“ION” di Dino Lopardo: diversità e solitudine dal profondo Sud

ION (ph: Giovanni Lancellotti)
ION (ph: Giovanni Lancellotti)

Gommalacca Teatro presenta un testo (pluripremiato) su conflitti familiari e disadattamento

Un’ambientazione squallida e livida fa da cornice a “ION”, spettacolo grottesco scritto e diretto da Dino Lopardo e prodotto da Gommalacca, che abbiamo visto a Milano a Campo Teatrale.

“ION”, tratto da un’idea di Andrea Tosi, è la storia di Paolo e Giovanni, due fratelli così diversi da non sembrare neppure parenti. Paolo (Alfredo Tortorelli) è un piccolo proletario che lavora tutto il giorno per togliersi qualche sfizio da borghese. Giovanni (Lorenzo Garufo) è un omaccione prigioniero del proprio mondo infantile, con la difficoltà di emanciparsi.

Paolo non ha studiato. Si esprime nel dialetto stretto di una Lucania impervia e riottosa. Siamo nella Val d’Agri che degrada verso il Cilento, nella zona di paesini come Montemurro e Viggiano. Quello di Paolo è un idioma ostico, spinoso, con qualche sfumatura campana. Sono sonorità ermetiche e scoscese, come i paesaggi boschivi del vicino Appennino.
Giovanni ha studiato non si sa come. Si esprime in italiano, con preziosismi lessicali che spiazzano Paolo. Ha velleità artistiche che si fermano davanti alla pagina bianca. I suoi scritti evanescenti non gli consentono di portare a casa denaro. Fa parte di un fantomatico circolo letterario; il che, in un centro di poche anime della periferia eclissata, è un po’ come pensare di svuotare l’oceano con un cucchiaino.

Due fratelli, due creature aliene. Uno iato relazionale e comunicativo. Tra Paolo e Giovanni serpeggia una tensione sempre pronta a degenerare in conflitto. Eppure da quella tensione nasce a tratti una vicinanza che assomiglia alla cura reciproca. E spesso dalle schermaglie nasce un abbraccio.

Pochi oggetti scenici: un televisore che non funziona, un pallone di gomma arancione, una scrivania; le due ante metalliche di una porta scrostata, che diventerà armadio, confessionale, cella, finestra su un altrove che – come una macchina del tempo – si apre al futuro e al passato.

In Paolo l’impronta del colore locale di una lingua parlata fluida ed espressiva sprigiona la vivacità della conversazione diretta. I dialoghi serrati, i botta e risposta lapidari, semplificano la sintassi, preservando la patina dell’immediatezza. Le scelte lessicali idiomatiche rimandano inequivocabilmente alla lingua e alla cultura del territorio.
Qualche difficoltà di comprensione rimane per il pubblico “nazionale”. La si risolve sia attraverso le risposte di Giovanni in italiano, sia attraverso la mimica e pose teatrali ai limiti dell’espressionismo. Lopardo ottiene così due risultati: elude i problemi che nascono dall’intenzionale rinuncia all’introspezione, ricorrendo a una “psicologia in azione”; crea dal vivo ritratti dei protagonisti del tutto autentici.

La regia briosa fa un uso calibrato – anche attraverso le luci – di flashback e visioni oniriche che rimandano all’infanzia. Si staglia la figura imponente di un padre padrone brutale e giudicante, gretto e anaffettivo.
Come un fantasma evocato dai lampi di un temporale, affiora poi, sempre con dei flash istantanei, l’immagine incorporea della madre (Iole Franco). A essa sono legati ricordi contraddittori da parte dei due fratelli: una dea protettiva per Giovanni, una povera pazza per Paolo, caustico fino al cinismo.

La drammaturgia incalzante ricostruisce per istantanee l’infanzia tormentata che ha segnato la crescita di questi fratelli, in particolare Giovanni. E’ il “malato”, il “diverso”, l’omosessuale: la madre gli avrebbe preferito una figlia femmina per farsi aiutare nelle faccende domestiche; il padre avrebbe preferito uno storpio per intascarne il sussidio.

“ION” è l’eco di una vita tragica, che sconfinerà nella furia cruenta. Teatro d’ombre, teatro fisico. Teatro surreale, teatro iperrealista. Teatro senza redenzione, pervaso da una profonda solitudine e un senso d’abbandono. Teatro di un Sud atavico, periferico, barbaro che ignora la solidarietà. Anche Cristo è irredento, e nel confessionale il prete non è un padre spirituale, ma l’espressione di un paganesimo intriso di prouderie.

Miglior progetto al festival inDivenire 2019 e finalista del premio di drammaturgia Carlo Annoni 2021, “ION” è liberamente ispirato a una vicenda reale. Affronta il tema della diversità e del pregiudizio con crudezza verista. Colpisce soprattutto per la forza icastica di una lingua così conservativa e serrata, secca, immediata, lontana dalle sonorità meridionali cui siamo abituati: la musicalità del napoletano, il dinamismo interlinguistico del siciliano, la varietà multiforme del pugliese. La lingua qui è una sorta di mitologia ermetica che scricchiola e cigola come la sedia che Giovanni agita minaccioso davanti agli occhi di Paolo. Bravi gli attori a interpretarla e a lasciarsene pervadere, interiorizzandola fino a lasciarsi deformare il viso e il corpo.

“ION” è uno spettacolo ipercinetico, ma di un movimento che nasce dal testo e dalle emozioni, mai forzato o gratuito. È un lavoro tragico e visionario, onesto e artigianale, che sancisce la crescita di Gommalacca e il fertile sodalizio con Dino Lopardo (e Collettivo Itaca) che qui opera nel solco tracciato da autori come Annibale Ruccello ed Emma Dante.

ION
Scritto e diretto da Dino Lopardo
Da un’idea di Andrea Tosi
Con Iole Franco, Lorenzo Garufo e Alfredo Tortorelli
Miglior spettacolo Festival inDivenire 2019
Finalista Premio drammaturgia Carlo Annoni 2021

durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 2’

Visto a Milano, Campo Teatrale, il 16 febbraio 2023

 

 

Clicca per scaricare il Daily K di questo articolo

0 replies on ““ION” di Dino Lopardo: diversità e solitudine dal profondo Sud”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *