luogo particolare come il Semiottagono dell’ex carcere delle murate a Firenze, e abbiamo deciso di farlo per un mese, solo lì. Il piccolo sacrificio che il pubblico dovrà fare per venirci a raggiungere renderà più bello il nostro incontro.

Si parla, per questo spettacolo, di una precisa volontà, di un’urgenza, di un “modo di fare teatro” che indaghi in primis la relazione attore/spettatore.
Oggi ci sono due tabù e due rimossi assoluti: il senso del limite e la morte. La nostra società semplicemente li rifiuta. Il teatro è immagine della finitezza e dell’essere effimero dell’uomo: il teatro avviene per un attimo, nel qui ed ora della compresenza di attori e spettatori, l’incontro di un istante, ma che può essere pieno di senso. Il nostro progetto vuole ribadire che nella vita non si può avere tutto, essere dappertutto e sempre presenti. Bisogna scegliere, e ogni scelta comporta la perdita di tutto quello che non si è scelto. Noi abbiamo bisogno di un pubblico che scelga il teatro, e a questo ci rivolgiamo.

Daria Deflorian, Monica Piseddu e Monica Demuru (photo: Duccio Burberi)
Daria Deflorian, Monica Piseddu e Monica Demuru (photo: Duccio Burberi)

Le protagoniste in scena indossano delle maschere. Questa è una caratteristica che si riscontra anche in tuoi precedenti lavori, anche se in questo caso…
Euripide è un uomo di teatro che scriveva copioni, non un letterato che produceva testi per la lettura. Senza l’uso delle maschere l’Alcesti non rivela il suo pieno significato, come credo scoprirà chi vedrà lo spettacolo.

Hai optato per Firenze come città per andare in scena poiché apparentemente”decentrata” rispetto a Roma e Milano. Cosa rappresenta all’interno del tuo percorso artistico?
Oggi sento il bisogno di “tirarmi fuori dalla mischia” per precisare ciò che mi interessa e di cui sento la mancanza, cosa che non riesco più a fare con il rumore di fondo e i bisogni indotti che ci sono in una città come Roma.

In quest’occasione hai scelto tutte interpreti femminili.
Erano anni che volevo lavorare con Monica Demuro, Daria Deflorian e Monica Piseddu. Il fatto che nello spettacolo usiamo le maschere mi ha permesso di regalarmi il privilegio di lavorare e imparare da loro.

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