Japan. A Short Theatre l’agonia di Simon Tanguy

Japan - Simon Tanguy
Japan - Simon Tanguy
Simon Tanguy in ‘Japan’ (photo: Nellie De Boer)

Bastano venti minuti di performance per attraversare in lungo e in largo il concetto di agonia?
E’ difficile dare una definizione concreta alla stessa parola, “agonia”, ma solitamente la si indica come quel momento di sofferenza e affanno prima di incontrare la morte, e di qui per significati più ampi.

Simon Tanguy, danzatore francese classe 1984 emigrato in Olanda, è vincitore dell’ITs Choreography Award 2011; arriva a Roma per Short Theatre con un assolo dedicato proprio all’agonia.
In “Japan” mostra la contrazione, il coma, il collasso e tutti gli stati d’animo riconducibili al macro concetto di agonia. Un viaggio semantico-concettuale verso un territorio più vicino alla psicologia che al teatro-danza; ma la potenza dello spettacolo, che dovrebbe stare (oltre che nel soggetto indagato) anche nell’intensità del movimento, nella grazia del gesto, nell’espressività del performer, non viene fuori, rimanendo embrionale.

Tanguy mostra una nuova frontiera del teatro-danza, prossima alla filosofia (lui stesso è laureato in questa disciplina). Così nello spettacolo mette in scena la lotta contro uno dei nemici del XXI secolo attraverso una danza spasmodica, violenta, urlata e sentita. Il commento sonoro è solo accennato, mentre forse avrebbe potuto davvero essere martellante per tutta la durata del lavoro.
Il tentativo è apprezzabile, si intuisce un’idea concreta di base ma, in definitiva, il lavoro non decolla, non emoziona, rischiando di apparire al confine tra autoreferenzialità, intellettualismo radical-chic e ‘fuffa’.
L’attore si spende molto sul palco, possiede forza ed energia, è tenace nel rappresentare la frustrazione, l’oppressione della nostra società veloce, tuttavia pare poi perdersi, vagheggiare attraverso movimenti insensati, sfruttando poco il suo know-how.

Il pubblico sembra comunque gradire, lui ringrazia più volte ma, all’uscita, resta – a chi scrive – una forte delusione di fondo.
Tanguy può certo continuare a frequentare questa sua idea di teatro, ma sarebbe forse auspicabile una ricerca più solida e meno ambiziosa. La giovane età gli permetterà senz’altro di crescere, indagando magari altre condizioni umane.

JAPAN
coreografia e interpretazione: Simon Tanguy
musiche: Christoph Scherbaum
luci: Pablo Fontdevila
coproduzione: Théâtre de la Ville-Paris, SNDO Amsterdam
con il supporto di Hetveem Theater-Amsterdam
durata: 20’
applausi del pubblico : 1’ 28’’

Visto a Roma, Teatro India, l’8 settembre 2011

No comments

  1. says: Massimiliano

    Ho visto lo spettacolo di Tanguy all’India l’altra sera e sono rimasto incantato per non averlo capito. C’è da dire che non sono per niente un intenditore. Mi reputo un libero spettatore che non vuole nemmeno sapere dei premi ricevuti e di tutta la fuffa letta sui nipoti sulla laurea in filosofia e quant’altro. Guardo e dico la mia. E infatti concordo con Riccardo quando dice che lascia al pubblico lo spazio alle associazioni personali. Lo spettacolo non mi è piaciuto. Anzi da giapponese lo avrei trovato irriverente per il titolo dato. Rimasto incantato inoltre anche per i sostenuti applausi del pubblico… 1’28”, colpa mia veramente allora? Era invece una favolosa ricerca del movimento? Oppure le associazioni personali del pubblico si sono fatte influenzare da questi premi, da chi lo ha coprodotto o da chi lo ha supportato… non so. Con questo non mi permetterei mai di giudicare il lavoro complessivo che sta facendo Tanguy e che come dice Riccardo sarà presto un nome importante nella danza europea. Glielo auguro. Concordo pienamente con Francesco sull’inconsistenza musicale, se non per quei suoni prodotti a suon di schiaffi, meritati 🙂 , che si è inflitto il coreografo-performer francese.

  2. says: riccardo

    Salve,
    ho visto Japan l’altro ieri ad Amsterdam e sono rimasto incantato non solo dall’abilità di Simon, ma soprattutto dalla sua creazione, dalla sua limpida ed efficace costruzione della sua performance che la rende unica. Non concordo con il Sig. Francesco Bove nel dire che questa performance è “un tentativo apprezzabile” o nel dire che il performer vagheggiava con movimenti insensati. No, assolutamente no per la mia modesta opinione. Si leggeva un’accurata ricerca del movimento, che diventava astratto e reale allo stesso tempo, lasciando spazio al pubblico di proiettarsi nel mondo del performer e di lasciare spazio alle associazioni personali. consiglio a tutti di andare a vedere questa performance e soprattutto di sostenere un coreografo “principiante” (se così si può definire), ma che presto sarà un nome importante nella danza europea.

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