Con la regia di Claudio Orlandini, Elena Lolli racconta la parabola della senatrice a vita dalle leggi razziali al Parlamento
La gratitudine per una vita di testimonianza. L’invito a preservare la memoria, in un ideale passaggio di testimone.
“Io ricordo”, monologo di Alma Rosé presentato in prima nazionale a Campo Teatrale, è una storia ispirata a Liliana Segre. Lo spettacolo parte dall’incontro della senatrice a vita con un gruppo di studenti a Rondine Cittadella della Pace, un minuscolo borgo in provincia di Arezzo, il 9 ottobre 2020.
Un luogo evocativo e simbolico.
Quel giorno, per l’ultima volta, Segre si rivolse direttamente a una platea di giovani invitandoli a combattere l’indifferenza e la discriminazione, e a preservare la memoria.
Ora tocca alla nostra generazione raccoglierne l’eredità. Il ricordo può essere lacerazione e dolore. Ma il teatro non può sottrarsi a questo compito.
Nell’occasione, la piccola sala del quartiere Lambrate a Milano diventa una sorta di stazione sotterranea. Ricorda in qualche modo il Memoriale della Shoah al Binario 21, in via Ferrante Aporti a Milano. Da questo spazio dimenticato partivano i treni per Auschwitz nell’Italia repubblichina. Da lì partì anche Liliana Segre il 30 gennaio del 1944 insieme al padre Alberto e ad altre 603 persone. Aveva appena 13 anni. Di quei deportati, solo in 22 fecero ritorno nell’Italia liberata.
Il teatro sembra quel sotterraneo. Il palco sembra quel vagone piombato, con la sua umanità destinata al macello. Non sedili, ma sgabelli.
Claudio Orlandini alla regia allinea ai margini del palco, sospese a un metro d’altezza, due file di neon che assecondano, tremando a intermittenza, un rumore di rotaie (musiche Mauro Buttafava, scene Stefano Zullo, luci Andrea Violato). C’è l’idea del viaggio come flashback, mentre in scena la protagonista è una donna matura interpretata da Elena Lolli.
A dare il la al monologo, un brano sanremese, appena un cenno. È “Vola colomba” di Nilla Pizzi, che qui è ritorno alla vita e all’infanzia, e porta in scena un leggerissimo volo di libertà. Targato 1952 e vincitore della prima edizione della kermesse festivaliera, “Vola colomba” restituisce il fervore di quell’Italia in bianco e nero con ancora addosso i detriti della guerra.
In questo percorso progettato con Manuel Ferreira, Elena Lolli scongiura ogni tentazione documentaristica e opta per la prova attoriale. Si scosta sensibilmente dal personaggio reale di Liliana Segre, che conosciamo attraverso i ripetuti interventi pubblici e televisivi. Non vediamo la signora milanese raffinata nello stile, compassata nelle movenze, eppure capace di catapultarci in un vortice di emozioni ad ogni parola che pronuncia.
A Campo Teatrale fatichiamo dieci minuti buoni prima di assorbire lo scarto tra la persona reale e il personaggio rappresentato. Poi ci abituiamo all’idea, e avvertiamo che il gioco funziona lo stesso.
È anche una forma di pudore. Elena è una Liliana che assomiglia a noi. La narrazione in prima persona lambisce l’infanzia per poi svoltare, accennando al discorso del Duce a Trieste, il 18 settembre 1938, che annunciò le leggi razziali. Prosegue con i momenti concitati che precedettero la deportazione.
Il percorso dell’attrice è un zigzagare nella memoria, passato, presente, e gli ultimi anni votati anche all’impegno politico. È il prima e il dopo Auschwitz, il cui dramma emerge solo in filigrana.
Liliana adulta non sarebbe più tornata nel lager, neppure per i fatidici viaggi della memoria insieme alle scolaresche. Anche da anziana, non ha mai smesso di cercare la propria infanzia, quella bimba di otto anni espulsa dalla scuola e sospinta nel buio. Qui all’attrice basta sciogliere i capelli, e c’è l’adolescente irrequieta e selvatica, affidata ai nonni e agli zii di ritorno dalla deportazione. C’è l’innamoramento con Alfredo, i tre figli, poi i nipoti, occasioni per riavvolgere il nastro e ricominciare la vita daccapo.
A fine spettacolo, ad abbracciare e ringraziare l’attrice, ci sarà il primogenito di Liliana, Alberto, 71 anni portati splendidamente: «Sono il figlio vecchio, di cui mia madre non è stanca».
Alberto, Elena, Claudio, Manuel. Noi tutti. Siamo l’idea della continuità. Siamo la base del futuro. Siamo un atto di ribellione a chi voleva cancellare tutto, un popolo, una cultura, una religione.
Mauro Buttafava, con le sue musiche elettriche ed elettroniche, crea un ponte con le nuove generazioni. E due punti di fuoco: una parte legata al presente e una al futuro; infine la parte che si connette alla storia. Note contemporanee, e momenti lirici di chitarra classica. Emozioni contraddittorie. Presagi in chiaroscuro ed echi di speranza opaca.
La lunga notte di Liliana si è conclusa con la riconciliazione. Mussolini nel 1938 le aveva chiuso le porte della scuola, Mattarella nel 2018 le ha aperto quelle del Senato. In ottant’anni è cambiato il mondo. O forse no. Neppure lo status di senatrice a vita ha salvato Liliana dagli odiatori, quelli da tastiera, e ogni tanto quelli da ribalta televisiva. Neppure il dramma della Shoah ha lasciato insegnamenti permanenti. Si pensi ai crimini di guerra in Medio Oriente, la strage di Hamas del 7 ottobre, la reazione guerrafondaia israeliana, quasi trentamila morti, migliaia di bimbi straziati.
Parole precise, quelle di “Io ricordo”, cui dà forma una recitazione essenziale. Un testo che osa continuamente intrecciare i piani temporali. Una regia sobria. Per lasciare spazio alla persona e alla sua narrazione. È il senso di un teatro civile che, attraverso la testimonianza, non rinuncia alle emozioni.
IO RICORDO. Ispirato alla vita di Liliana Segre
Un progetto di Manuel Ferreira e Elena Lolli
Di e con Elena Lolli
Regia Claudio Orlandini
Assistente alla regia Alessio Rocco
Musiche Mauro Buttafava
Scene Stefano Zullo
Luci Andrea Violato
durata: 1h 5’
applausi del pubblico: 3’30”
Visto a Milano, Campo Teatrale, il 9 febbraio 2024
Prima Nazionale