“Dobbiamo ricominciare da capo questo mondo”. Jérôme Bel si racconta

Jérome Bel
Jérome Bel

Dopo l’auto-bio-coreografia presentata a Firenze da Marco Mazzoni, abbiamo intervistato il coreografo francese

Un’opera retrospettiva, con uno sguardo intimista, che evoca la chiusura di un cerchio.
Dopo aver assistito a Firenze alla performance “Jérôme Bel” (presentata a Cango il 3 maggio), portata in scena da Marco Mazzoni, abbiamo sentito l’esigenza di approfondire il pensiero e le evoluzioni del coreografo francese. In questa creazione, che Bel definisce “auto-bio-coreografica”, il pubblico viene invitato a un viaggio autobiografico nella sua carriera, rivelando tutte le dinamiche – artistiche e personali – alla base del proprio lavoro.
Durante la performance, l’artista stesso la descrive come se fosse il suo ultimo lavoro. Anche se non lo sarà, segna un momento di svolta, creando una netta distinzione tra un ‘prima’ e un ‘dopo’, aprendo a una nuova visione e a futuri orizzonti.

Questo pezzo, scritto durante la pandemia, si inserisce nel progetto a lungo termine “Théâtre durable?”, condotto congiuntamente dal Théâtre de Vidy di Lausanne, da Katie Mitchell e dallo stesso Bel.
Il testo, interpretato dall’autore alla Ménagerie de Verre di Parigi nell’autunno 2021, ha in seguito viaggiato all’estero sotto forma di copione, messo in scena e interpretato da artisti locali. Da alcuni anni, infatti, in linea con il suo impegno ecologico, Bel limita gli spostamenti, evitando l’aereo.

A Firenze è Marco Mazzoni (di Kinkaleri) a proporre la propria interpretazione, leggendo la lunga lettera di Bel, un monologo/conferenza interrotto solo dai momenti in cui scorrono filmati tratti dai passati lavori del coreografo. Seduto a un tavolo, davanti al suo computer, l’artista collega le sue coreografie passate agli incontri, alle scelte, ai dubbi e alla vita personale. Estratti di video, proiettati sul fondale, rievocano tutto il suo percorso artistico, a partire da “Nome dato dall’autore” e “Shirtology”, le prime opere concettuali di Bel volte a suscitare una riflessione complessa su cosa sia la danza, chi siano i ballerini e come la società contribuisca alla realizzazione delle dinamiche future.

Dinamiche ancora più evidenti nella performance “Véronique Doisneau”, che aveva debuttato all’Opéra di Parigi nel 2004. In questo lavoro, Bel presentava una ballerina solista, Véronique Doisneau, del Corps de Ballet de l’Operà, che raccontava chi era e cosa le piaceva o non le piaceva del balletto dal suo punto di vista. Il pezzo metteva in luce una donna che aveva lavorato tutta la vita nella danza, mostrando però quanto poco danzi realmente un membro di un corpo di ballo, che alla fine funge solo da sfondo umano sul palco.

Seguono “Disabled Theatre”, la pièce con gli attori del Theater HORA, una compagnia con sede a Zurigo composta da attori professionisti con disabilità mentali, e “The show must go on“, articolato in una serie di canzoni pop per cui Bel ideava coreografie ironiche, con lo scopo di sollevare domande sul rapporto tra creazione e vita, tra arte e intrattenimento. Infine “Gala”, che continua il cammino di Bel nella decostruzione della rappresentazione formale della danza.

La sfida alla base delle scelte di “Jérôme Bel” consiste nel far viaggiare non più gli spettacoli, ma le idee che li ispirano, affidando a diversi artisti il compito di riallestirli in modo unico in ogni città. Per tutti questi artisti, mettere in scena il lavoro significa anche rispettare diverse restrizioni: rappresentare la pièce solo nella propria città, non indossare costumi e utilizzare una scenografia già presente nel teatro.
Mazzoni in questa sede sceglie principalmente di lavorare sui tempi, aggiungendo il suo movimento in alcune scene, e garantendo un dialogo aperto che non comprometta l’identità originale. Si limita ad accompagnare alcuni video con i suoi movimenti, creando una sorta di dialogo a posteriori tra il passato e il presente, per lasciare in evidenza la genealogia degli elementi che hanno portato alla creazione dei vari lavori.

È la prima volta che Jérôme Bel si mette a nudo, raccontando al pubblico i suoi dubbi, le sfide e le sconfitte personali, e questo gesto colpisce e ci spinge a voler approfondire, da una prospettiva sia umana che artistica, il momento che sta vivendo.

In un tempo in cui tutto evolve a grande velocità, la ricerca è soprattutto ricerca di forma, di nuove relazioni. Come ti approcci alla ricerca estetica nel tuo lavoro?
Il mio lavoro artistico dipende da diversi processi. Ne ho identificati principalmente tre.
Innanzitutto, la commissione da parte di un’istituzione, ad esempio l’Opera di Parigi, il Teatro Hora di Zurigo, il MoMA di New York ecc… In questi casi sono invitato a intervenire in un contesto molto specifico. Mi piace molto questo tipo di lavoro perché il 95% del materiale è già lì, imposto dal contesto, devo solo trovare un angolo di attacco critico, cosa in genere abbastanza semplice. Poiché rispondevo spesso a commissioni del genere, una accademica mi ha definito un “artista contestuale”!
Un’altra parte del mio lavoro è la serie di ritratti autobiografici di danzatori, iniziata con “Véronique Doisneau” nel 2004 all’Opera di Parigi, passando per quella della performer, coreografa e ricercatrice italiana Laura Pante, fino al mio autoritratto che hai potuto vedere recentemente a Firenze. Spero di aver finito con questa serie! Questa parte del mio lavoro è stato un grande piacere, perché una volta determinata la forma (biografia + alternanza discorsivo/performativa), non restava che attivare il concetto con la soggettività di ciascun danzatore. L’identità è stata al centro di questa serie, permettendomi di “liberare” me stesso, per parafrasare Foucault, fino a… il mio autoritratto! Per questo ritengo che la serie sia terminata, poiché si unisce al terzo percorso.
La terza via per me è la più complessa, perché è tutta legata al mio desiderio, alla mia psiche, non c’è un contesto esterno o un’identità imposta: ho un’idea per uno spettacolo. Quest’idea nasce dalla percezione nel mio ambiente (personale, artistico e/o politico) di ciò che è problematico, difficile e talvolta insopportabile per me. Questa violenza che mi colpisce, questo sentimento che mi abita, può impiegare (consciamente o inconsciamente) mesi o anni per diventare un’idea per uno spettacolo. Si tratta quindi di sentimenti, intuizioni che si metabolizzano poi in un’idea. Se l’idea è buona, se è il momento giusto per me, se ho abbastanza energia psichica, cerco di formalizzare l’idea interpretandola con i performer. Questi pezzi sono più complessi, perché sono solo ad affrontare i miei enigmi. E le opere sono ovviamente un modo per risolvere questi enigmi!

Nelle tue creazioni il pubblico gioca sempre un ruolo importante. Pensando agli spettatori, “assistere” in francese, come in italiano, ha due significati, uno attivo e l’altro passivo. A volte semplicemente assistiamo (guardiamo), a volte assistiamo (aiutiamo), e la differenza potrebbe rappresentare la chiave per una diversa comprensione in uno spettacolo teatrale. In che modo pensi che il pubblico possa aiutare il regista?
Ho sempre teorizzato (con Marcel Duchamp!) il fatto che gli spettatori sono collaboratori. È ovvio che modificano il senso dello spettacolo che ho realizzato. Possono ridurne la dimensione sensibile e/o discorsiva o, nel migliore dei casi, aumentarla. È un rischio che amo correre. Questo è davvero ciò che mi interessa nella pratica artistica. Con i miei spettacoli cerco sempre di produrre un dialogo con gli spettatori. Si tratta di avviare una discussione, uno scambio tra il palco e la sala, che non è certamente udibile ma che è eloquente. Per me è necessario che il pubblico “lavori” durante e dopo lo spettacolo.

Il tuo impegno ecologico è ben noto, e le tue scelte sono visibili anche nelle tue creazioni, ma sempre marginalmente. Hai mai pensato di dedicare una performance a questo argomento?
Effettivamente, quando mi resi conto della tossicità del mio lavoro, causata soprattutto dai viaggi aerei della mia compagnia, decisi che non avremmo più preso l’aereo. È stata una decisione pragmatica: essendo il mio lavoro sempre stato impegnato politicamente, non potevo non prendere posizione su un tema così grave come l’emergenza climatica. E hai ragione, negli spettacoli, nel lavoro artistico, questa posizione è stata solo evocata attraverso strategie non artistiche, ma non riuscivo a fare un pezzo sulla crisi climatica. Solo cinque anni dopo la mia presa di coscienza ecologica, e di conseguenza la mia decisione di smettere di volare, sono riuscito a formalizzare quest’argomento. Ho appena realizzato uno spettacolo dal titolo “Danze non umane” dove, con la storica dell’arte Estelle Zhong Mengual (il cui libro è appena stato tradotto in italiano: “Solo se sono libera”) mettiamo in discussione le rappresentazioni della “natura” nella danza accademica occidentale, dalla danza barocca a quella contemporanea. Mostriamo come le strategie di alcuni coreografi abbiano partecipato, o meno, a una costruzione dualistica dell’idea di natura propria della cultura occidentale. Questo dualismo natura/cultura è all’origine della crisi ecologica nella quale ci troviamo oggi. Sempre con Estelle Zhong-Mengual, stiamo attualmente scrivendo un’opera teatrale che adatta alcuni scritti del filosofo francese Baptiste Morizot e della filosofa ed ecofemminista australiana Val Plumwood.
Questi due filosofi hanno in comune una ricerca volta a riconfigurare il nostro rapporto con la natura, in una prospettiva non più dualistica, ma che, al contrario, restituisce la nostra sensibilità alla vita stessa. Dobbiamo rivedere il modo in cui vediamo le nostre relazioni con le altre specie. L’uomo deve imparare a distaccarsi dal pensiero narcisistico della propria superiorità spirituale e tecnica, che lo porta ad essere completamente cieco e sordo nei confronti della vita. D’altronde gli animali non vanno considerati inferiori o superiori: incarnano soprattutto altri modi di essere vivi. Il lavoro si intitola “Ricominciare questo mondo (le creature favolose)”. Verrà presentato in autunno nell’ambito del Festival d’Automne di Parigi. L’idea è di pubblicarlo affinché possa essere tradotto, messo in scena ed eseguito in tutto il mondo dagli artisti che lo desiderano.

Definisci il pezzo “Jérôme Bel” come un’auto-bio-coreografia. Ho visto la performance a Firenze e ho trovato molto interessante comprendere la genesi dei tuoi lavori, rendendomi conto di come la tua vita personale abbia influenzato la tua carriera professionale. Come sei arrivato a questa creazione?
A due anni dalla prima di questa performance, credo che questo spettacolo sia un modo per porre fine a 30 anni di lavoro. In effetti la mia idea del mondo, di cosa sia la vita, è profondamente cambiata. L’idea del mondo a cui facevo affidamento, derivante dalla mia educazione e della mia cultura, è esplosa. Lo spettacolo credo sia un addio al mondo del passato… Ora dobbiamo fare le cose diversamente, inizia una nuova vita, dobbiamo, come dice il filosofo Baptiste Morizot, ricominciare da capo questo mondo.

Quale urgenza artistica senti possa avere un impatto sul mondo, e come si è evoluta negli anni?
È molto difficile misurare l’impatto del mio lavoro sul mondo. Probabilmente è inesistente. Ma io stesso sono stato molto influenzato nella mia vita e nella mia arte da centinaia di artisti e pensatori; quindi, mi dico che forse anch’io avrò un impatto…
Negli ultimi anni diversi pensatori hanno prodotto una rottura epistemologica molto importante. Non vedo più il mondo e la vita nello stesso modo in cui lo vedevo cinque anni fa. Oggi sono molto influenzato da filosofi come Bruno Latour, Donna Haraway, David Abram, Vinciane Despret, Baptiste Morizot, Val Plumwood… Ma anche dal lavoro in antropologia di Philipe Descola, Nastassja Martin, Eduardo Kohn, Tim Ingold, Anna Lowenhaupt Tsing… Questi ricercatori ragionano partendo dal nostro momento storico, l’Antropocene. Producono così un modo di pensare completamente nuovo, che cerca di capire cosa stiamo attraversando e, nonostante l’inevitabile catastrofe, cercano di progettare un mondo abitabile basato su nuove ontologie. Come risultato di questi nuovi pensieri, vedo apparire nuovi artisti nel campo delle arti visive, della musica, del cinema e anche della danza, con i quali inizio a intrattenere un dialogo. Discutiamo molto di questa nuova situazione dell’Antropocene e cerchiamo di capire come possiamo creare opere che siano rilevanti per i nostri contemporanei. Queste sono nuove persone, nuove alleanze, un nuovo modo di pensare e creare. Un nuovo modo di vivere.

JÉRÔME BEL
Testo, video Jérôme Bel
Assistente Maxime Kurvers
Messa in scena Marco Mazzoni
Traduzione in italiano Marco Mazzoni
Con Marco Mazzoni e Frédéric Seguette, Claire Haenni, Gisèle Pelozuelo, Yseult Roch, Olga De Soto, Peter Vandenbempt, Sonja Augart, Simone Verde, Esther Snelder, Nicole Beutler, Eva Meyer Keller, Germana Civera, Benoît Izard, Ion Munduate, Cuqui Jerez, Juan Dominguez, Carine Charaire, Hester Van Hasselt, Dina Ed Dik, Amaia Urra, Carlos Pez, Henrique Neves, Johannes Sundrup, Véronique Doisneau, Damian Bright, Matthias Brücker, Remo Beuggert, Julia Häusermann, Tiziana Pagliaro, Miranda Hossle, Peter Keller, Gianni Blumer, Matthias Grandjean, Sara Hess, Lorraine Meier, Simone Truong, Akira Lee, Aldo Lee, Houda Daoudi, Cédric Andrieux, Chiara Gallerani, Taous Abbas, Stéphanie Gomes, Marie-Yolette Jura, Nicolas Garsault, Vassia Chavaroche, Magali Saby, Ryo Bel, Sheila Atala, Diola Djiba, Michèle Bargues, La Bourette, Catherine Gallant
Immagini Herman Sorgeloos, Marie-Hélène Rebois, Aldo Lee, Pierre Dupouey, Olivier Lemaire, Chloé Mossessian
Consulenza artistica e direzione esecutiva R.B. Rebecca Lasselin
Direttore di produzione Sandro Grando
Produzione dei video CND Centre national de la danse, R.B. Jérôme Bel, Paris National Opera/Telmondis in association with France 2 con la partecipazione di Mezzo and of Centre national de la cinématographie, Theater Hora, French Institute Alliance Française – FIAF
Produzione della performance R.B. Jérôme Bel
Produzione della versione locale Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni
Coproduzione Ménagerie de Verre (Paris), La Commune centre dramatique national d’Aubervilliers, Festival d’Automne à Paris, R.B. Jérôme Bel (Paris)

La scrittura del testo di questo spettacolo è parte del processo creativo di Sustainable theatre ?, ideato da Katie Mitchell, Jérôme Bel and Théâtre Vidy-Lausanne e cooprodotto da STAGES – Sustainable Theatre Alliance for a Green Environmental Shift cofunded by European Union: Dramaten Stockholm, National Theater & Concert Hall, Taipei, NTGent, Piccolo Teatro di Milano -Teatro d’Europa, Teatro Nacional D. Maria II Lisboa, Théâtre de Liège, Lithuanian National Drama Theatre, Croatian National Theatre Zagreb, Slovene National Theatre Maribor, Trafo Budapest, MC93 Maison de la culture de Seine-Saint-Denis

Grazie a Caroline Barneaud, Daphné Biiga Nwanak, Jolente De Keersmaeker, Zoé De Sousa, Florian Gaité, Chiara Gallerani, Danielle Lainé, Xavier Le Roy, Marie-José Malis, Frédéric Seguette, Serena Trinchero, Christophe Wavelet

Visto a Firenze, Cango, il 3 maggio 2024

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