Italia anni Dieci. Il Bel Paese balla sulle macerie

Italia Anni Dieci
Italia Anni Dieci
Italia Anni Dieci
In un panorama teatrale come quello attuale, che tende sempre più verso derive individualistiche, e in un Paese, l’Italia, in cui è raro assistere a vere e proprie sinergie tra chi il teatro lo scrive, lo idea e lo fa, “Italia Anni Dieci” – frutto di una collaborazione durata più di due anni fra il drammaturgo Edoardo Erba, la regista Serena Sinigaglia e la compagnia Atir – varrebbe un plauso anche solo per questo.
Se poi aggiungiamo che sul “tavolo” si è messa la crisi, o meglio gli effetti che da essa derivano, il lavoro ci appare ancor più interessante.

Proseguendo quel percorso iniziato con “Ribellioni Possibili” – parabola tragicomica di una società, quella spagnola, che si ribella al sistema attraverso piccole lotte quotidiane – la Sinigaglia si pone l’obiettivo (e la responsabilità) di raccontare uno spaccato dell’Italia di oggi: in cui il fallimento economico e finanziario – come ci racconta nella prefazione al testo – è solo l’ultimo stadio di un processo iniziato da tempo e abbarbicato ad una decadenza che è morale, culturale, esistenziale.

Per farlo Serena Sinigaglia decide di affidarsi a una penna esperta, quella di Edoardo Erba, uno dei pochi in Italia ad occuparsi di scrittura per la scena, che ha realizzato un testo ad hoc per l’Atir non solo seguendo indicazioni e desideri della regista, ma anche pensando ad ogni singolo attore che lo avrebbe portato in scena.

Ne nasce un mosaico di vite che si incrociano ispirandosi, anche nella costruzione, al modello (dichiarato) di “America Oggi” di Robert Altman.

Sette le figure in scena: un imprenditore strozzato dalla crisi che non riesce a confessare a nessuno il suo fallimento; sua moglie Titti, affetta da un consumismo compulsivo e dalla “paura di diventare povera”; un’ex laureata in Lettere, eterna disoccupata; una madre iperprotettiva e il suo amante, un musicista fallito; un insegnante di salsa e una badante albanese.

Mentre la crisi economica li denuda e li priva di ogni cosa, i loro destini si intrecciano. L’imprenditore, su insistenza della moglie, assumerà la ragazza disoccupata che, ignara della bancarotta della ditta, ritrova l’entusiasmo.
Sua madre, venuta a conoscenza della realtà, decide di prestare all’industriale tutta la sua eredità in cambio del posto fisso per la figlia. Mentre l’imprenditore fugge ai Caraibi (ma la sfortuna lo segue anche oltreoceano), la palestra dove le tre donne seguivano il corso di salsa è stato rilevato da alcuni immigrati che ne faranno un ristorante.

L’unica che “si salva”, o meglio che sa ancora immaginare e spendersi per un futuro, seppur non con totale onestà, sarà la badante, che ha già investito la buonuscita per comprarsi un banchetto di frutta e verdura. Sarà proprio lei ad avere lo sguardo più lucido sul presente e sulla situazione del nostro Paese, che è un paradiso perché i soldi ci sono, basterebbe soltanto saperli usare.

La trama si sviluppa attraverso un meccanismo di gag a incastro, dove spezzoni di storie parallele si interrompono e riprendono. Con loro anche gli attori (che confermano la loro bravura), quasi sempre tutti in scena, che si “accendono e spengono” servendosi di volta in volta dei pochi elementi a disposizione, e “trasformandosi” in base alle esigenze.

Con l’aggravarsi delle condizioni personali e sociali dei personaggi anche la tensione drammatica cresce, senza però farsi mai realmente tragica. Perché a prevalere è il “macchiettismo”, lo sketch esilarante.
L’evidenza è tutta qui. Per raccontare la crisi forse non servono intellettualismi né grandi indagini. Il degrado può essere restituito scattando piccole fotografie di una quotidianità certo un po’ esacerbata, ma non poi così distante da quella che si offre al nostro sguardo reale. Come a rivelarci che l’osceno del tempo presente, che ha ben poco di nobile, si annida in quelle piccole bassezze consumate nell’ordinario vivere.

Gli elementi del disagio attuale in scena ci sono tutti. C’è il conflitto generazionale, c’è la precarietà dei sentimenti, ci sono le frustrazioni. E soprattutto c’è l’immobilismo di un’Italia che, a differenza di altri Paesi, pare davvero non sapersi né indignare, né ribellare, né tantomeno impegnare.

Mentre dal soffitto cadono gocce di pioggia che diventeranno un’acqua torrenziale di grande impatto visivo, i personaggi continueranno a comportarsi come se nulla fosse. Con quel “teatrino” di personaggi pronto a chiudersi così come si era aperto, sul corso di salsa, emblema di un costume tutto italico di tendere alla frivolezza e alla noncuranza anche in mezzo alla catastrofe. Dopo tutto, tanto vale continuare a ballare.
In scena fino al 2 febbraio.

 

ITALIA ANNI DIECI
di: Edoardo Erba
regia: Serena Sinigaglia
assistente alla regia: Daniela Arrigoni
con: Mattia Fabris, Stefano Orlandi, Maria Pilar Pérez Aspa, Beatrice Schiros, Chiara Stoppa, Sandra Zoccolan
scene: Maria Spazzi
costumi: Federica Ponissi
luci: Alessandro Verazzi
attrezzeria: Maria Paola Di Francesco
musiche: Gipo Gurrado
maestro di salsa: Luca D’Addino
tecnico luci: Anna Merlo   

applausi del pubblico: 4’

Visto a Milano, Teatro Ringhiera, il 16 gennaio 2013
Prima nazionale


 

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