In un futuro aprile: l’omaggio di Alessandro Pazzi a Pasolini

Alessandro Pazzi (ph: Elena Savino)
Alessandro Pazzi (ph: Elena Savino)

Da Pacta dei Teatri sette quadri per raccontare PPP nel centenario della nascita

C’è un’asciuttezza nel verso poetico, nella parola laconica, che si fa preferire alle ridondanze della prosa e agli orpelli di una messinscena teatrale.
Abbiamo apprezzato la nudità del palco a Pacta Salone, a Milano, dove Alessandro Pazzi ha letto alcune pagine di Pier Paolo Pasolini in questo scorcio di 2022 che coincide con i cent’anni della nascita del poeta di Casarsa.

Uno sgabello, una radio. La drammaturgia visiva di Lorenzo Vergani, fatta di titoli, immagini cartacee, parole attinte dalla vasta produzione letteraria dell’autore.
Un tappeto. Otto fogli da raccogliere. Sette testi e una pagina bianca: quella che Pasolini non ebbe il tempo di scrivere; il vuoto che ha lasciato, e possiamo colmare dei mille pensieri che ereditiamo dalla sua produzione fervida.

“In un futuro aprile…”, titolo che Pazzi ha scelto per il reading, è il verso finale di “Supplica a mia madre”, poesia del 1962 in cui Pasolini affronta i nodi edipici con la figura materna, che resta la radice della sua diversità e originalità.
Pasolini, le angosce e la solitudine. Parte da qui, e per converso dalla dialettica oppositiva con la figura del padre, un percorso di autoanalisi che rende le parole di questo lavoro intriganti: perché condensano il pensiero e la poetica dell’autore in uno schizzo rapido e graffiante. Parole, immagini. Spazi bianchi, perché chi ascolta possa crearsi le proprie libere associazioni.

Pasolini seminava dubbi. Contemplava il precipizio e la caduta. Evidenziava la collisione tra l’azzardo e la fragilità. La parola luminosa e potente, supplichevole e inane, si protendeva nella ricerca sempre insufficiente della verità. Il verso per Pasolini era antidoto alla sterilità solo a patto che la sua forza demiurgica si traducesse in azione.
In queste dissertazioni psicanalitiche e antropologiche, gli elementi autobiografici si fondono con le riflessioni esistenziali e denunciano lo iato fra un tempo trascorso (ormai irrecuperabile) e la funzione consolatoria della poesia.

Alessandro Pazzi entra nell’anima di Pasolini attraverso aspetti eterogenei. Ad esempio, la Roma misera e bella delle croste periferiche ammorbate di luce ed esaltate dal vizio sotto i bagliori timidi della luna nelle notti d’estate. Con l’odore della paglia e delle osterie, dove le borgate diventano campagna.
E ancora, le pagine incandescenti di “Teorema”, l’eros disperato e vitale, il sesso come rifugio barbaro e sacro. Intrugli di bocche e incantesimi. Lascive ingenuità. Purezza della carne, e un sentimento che è fusione e conoscenza.

In questo lavoro abbiamo anche il Pasolini sociologo e analista politico, il censore del Palazzo e dei poteri forti che denuncia l’arroganza della classe dirigente, le trame di Stato, il consumismo come forma nuova, bieca, più sofisticata, di fascismo.
Dipanando un filo che parte da Dante e passa per Petrarca e Leopardi, anche Pasolini denuncia l’Italia come «terra di infanti, affamati, corrotti, / governanti impiegati di agrari, prefetti codini, / avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi, / funzionari liberali carogne come gli zii bigotti, […] Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci».

Che Pasolini fosse intellettuale meno snob di tanti che si riempiono la bocca con le sue citazioni, lo dimostrano le sue parole sul calcio: «Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro».

Pasolini profetizzò anche la propria morte: lui che amava i semplici e divorava la vita. Un poeta civile. Un osservatore attento e critico della realtà. Rifuggiva le elucubrazioni filosofiche, ripudiava la metafisica e le ideologie astratte. Era portatore di un sapere libero.

“In un futuro aprile…” è anche tributo al Pasolini autore musicale, con “Il valzer della toppa” cantato da una Laura Betti notturna e struggente, e “Cristo al mandrione” nell’interpretazione visionaria di Gabriella Ferri. La chiusura è affidata invece a un’aria dal “Barbiere di Siviglia” eseguita da Maria Callas, indimenticabile “Medea” nel film del 1969.

Questo lavoro senza orpelli di Pacta ci sembra una buona sintesi per divulgare l’anima del poeta senza quei velleitarismi che lui per primo avrebbe ripudiato. Qui c’è solo la sua scrittura chiara: né subordinata né infeudata, capace di uno sguardo indulgente sul degrado sociale e sulle debolezze umane.

IN UN FUTURO APRILE…
Reading sull’opera poetica di Pier Paolo Pasolini a 100 anni dalla nascita
con Alessandro Pazzi
progetto video Lorenzo Vergani
coproduzione PACTA dei Teatri/PONTOSteatro

durata: 1h

Visto a Milano, Pacta Salone, il 20 novembre 2022

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