Ipotesi d’amore a Cuor Leggero per l’Estate bolognese di Teatri di Vita

Lo spettacolo di Alchemico Tre
Lo spettacolo di Alchemico Tre

Tra gli spettacoli teatrali proposti, Alchemico Tre con “Nascondevo ghiaccio sotto le mie ardenti carezze” e “JaWa” della coppia polacca Turkowski & Nowacka

Come ogni anno “Bologna Estate” anima ogni quartiere della città, estendendosi anche ai borghi e ai comuni della provincia, coinvolgendo le varie realtà presenti nel territorio: dalle piazze ai musei, dai parchi alle biblioteche… Con eventi gratuiti o a pagamento, un po’ per tutti i gusti e per tutte le età, disseminati nei luoghi più disparati.
Teatri di Vita risponde all’appello con slancio, proponendo una fitta stagione estiva multidisciplinare, articolata in due rassegne: “Ipotesi d’amore”, andata in scena dal 18 al 28 giugno, e “Cuore di Polonia” dal 1° al 7 luglio.

“Ipotesi d’amore” celebra il mese del Pride con una selezione di film, cortometraggi e documentari, di autori nazionali ed internazionali, che affrontano tematiche LGBTQ+, da sempre ampiamente dibattute a Teatri di Vita, giacché il suo direttore artistico, Andrea Adriatico, vi ha dedicato l’intera carriera, ricevendo numerosi premi, tra cui il Movie Award (2020) per il suo impegno cinematografico sui diritti civili.

Ad inaugurare questa seconda edizione troviamo una suggestiva installazione fotografica, “A far l’amore comincia tu” di Paolo Reali, giovane fotografo palermitano riconosciuto a livello internazionale, nonché seguito sul web da migliaia di followers. I suoi scatti, leggeri e gioiosi, ritraggono gli attimi più emozionanti di alcune storie d’amore di coppie non binarie, cogliendone l’intimità in un bacio o in un abbraccio che ritrae con intensità e spensieratezza. La mostra, essendo dematerializzata, è apparsa solo sugli schermi, dislocati in diversi spazi di Teatri di Vita, tra cui la nuova residenza “Casa Raffaella”, appena inaugurata. Sia la mostra sia la residenza, come si evince dai titoli, porgono omaggio alla figura della Carrà, icona gay mondiale d’origine bolognese.
Il progetto della residenza, firmato dallo stesso Adriatico (in quest’occasione in qualità d’architetto) si trova a pochi passi dalla sede del teatro, e nasce per rispondere all’impellente necessità di fornire ospitalità alle compagnie, dato che a Bologna, specie durante i periodi di fiera, i prezzi degli alloggi sono sempre alle stelle.
Proprio per far fronte a questo problema comune, Casa Raffaella si mette a disposizione di tutte le imprese culturali del territorio, che potranno ospitare gli artisti in tournée a prezzi calmierati (35 euro a persona per notte).

Il taglio del nastro di Casa Raffaella avviene in concomitanza con l’inaugurazione della rassegna, ospitando sin da subito i registi e gli attori che presentano i film: una rosa di dieci pellicole tra documentari, pseudo-documentari, fiction, road doc movie, lungo e cortometraggi; tutte produzioni recentissime (dal 2015 al 2024), che hanno partecipato alle selezioni ufficiali di festival internazionali o che hanno ricevuto dei premi.
La rassegna offre un’ampia panoramica del cinema LGBTQ+ che ad oggi sta finalmente iniziando a perdere i connotati di un genere di nicchia, ma con differenze enormi a seconda del Paese di provenienza. Tra le produzioni italiane troviamo due documentari firmati da Adriatico: “Torri, checche e tortellini” (2015) e la “La solitudine è questa” (2022). Il primo lavoro ritrae la nascita del “Cassero”, il primo circolo gay in Italia, che nel 1982 si insediò in un prestigioso monumento storico di Bologna (per giunta d’interesse religioso), grazie al Comune di Bologna che scelse di prendere questa decisione scomoda.
Il secondo lavoro invece racconta la vita di Pier Vittorio Tondelli attraverso la lettura dei suoi scritti e la testimonianza di sette autori, nati negli anni 80. Un flusso di parole che permette di rivivere l’intensità dei suoi romanzi popolati da una miriade di personaggi, sempre soli, marginali (spesso omosessuali).

Oltre alle pellicole, la rassegna propone anche due spettacoli teatrali: “R.R.” di Farmacia Zoèe e “Nascondevo ghiaccio sotto le mie ardenti carezze” di Alchemico Tre. Entrambi i lavori presentano il vissuto di personaggi storici, realmente esistiti, per raccontarci gli stigma sociali e la discriminazione subita dalle persone non binarie nei secoli scorsi. Mentre il primo spettacolo racconta la storia di Ronaldino Roncaglia (vissuto a Venezia nel XIV secolo), che all’età di 19 anni iniziò a vivere da donna, diventando Ronaldina la prostituta, il secondo spettacolo narra di un ragazzo italiano che nel XX secolo fece coming out in forma anonima e in via epistolare, non riuscendo a superare altrimenti le barriere culturali dell’epoca.

A raccontarci quest’ultima storia, presentata in anteprima a Bologna, troviamo Angelo di Genio (diretto da Michele Di Giacomo), che condivide col pubblico un forte coinvolgimento emotivo, facendosi portavoce delle lettere anonime di un ragazzo ventitreenne che, armatosi di coraggio, le spedì ad Emile Zola, nella speranza che lo scrittore potesse trarne spunto per un romanzo. Ma quella speranza si rivelò una mera illusione, diventando una profonda delusione, giacché Zola, temendo di essere accusato egli stesso di corruzione personale, passò le lettere ad un amico medico che ne fece un trattato scientifico dal titolo “Romanzo di un invertito nato”. Il senso di quelle lettere venne così totalmente forviato, utilizzandole per mostrare un caso clinico di perversione umana.
Angelo Di Genio inizia lo spettacolo rivolgendosi al pubblico, esprimendo l’enorme fascinazione subita quando si è imbattuto in quelle lettere per la prima volta, l’impellente necessità di farne uno spettacolo teatrale, di rendere giustizia ad un pezzo di storia della comunità LGBTQ+.
Leggendo alcuni stralci di quelle 120 pagine, ripercorrendo le tappe più significative dell’esistenza di quel ragazzo, rimasto nell’anonimato, l’attore (ed il pubblico con lui) empatizza immediatamente con la “malattia dell’anima” e con gli “ignobili vizi” da cui era affetto.

Lo spazio scenico, organizzato per angoli (lo scrittoio, la poltroncina, il carrello) con alcuni oggetti simbolici (il ventilatore, le statuette, il cuore congelato) e l’utilizzo d’apparati tecnologici (uno schermo, un cellulare) appare nel suo insieme un ambiente evocativo e posticcio, consentendo al racconto di dispiegarsi in maniera pacata e graduale, giacché l’impostazione registica, volutamente didascalica, risalta primariamente il testo.
L’attore entra ed esce dalle lettere che legge al microfono, viaggiando tra passato e presente, in un gioco d’alternanza e sovrapposizione di ruoli: si assottiglia il confine tra il narratore e il protagonista, tra l’attore e la persona, generando un’interessante miscela di punti di vista, convergenti e divergenti.

Senza prevaricare l’ascolto delle lettere, che rimane il fulcro della drammaturgia, Di Giacomo utilizza la tecnologia (riproduzione di musica classica e pop, registrazioni audio, interviste, riprese live, spezzoni di film e video clip) per ampliare il tema della sessualità gay, presentato ad inizio spettacolo rievocando la mitologia greca, gli amori tra eroi e divinità che popolavano con ardore l’immaginario erotico del protagonista.
Angelo di Genio interpreta il ragazzo con garbo e pudore, facendosi da cicerone tra il materiale delle lettere disseminate di ricordi: i primi approcci con uomini più grandi, il disgusto per le donne, il primo amore durante il militare, il piacere sessuale, i dubbi, le paure… Mettendo anche i puntini sulle i, laddove il protagonista non sapeva a ben definire il proprio sentire (disforia di genere), come quando da bambino non si rispecchiava nei vestitini da maschietto.
Un lavoro delicato d’impegno civile, che senza tediare o scivolare nella retorica accompagna il pubblico ad una personale riflessione sul lungo percorso che la comunità LGBTQ+ ha intrapreso nel corso dei secoli per fare valere i suoi diritti.

Nell’ambito della stagione estiva poi, ogni anno Teatri di Vita dedica un’edizione del festival internazionale a un paese straniero: quest’anno, per la 19^ edizione, è stata scelta la Polonia. Il variegato cartellone del festival “Cuore di Polonia” ha compreso la proiezione di una serie di lungometraggi di registi come Jerzy Skolimowski e Lech Majewski e il debutto di Kasia Smutniak con un film sul tema caldo dell’immigrazione. E poi cortometraggi di animazione, un incontro dedicato al premio Nobel Wisława Szymborska, interviste a giornalisti e letture di testimonianze e lettere, una mostra fotografica di Izabela Urbaniak e un dj-set con Avtomat. Un programma corredato come sempre da occasioni di socialità per il pubblico, con il menù a tema da gustare nel Parco dei Pini, che ha offerto uno spaccato completo e sfaccettato dal punto di vista politico, sociale e artistico su uno stato che si trova al confine con un fronte di guerra.

Ma sono anche andati in scena due spettacoli di danza, presentati in prima nazionale: “Imperial” di Paweł Sakowicz, prodotto dal Komuna Warszawa Theatre, e “Silenzio!” di Ramona Nagabczyńska, prodotto dal Nowy Teatr che, a partire dal ruolo femminile nell’opera lirica, mostra in modo irriverente e inaspettato come i corpi e le voci delle donne (e, prospettiva inusuale, come le voci di donne che parlano di corpi) possano far emergere facilmente dirompenti crepe nell’ordine maschile che governa la scrittura del melodramma e non solo.
Infine, sempre in prima nazionale, abbiamo assistito a “JaWa” della coppia di artisti Turkowski & Nowacka, specializzati nel teatro documentario, in cui i due commentano la proiezione del racconto dell’esperienza di un’impresa sociale che ha dato lavoro, per 18 mesi, nel 2021 a due disoccupati in stato di bisogno, Jan e Waldemar, ed è stata poi selezionata dal Teatro Komuna Warszawa per una residenza artistica. Tutta l’esperienza è stata filmata, seguendo i metodi di ispirazione investigativa che caratterizzano i due artisti, creando una prospettiva allo stesso tempo approfondita ma delicata su temi come emarginazione sociale, senzatetto, dipendenza dall’alcol e scelte di vita.

E’ interessante come il ruolo dell’arte non venga esaltato come salvifico metodo di riscatto, ma acquisisca proprio per questo rilevanza come strumento (in parallelo con gli attrezzi usati da alcuni dei protagonisti nel video, un falegname e un saldatore) per leggere la realtà e sé stessi.
Una cornice che fa da sfondo anche al momento più forte della serata, ovvero un inaspettato cortocircuito tra le esperienze personali dei due narratori in scena e le tematiche che vediamo raccontate nel video. Il tono coinvolgente ma leggero e a tratti anche ironico dei due viene infatti a sorpresa spezzato, tramite l’uso di una peculiare costruzione in legno su ruote, un minuscolo rifugio per senzatetto, che pian piano viene disvelata al centro del palco e che significativamente è stata creata a partire da pezzi di scenografie non più in uso al Teatro Komuna Warszawa.
Il duplice uso, dentro il documentario e poi in scena, di quella piccola casa su ruote a forma di mezzaluna e il fatto che sia a mezzaluna la forma stessa della videoproiezione, suggeriscono la possibilità di acquisire una differente prospettiva sulle cose. Un tema che torna anche nel documentario, in cui un senzatetto viene portato a guardare il suo vecchio giaciglio dall’alto dell’hotel sotto il quale per mesi si era risvegliato.

Se, come sottolineato da Janek Turkowski, in polacco la parola “JaWa” suona anche come un vocabolo che definisce la realtà concreta, in contrasto con un mondo più effimero ed evanescente, allora lo spettacolo non solo mette in discussione il confine tra i due, ma ne rende visibile il contorno nella vita quotidiana di ognuno, con la possibilità di scivolare da un momento all’altro da una parte all’altra. Dalla sobrietà alla dipendenza, dall’appartenenza sociale alla marginalizzazione, intese nelle loro infinite possibili gradazioni ed accezioni.

La ricca stagione estiva di Teatri di Vita proseguirà ancora dal 12 al 15 agosto con il Festival “Cuor Leggero”: quattro serate dedicata a comicità e stand-up comedy, con la terza edizione del concorso nazionale “La Cicala d’Oro” e con il pranzo di Ferragosto di solidarietà, in collaborazione con le Cucine Popolari.

NASCONDEVO GHIACCIO SOTTO LE MIE ARDENTI CAREZZE
progetto di Michele Di Giacomo e Angelo Di Genio
regia Michele Di Giacomo
con Angelo Di Genio
foto Luca Del Pia
produzione Alchemico tre

Visto a Bologna, Teatri di Vita, il 27 giugno 2024

 

 

JaWa
concept, realizzazione e performance Turkowski & Nowacka
sullo schermo Jan Rozpędzik, Waldemar Wieczorek, Artur Czechowicz, Alina Gałązka, Olga Kozińska, Grzegorz Laszuk, Dorota Kwinta, Dariusz Mikuła, Piotr Szczygielski, Szymon Olbrychowski e altri
supporto Stowarzyszenie Teatr Kana, Przedsiębiorstwo Społeczne JaWa
grazie a Alina Gałązka, Grzegorz Laszuk, Szymon Olbrychowski
scenografia Piotr Szczygielski
costumi Iwona Nowacka
video tradotto in inglese da Sean Gasper Bye
produzione Olga Kozińska / Komuna Warszawa
curatrice della stagione “Tough Love” Anna Smolar
international management Dorota Kwinta
created in residenza a Komuna Warszawa
co-finanziato da Città di Varsavia bell’ambito del Culture Hub project
con il sostegno di Stowarzyszenie Teatr Kana Szczecin
co-produzione Noorderzon / Grand Theatre Groningen

Durata: 1h 15′
Applausi del pubblico: 1′

Visto a Bologna, Teatri di Vita, il 5 luglio 2024

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