Il trionfo del Tempo e del Disinganno: un Händel da riscoprire

Il trionfo del Tempo e del Disinganno (photo: Marco Brescia & Rudy Amisano)
Il trionfo del Tempo e del Disinganno (photo: Marco Brescia & Rudy Amisano)

La nostra curiosità per un repertorio musicale desueto ci ha portato con gioia ad assistere in forma scenica al Teatro alla Scala di Milano all’oratorio “Il trionfo del Tempo e del Disinganno” di Georg Friedrich Händel, concepito su un libretto del cardinal Benedetto Pamphili che il compositore tedesco, naturalizzato inglese, scrisse a 22 anni nel 1707, durante il suo viaggio a Roma, dove aveva appreso i primi rudimenti del barocco italiano.
Fu lui stesso ad eseguire la partitura al clavicembalo, in casa del cardinal Ottoboni; al suo fianco vi era, come direttore, niente meno che il giovane Arcangelo Corelli.

Händel ritornò due volte sulla sua opera, nel 1737 quando rivedette e ampliò il lavoro, chiamandolo “Il trionfo del tempo e della verità”, e nel 1757 traducendolo in inglese (“The Triumph of Time and Truth”).

Opera assai anomala, questa del grande compositore, definita oratorio, ma in questo senso senza un narratore di accadimenti “speciali”; né tantomeno opera, dove i protagonisti invece di essere personaggi in carne ed ossa sono delle figure allegoriche, che si esprimono soprattutto con arie, rigorosamente (tranne la prima) tripartite, accompagnate dagli a capo e con pochi recitativi.

Il lavoro si articola in due parti di 27 numeri, la prima, e di 28 la seconda; oltre ai recitativi e alle arie, vi sono due duetti e due quartetti con un’orchestra formata da archi, cembalo, oboi, fagotti, flauti a becco, tiorba e un organo che appare in scena, con un colpo di teatro.

Protagonisti dello spettacolo sono come detto delle figure allegoriche: Piacere, Tempo e Disinganno, che cercano in un certo senso di ammaliare Bellezza, facendola ragionare sulle sue potenzialità ma soprattutto sulle sue fragilità.

Difficile poter mettere in scena una simile storia, risolta, nello spettacolo della Scala, in modo assai intrigante e piacevolmente divertente.
Jürgen Flimm e Gudrun Hartmann, chiamati a riallestire lo spettacolo dopo il debutto nel 2003 all’Opernhaus di Zurigo e il trasbordo a Berlino, ambientano lo spettacolo con riferimenti visivi a Hopper, nella Parigi di oggi, precisamente nella brasserie della Coupole, costruita con i dettami dell’Art Noveau, avvalendosi dei costumi firmati da Lorence von Gerkan e delle scenografie di Erich Wonder.

E’ in questo contesto contemporaneo che Piacere, Tempo, Disinganno e Bellezza, come amici in contrasto fra loro, dibattono sui grandi temi della vita, tra avventori che entrano ed escono dal locale, camerieri, ballerine e divertenti intrusioni di personaggi bizzarri.

Bellezza è contesa da Piacere e sembra cadere nei dettami che lo caratterizzano, ma saranno Tempo e Disinganno a farle comprendere che non è oro ciò che luccica. “Folle tu nieghi il Tempo et in quest’ora egli di tua beltà parte divora. Dimmi degl’avi tuoi ora che resta? Restano l’ossa algenti, che cela un’urna breve, un freddo sasso. Degl’anni tuoi ora già spenti, dimmi, che ti rimane? O folli inganni! La beltà non ritorna, e tornan gli anni”.

Ovviamente l’autore del libretto, il cardinale Pamphili, intendeva divulgare con modi allegorici i valori dello spirito, mettendo in guardia la bellezza di non sprecare mai il tempo, né di farsi ingannare dalla fragile inconsistenza dei sentimenti e delle loro false lusinghe.
Ed è per questo ovviamente che nel finale, con un azzardo molto spiazzante, nella sua illuminante contemporaneità, mentre la brasserie sta chiudendo, Bellezza viene spogliata dai suoi vestiti, diventando una suora, mentre Piacere, con un’aria magistrale di furore, se ne va sconfitto “Come nembo che fugge”.

Molti sono gli intensi momenti che costellano l’opera dal quartetto “Voglio Tempo”, dove musica e canto si intersecano in bellissime colorature e virtuosismi, nella gara tra Bellezza e Piacere da una  parte e Tempo e Disinganno dall’altro, ma anche all’arrivo dell’organo, nel momento in cui Bellezza visita il regno del Piacere, o alla riproposizione in altro contesto del must handeliano: “Lascia che io pianga” qui “Lascia la spina”, sino all’aria di Bellezza “Pure del cielo intelligenze eterne”, che chiude magnificamente l’opera.

Martina Jankova (Bellezza), Lucia Cirillo (Piacere), Sara Mingardo (Disinganno) e Leonardo Cortellazzi (Tempo) si destreggiano in modo adeguato in un repertorio di arie spesso difficilissime che deliziano il pur difficile ascolto di un’opera così anomala come questa.

Il direttore svizzero Diego Fasolis dirige in maniera congrua l’orchestra, seguendo i dettami della cosiddetta “esecuzione storicamente informata” che tiene conto della prassi d’epoca, restituendoci un capolavoro musicale che ancora una volta il teatro è stato capace di rendere vivo.

Il trionfo del Tempo e del Disinganno
Georg Friedrich Händel
Orchestra del Teatro alla Scala
Produzione Opernhaus di Zurigo e Staatsoper di Berlino
In collaborazione con RSI- Radio della Svizzera Italiana

Direttore Diego Fasolis
Regia Jürgen Flimm, Gudrun Hartmann
Scene Erich Wonder
Costumi Florence von Gerkan
Coreografia Catharina Lühr

Cast:
Piacere Lucia Cirillo
Bellezza Martina Janková
Disinganno Sara Mingardo
Tempo Leonardo Cortellazzi

Durata spettacolo: 2h 50′ incluso intervallo

Visto a Milano, Teatro alla Scala, il 10 febbraio 2016

0 replies on “Il trionfo del Tempo e del Disinganno: un Händel da riscoprire”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *