Incanti 2012: cronache dai primi due giorni di festival

Incanti 2012|Sutasoma di I Wayan Wija|Doni - Is Mascareddas
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Sutasoma di I Wayan Wija
Sutasoma di I Wayan Wija (photo: http://healingpilgrim.wordpress.com)
Da sempre le civiltà hanno utilizzato diverse modalità per rappresentarsi, per vincere paure e fare una sorta di autoanalisi. Ecco allora come il racconto orale (attraverso la fiaba) e poi quello di figura hanno contribuito a veicolare una serie infinita di messaggi.
E se la tradizione vuole che le favole avessero maggiormente uno scopo educativo (con tanto di morale finale attraverso i loro personaggi animali), la fiaba si distingueva per una presenza magica (fate, streghe, orchi, nani…).  

E’ una lunga serata fra i personaggi della nostra infanzia, quella che dà inizio alla 19^ edizione di Incanti. Una serata che mischia culture, immagini, tradizioni, ma che procede sotto il comune denominatore di quella narrazione popolare che indifferentemente unisce i popoli da secoli.

Ad aprire Incanti, con uno degli spettacoli di punta di quest’edizione, è l’opera di I Wayan Wija, tra i maestri di “wayan kulit” (teatro d’ombre) più celebrati nel suo Paese, già ospite a Torino nel 2000, in occasione dell’inaugurazione del Museo del Cinema.
Difficile affrontare il teatro d’ombre balinese pensando di “andare a teatro”, così come lo intendiamo abitualmente. C’è allora da avvicinarsi con uno sguardo antropologico, eliminando magari il tentativo di far sorridere il pubblico italiano con inserti nella nostra lingua; così da misurarsi con quei ritmi originali, con i linguaggi e le sfumature per noi incomprensibili.
Oppure, in alternativa, c’è forse da sedersi in prima fila senza le attese di un adulto, con la mente aperta di un bambino.

E infatti in prima fila, centrale rispetto al palco, c’è proprio una bambina. L’unica della serata? Lo stesso I Wayan Wija imparò da bambino l’arte del teatro delle ombre, insegnamento del padre, iniziando ad esibirsi nel suo villaggio a dodici anni.
Allora perché, vien da chiedersi, il teatro di figura “rifugge” il pubblico bambino? Quasi a dover legittimare la propria identità alta dovendo attingere ad un pubblico adulto.
La serata di apertura di Incanti evidenzia come questo tipo di teatro, che sa vivere di immagini ed atmosfere, ben si affianchi ad una dose di immaginazione che l’età adulta inevitabilmente si scrolla un po’ di dosso, un’apertura alla fantasia che invece sgorga spontanea e leggera nei bambini. 

Tornando al teatro d’ombre balinese, che ha messo alla prova il pubblico adulto forse più di quanto avrebbe fatto con uno infantile, indiscutibile è la bellezza delle figure proposte. E senz’altro interessante sarebbe stato sbirciare dietro la tenda bianca, dove le ombre e la musica prendevano vita con una magia a noi occidentali del tutto sconosciuta.

Doni - Is Mascareddas
Doni – Is Mascareddas (photo: Krapp’s Last Post)
Vive di atmosfere intime più familiari “Doni”, la performance dei sardi Is Mascareddas tratta da un racconto di Grazia Deledda, da una favola dei Grimm – inevitabili protagonisti in questo 2012, visti i duecento anni dalla prima edizione delle loro fiabe -, e da due leggende della tradizione popolare, che continueranno ad animare anche le altre giornate del festival fino a domenica.

La prima serata di Incanti si chiude con “Lost in the woods”, esito del Progetto Incanti Produce, frutto di un mese di lavoro con Andrew e Kathy Kim del britannico Thingumajin Theatre.
Il lavoro parte da alcune fiabe dei Grimm analizzate durante il workshop, che tornano in vita attraverso gli strumenti del teatro di figura, i cinque partecipanti al laboratorio e le allegre musiche suonate da una Kathy Kim polistrumentista.
Ecco quindi un saggio sulle infinite possibilità tecniche del teatro di figura, dalle ombre ai pupazzi. Uno spettacolo che, se limato in alcuni punti, è pronto a presentarsi nella sua completezza, oltre l’esito felice di un laboratorio.

Se volessimo ricordare la prima serata di Incanti per immagini, visto che d’immagini vive il festival, potremmo allora far riemergere le signorili giraffe “ricamate” del teatro balinese, oppure la casetta con il fumo che esce dal camino di Is Mascareddas, insieme ai Cappuccetto Rosso multipli, maschili e femminili, del Pip.

Incanti 2012
Dalla seconda giornata di Incanti, alla Casa del Teatro Ragazzi (photo: Krapp’s Last Post)
Il giorno dopo la nostra presenza a Incanti si è arricchita dell’esperienza in giuria per il Progetto Cantiere.
Al di là del piacere di poter concorrere ad assegnare un premio per una rassegna che tocca quasi i vent’anni di vita, per un’iniziativa nata e pensata insieme al Goethe Institut, testimoniamo qui la rarissima occorrenza di un confronto davvero alto in sede di discussione di giuria.

Perché se assegnare un premio ad una creazione artistica vuol dire confrontarsi sul valore dell’arte teatrale nel nostro tempo, sulla comprensione non solo della fatica artigiana che pure tutti i lavori presentavano in importante misura (ma anche del contenuto di innovazione e di nuove possibilità che uno spettacolo deve sempre aprire al futuro, facendosi interprete del sistema di segni del presente) possiamo tranquillamente dire che, ad un certo punto, la giuria è stata così dolcemente presa dalle riflessioni da chiudersi in conclave per un’ora e mezza.

Di questo piccolo dibattito circolare, è stata bella la pulizia mentale delle persone chiamate a decidere, convinte, senza preconcetti, di dover leggere quanto di artisticamente più intrigante era stato presentato.
E così, se a qualcuno le bottiglie dello spettacolo di Massimiliano Venturi (con cui l’artista ravennate arrivava ad animare la riscrittura di Marcello Fois di una fiaba dei Grimm) parevano magari scontate e didascaliche, ad altri quel complesso di nature morte di vetro, illuminate da luce algida, hanno ricordato spaesamenti da natura morta di Morandi.
E’ teatro o performance quella dell’animatore in questo caso? Ed è giusto segnare un confine? E se la confluenza sul nome di Irene Vecchia e della sua brillante rilettura e riscrittura dello stesso racconto di Fois è stata abbastanza condivisa, pure ci siamo interrogati sulla necessità che un linguaggio che nasce dalla più alta tradizione dei guarattellari, riesca a dare al recitato un respiro e delle possibilità ulteriori rispetto alla tradizione. Esiti tardivi della commedia dell’arte o capacità di innovarla, con piccoli ma intriganti mezzi?

Dovessimo scrivere tutto quello su cui ci siamo confrontati, dovremmo scrivere assai a lungo. Non ci succedeva, con tanta passione, da tempo. E’ stato soprattutto un confronto umano su quello che vuol dire essere operatori nel mondo della creazione d’arte oggi. Interrogativi su ciò che deve saper trasmettere l’arte, della supremazia dell’estetica sul dialogo, o della necessità che l’arte sia ponte, lanciato a diverse altezze per poter dialogare con pubblici diversi. O darsi ragione della concettualizzazione come forma di un oltre che, come tutte le riflessioni sul contemporaneo, possono avvincere o ghiacciare: per taluni sono forme della semantica del contemporaneo, per altri ammiccamenti facili.
E allora di nuovo a rimettere tutto in discussione, su quello che ci ha fatto vibrare, emozionare, su dove sono andati a finire i nostri occhi. Così diversi. Ma così appassionati. Più incantati di così…

L’annuncio del vincitore del Progetto Cantiere

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  1. says: Mario bianchi

    Incanti non è organizzato in alcun modo dalla casa del teatro ma da Controluce, è insieme ad Immagini dall’Interno è l’unico festival di teatro di figura internazionale che si svolge in Italia, tutti gli spettacoli sono stati sempre esauriti con una presenza minima di operatori.Mi pare proprio che le tue siano cattiverie gratuite.

  2. says: omar missini

    incanti è una delle cose più tristi, assieme al festival delle colline, che cosidettamente “avvengono” in città. Sono festival minuti, con ospitalità di pregio, con un tipo ci organizzazione squisatemente intra-professionale. Cioè Incanti é una rassegna per operatori, per persone che sanno, e non crea ” cultura del teatro di figura”. Non avrebbe i soldi per farlo. L’unica soluzione sarebbe ( come al solito) una bella accorpata con lo Stabile e la creazione di un progetto. Il punto non è portare spettacoli di un certo tipo ma ” creare i presupposti” per educatore il pubblico a queste forme. E’ tutto molto camperianmente radical-chic. Il tutto avviene nei locali della Casa Del Teatro, il luogo dello stupore teatrale torinese degli ultimi anni, luogo affidato alla direzione artistica di un pool in declino, organizzatori eccellenti, il Melano e il Calì, incapaci però di creare un luogo dell’arte vero, della creazione di lavori in interesse e ricerca nell’area del teatro per le giovani generazioni. Lo spettacolo piovuto dal cielo, l’ennesima perla di Emma Dante piovuta del cielo, è stata spremuta fino in fondo, Acquarium, spettacolo dalla simpatica estetica anni ’80 reca ancora la firma drammaturgica “Vacis”, quando tutti sappiamo che non c’entra niente…
    Non era male l’idea dell’anno scorso, di Sotterraneo con la Repubblica dei Bambini : facendo il lavoro un po’ meglio. Cosa dovreste fare? Melano, Calì, Rizzo, Zinola, Arru, Antonelli, Castiglia, Nigrone, tutta Assemblea Teatro, il catering per definizione : dovreste mettervi o da parte o farvene venire di geniali, ed uscire dall’impastoiata necessità di tirare su a fine mese con spettacoli bruttini/bellini da vendere bene. Ci vuole arte, creazione, inpegno.. I soli che avete spendenteli per creare un bando stagione. Soldi e produzione a gruppi piemontesi, per metà emergenti, per metà no, Soldi per progetti forti su giudizio di una giuria insindacabile, tutoraggio artistico-relazionale per creare il legame con l’infanzia. Il teatro lo devono fare gli artisti: resituiamolo a loro. Vertigi TRG, andate a casa o cambiate il gioco. Amichevolmente