In-Box 17, la generazione dei ventenni e un sogno realizzato

Il pubblico di In-Box 2017 (photo: Costanza Maremmi)
Il pubblico di In-Box 2017 (photo: Costanza Maremmi)

Il primo pensiero al ritorno da Siena, dopo aver assistito alla terza giornata delle finali di In-Box dal vivo (rete di sostegno del teatro emergente, in palio ben 27 repliche in giro per l’Italia nei teatri dei promotori della rete), è scaturito ripensando ad un’intervista fatta due anni fa a Francesco Perrone e Fabrizio Trisciani. I due ideatori del premio confessavano di sognare di “tornare a casa”, ossia di organizzare le giornate finali del premio – allora ospitate a La Spezia – nella loro Siena.
Il sogno si è oggi ampiamente realizzato.

Due i teatri che accolgono gli spettacoli finalisti: il teatro Dei Rozzi e il teatro Del Costone, ubicati in pieno centro, a pochi passi da Piazza del Campo. Lungo il tragitto che li separa/unisce si passa al cospetto di quel magnifico gioiello del basso Medioevo toscano che è il battistero di Siena, e questo basta ad inquadrare il luogo che fa da cornice ad un evento ben organizzato, con uno staff efficiente ed un clima ospitale. Oltre a un bel numero di giovani, molte facce nuove, che non guastano mai. Questo grazie anche a due iniziative, In-Box Millenials, giuria popolare under 30, coadiuvata da Gherardo Vitali Rosati, e un workshop di scrittura critica finalizzato alla formazione di una redazione-laboratorio guidata da Andrea Pocosgnich.

In questo venerdì che promette pioggia a secchiate e invece regala caldo e un gran numero di turisti all’assedio della città che, secoli orsono, contese a Firenze il dominio sulla Toscana, assistiamo a tre lavori, molto diversi fra loro, tra cui spicca per compiutezza e maturità “Vania” della compagine Oyes, uno spettacolo rodato, caratterizzato da una regia ed una drammaturgia precise e delineate, con già diversi premi e riconoscimenti alle spalle. Ma andiamo con ordine.

Si parte infatti con “Homologia” di DispensaBarzotti. Lavoro di teatro di figura dal grande impatto iniziale, ci mostra la quotidianità di un vecchio, anzi un “vecchione” verrebbe da dire, perché questa maschera di faccione rugoso, coi lunghi capelli disordinati ai lati, il suo plaid, la poltrona e il suo giornale, per certi tratti sembra uscito dalle solitudini di una pagina di Bernhard o da quelle di Beckett. Ma sono solo suggestioni, siamo lontanissimi.
È un vecchio lento, incerto, con le sue abitudini, la sua sciatteria, la sua solitudine, la sua battaglia con le mosche che gli ronzano attorno… Solo partitura mimica, niente parole, ad eccezione di quelle che si riescono a captare dalla radio e dalla televisione che scandiscono le giornate del protagonista. E fin qui il lavoro mostra una sua linea.
Poi a poco a poco emerge il lato debole, per usare un termine diretto. Si aprono diverse pagine del “copione” in contemporanea, si intraprendono varie direzioni, tra poesia, visioni e piccoli trucchi di magia. La figura del protagonista si sdoppia, la realtà cruda ed ultima della vecchiaia lascia spazio ad una dimensione onirica, vaga, fumosa, assai diversa da quella iniziale e si finisce un po’ col perdersi.
Con un azzardato parallelismo, sembra di trovarsi di fronte ai discorsi di un neolaureato con mille idee in testa, in bilico tra il posto nell’azienda di papà, la fuga all’estero, l’anno sabbatico in giro per il mondo, ma che intanto trascorre i pomeriggi con gli amici al bar.

Proseguendo su questa falsa riga potremmo azzardare che il lavoro andato in scena successivamente al teatro del Costone, “Scarabocchi” di Teatro Rebis (Macerata), dimostra il coraggio e la sfrontatezza dei vent’anni. Una forza e allo stesso tempo un limite, per un coraggio che deve ancora essere incanalato, per non essere fine a sé stesso e quindi un po’ sterile.
Tre personaggi in scena: l’alcolizzato filosofo, il disperato (malato terminale?) sull’orlo del suicidio, con una lapide a mo’ di zaino, incazzato con Dio – e preda di facili bestemmie – e una giovane donna, un po’ cinica un po’ disperata.
Certo l’esperimento era rischioso: portare in scena le strisce a fumetti di maicol&mirco non è impresa facile. Sono “il sale nel caffè, un dente da latte insanguinato, il sorriso di un decapitato o la truffa ad un amico”, come loro le definiscono. Ma in tutto ciò, in questa serie continua di strappi tra una situazione e l’altra, sempre giocati su cinismo e freddure, le provocazioni stesse diventano routine e finiscono per replicare un “copione” già sentito, al quale ci si abitua presto, che a lungo andare manca di una scintilla e perde il guizzo iniziale.
Si cerca di giocare soprattutto sulle battute, sull’ironia e sulle freddure che si susseguono una dopo l’altra tralasciando un po’ l’impianto d’insieme. I tre protagonisti risultano inoltre non troppo amalgamati, “distanti” tra loro e solo il finale spiazzante, nella sua coraggiosa assurdità, presentato come bis dopo gli applausi, ricuce un po’ il tutto.
A tratti il lavoro sembra più rivolto verso una comicità di genere che diretto alla costruzione di una drammaturgia. Ma sarebbe da rivedere.

E dato che abbiamo parlato di neolaureati pieni di idee e ventenni coraggiosi, potremmo dire che “Vania” di Oyes (giovane compagnia milanese che avevamo intervistato qualche mese fa) è il più maturo dei tre, un “uomo fatto”, nonostante sia – a voler puntualizzare – meno coraggioso di “Scarabocchi” e il cui spunto iniziale è forse meno originale rispetto a quello di “Homologia”.

Eppure “Vania” è una messinscena che funziona, ben pensata, in calibrato equilibrio tra “accademia” ed “antiaccademia”, si direbbe sfruttando un concetto caro al mondo della Storia dell’arte.
“Vania” è una drammaturgia (collettiva) originale che prende spunto dai temi e dai personaggi principali del capolavoro di Cechov. E Cechov – “quel vivere una vita che non vogliamo vivere”, leitmotiv dell’intera messinscena – indubbiamente c’è, e tanto, ma poi evapora sotto i potenti raggi di sole delle trovate drammaturgiche. Ce ne dimentichiamo e siamo portati per mano dentro ai problemi, alle ansie e al vuoto di questi nostri giorni. Ci sono i giovani che sognano la fuga all’estero, ci sono i quarantenni frustrati ancora lì a ripensare alle sbronze giovanili, a quanto erano forti e a quante ne combinavano. E ci sono quelli che le scelte le hanno fatte e ora sono amaramente pentiti. Il tutto condito con molta ironia, a tratti davvero travolgente. Lo zio Ivan (un Fabio Zulli molto in serata) che canta un coro da stadio è davvero irresistibile. Merito anche della regia di Stefano Cordella, che piazza il momento proprio quando non ti verrebbe in mente. Ha talento, visione e idee; e alcune soluzioni sceniche, che non sveliamo per non rovinarvi la sorpresa, sono davvero degne di nota.
Quando nella tarda serata di sabato 20 maggio arriva la notizia che “Vania” si è classificato al secondo posto in queste finali, non ce ne sorprendiamo. Ma per sapere degli altri finalisti e del vincitore, rimandiamo al racconto, nei prossimi giorni, di Giacomo d’Alelio.

HOMOLOGIA
di DispensaBarzotti
regia Alessandra Ventrella
con Rocco Manfredi e Riccardo Reina
luci Emiliano Curà
suono Dario Andreoli
durata: 47 minuti

SCARABOCCHI
di maicol&mirco
drammaturgia e regia Andrea Fazzini
con Meri Bracalente, Sergio Licatalosi, Fernando Micucci
scenografie Cifone
musiche Maestro MAT64
durata: 55 minuti

VANIA
ideazione e regia Stefano Cordella
drammaturgia collettiva
con Francesca Gemma, Vanessa Korn, Umberto Terruso, Fabio Zulli
costumi e realizzazione scene Stefania Coretti, Maria Barbara De Marco
disegno luci Marcello Falco
con il sostegno di fUnder 35
produzione Oyes
durata: 75 minuti

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