Come abbiamo già documentato varie volte, è possibile assistere anche nei teatri di provincia a potenti e visionari allestimenti di opere di rara esecuzione. E’ successo al Teatro Sociale di Como per “Iphigénie en Tauride” (“Ifigenia in Tauride”) di Christoph Willibald Gluck, una co-produzione dei teatri di opera della Lombardia per un particolarissimo allestimento della regista siciliana Emma Dante, che abbiamo avuto l’onore di conoscere e apprezzare sin dal suo debutto, parecchi anni fa con il folgorante suo “mPalermu”.
“Iphigénie en Tauride”, tragédie lyrique in quattro atti su libretto in francese di Nicolas-François Guillard, fu rappresentata per la prima volta con grande successo all’Opéra di Parigi il 18 maggio 1779. Costituisce una sorta di dittico con la sorella “Iphigénie en Aulide”, che debuttò sempre a Parigi ma cinque anni prima.
Il libretto deriva dall’omonima tragedia di Euripide, anche se il librettista Guillard fece riferimento nel contempo ad un’omonima opera a lui contemporanea di Claude Guimond de La Touche, andata in scena a Parigi il 4 giugno 1757.
Nel cuore di chi ama l’opera è poi rimasta nella memoria anche un’edizione in italiano, dovuta al librettista di Mozart, Lorenzo Da Ponte, allestita dal Teatro alla Scala nel 1957, con la direzione di Nino Sanzogno, la regia di Luchino Visconti e la divina Maria Callas nella parte della protagonista.
L’opera, come si evince dal titolo, è ambientata nella Tauride, dove Ifigenia è sacerdotessa della dea Diana. Ifigenia è la stessa Ifigenia, figlia di Agamennone, il quale per propiziare la spedizione degli Achei a Troia aveva accettato di sacrificarla, destando così il rancore della moglie Clitennestra, la stessa donna che ucciderà Agamennone al suo ritorno da Troia e che verrà a sua volta uccisa, con il suo amante Egisto, dal figlio Oreste, spinto dalla sorella Elettra.
Al momento del sacrificio di Ifigenia, Diana aveva voluto però salvare miracolosamente la giovane, sostituendola con una cerva, e trasportandola in incognito in un proprio tempio, appunto nella Tauride, governata dal re Toante, dove ella era diventata grande sacerdotessa.
Nell’opera di Gluck Oreste, perseguitato dalle Furie a causa del matricidio, allo scopo di cercar di espiare la sua colpa, e accompagnato dal cugino/amante Pilade, giunge nella Tauride, inviato da Apollo con l’incarico di recuperare una sacra immagine di Diana.
Qui si incontra con la sorella, che non lo riconosce. Oreste, senza svelarsi, le racconta tutte le vicende tragiche che hanno investito la loro famiglia. Nella Tauride è in uso il costume barbaro di sacrificare alla dea tutti i malcapitati stranieri che si trovino a mettere piede nel Paese. Fatti condurre i due prigionieri, Ifigenia li informa, contravvenendo a quella crudele legge, di aver la possibilità di salvare uno di loro; chiede però, come contropartita, che colui che sarà salvato recapiti per suo conto un messaggio ad Argo, la sua città natale.
Dopo un gioco a rimpiattino di grande fraternità tra Pilade e Oreste, sarà Pilade ad essere salvato. Ifigenia gli consegna il messaggio, rivelandogli che è indirizzato ad Elettra, senza dirgli altro. Quando Ifigenia sta per sacrificare Oreste, egli nel delirio le si rivolge con le parole: “Così peristi in Aulide, Ifigenia, sorella mia!”. In tal modo i due fratelli si riconoscono. Ma proprio in quel mentre arriva il re Toante che, scoperto il tradimento della sacerdotessa, vuole far uccidere i due fratelli. L’arrivo dei soldati greci guidati da Paride, che uccide Toante, risolve la situazione. Infine interviene ex machina la stessa dea Diana, annunciando il perdono di Oreste, che attraverso i suoi rimorsi ha cancellato le proprie colpe, e l’invita a tornare a Micene per esserne il re, conducendo con sé anche Ifigenia.
Un’opera siffatta non poteva che trovare in Emma Dante la sua artefice perfetta. La regista entra con la sua cifra stilistica prepotentemente nelle viscere della trama, mescolando sapientemente il barbarico con il classico, la Tauride con l’Aulide, sempre privilegiando l’universo femminile, in una forma stilistica dai toni estremi, come ben conosciamo dai suoi spettacoli. Qui ha però anche la grande capacità di mitigarsi, prospettando un mondo nuovo, fuori dalla barbarie e basato sull’amicizia e sulla pace.
Già il prologo con il successivo Coro (“Grand dieux! Soyez-nous securables”) è affrontato con immaginifica veemenza, attraverso enormi teli rossi che si muovono tumultuosamente, che evocano gli stati d’animo della sacerdotessa, sempre offuscata da oscuri presagi, dove il sangue del parricidio e del matricidio vengono continuamente richiamati (le scene sono di Carmine Maringola, costumi di Vanessa Sannino e luci di Cristian Zucaro).
Subito dopo ecco affacciarsi il tempio della Tauride, che allude ad una specie di Eretteo con bianche colonne ioniche e sei cariatidi viventi, che ne reggono il tetto sul quale, con bellissima invenzione, viene ricostruito un fregio vivente che racconta il destino crudele della famiglia degli Atridi. Saranno poi le stesse colonne a delimitare tutti gli spazi delle azioni successive.
Esemplificatrici le caratteristiche dei cori, con quello delle sacerdotesse di Diana, vestite di pellicce e corna di cervo, armate di frecce, e le Erinni, rappresentate invece come suore dalle lunghe braccia avvolgenti. Divertenti anche le altalene fiorite, metafora dell’altalenare della vita, in cui Oreste e Pilade sono, senza sotterfugio alcuno, visti come amici e amanti (“Et tu pretends encoreque tu m’aimes”). Bellissimo è anche il simulacro della dea Diana, rappresentato da una Cerva scarnificata, dove avvengono sacri rituali, rappresentati con grande, solenne e forte teatralità.
Ogni dettaglio della regia è curato con grande semplicità in relazione alla classicità della musica gluckiana, che si muove tra arie e recitativi, cori e danze di purezza assoluta. Tra i momenti più belli dell’opera ricordiamo la stupefacente aria del sonno di Oreste (“La calme entre dans mon coeur”) con quel dialogo tra violini e bassi, e la grande aria di Ifigenia (“Malheureuse Iphigenie”), in cui la sacerdotessa piange le sue sventure.
Anche dal punto di vista vocale tutto appare di alto livello, a cominciare dalla protagonista, Anna Caterina Antonacci, che da tempo ben conosciamo come interprete di classe sopraffina, e che qui incarna prodigiosamente una Iphigénie sempre in balia di passioni e sentimenti contrastanti. Bruno Taddia delinea un Oreste sempre ben calibrato, dalla voce imperiosa, che all’occasione si carica di teneri accenti; vicino a lui ben si collocano Mert Süngü come Pilade e Michele Patti come Toante. Infine Marta Leung, una Diana di convincente caratura.
Diego Fasolis, che dirige l’orchestra I Pomeriggi Musicali, si conferma direttore di primissimo piano nell’eseguire opere spesso così fuori dai soliti repertori, riuscendo a far risaltare in modo perfetto tutte le varie atmosfere presenti in questo capolavoro. Di grande eccellenza la prova del Coro Opera Lombardia, diretto dal maestro Massimo Fiocchi Malaspina. Ottime le numerose e pertinenti coreografie di Sandro Campagna, qui anche doverosamente maestro d’armi.
Iphigénie en Tauride
Musica di Christoph Willibald Gluck
Libretto di Nicolas-François Guillard, tratto dalla omonima Tragedia di Euripide
Iphigénie Anna Caterina Antonacci
Oreste Bruno Taddia
Pylade Mert Süngü
Thoas Michele Patti
Diane/Una donna greca Marta Leung
Prima sacerdotessa Miriam Gorgoglione (19/11), Maria Luisa Bertoli (21/11)
Seconda sacerdotessa Chiara Ciurlia (19/11), Erica Rondini (21/11)
Uno Scita Alessandro Nuccio
Ministro del tempio Ermes Nizzardo
Direttore Diego Fasolis
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Coreografo e Maestro d’armi Sandro Campagna
Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
Coro OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Coproduzione Teatri di OperaLombardia
Nuovo allestimento
Durata: 2h 20′ circa, compreso intervallo
Visto a Como, Teatro Sociale, il 21 novembre 2021