La Perturbation di Lupa per raccontare le angosce di Bernhard

(photo: Elisabeth Carrechio)
(photo: Elisabeth Carrechio)
Photo: Elisabeth Carrechio
Le parole di Thomas Bernhard, romanziere, poeta e drammaturgo di origini austriache, si scontrano di nuovo con le visioni di Krystian Lupa, eroe del teatro polacco, tra le avanguardie della scena europea e internazionale.
È la seconda volta che Lupa porta Bernhard a teatro, in nome di una rinnovata complicità artistica, ancora una volta in francese, con “Perturbation”, spettacolo inserito nel programma della 42^ edizione del Festival d’Automne, di scena fino al 25 ottobre presso il teatro La Colline a Parigi, dove il regista polacco è ormai di casa.

Pubblicato nel 1967, “Perturbation” (qui nella traduzione a cura di Bernard Kreiss) è un rosario di casi umani, un susseguirsi d’affreschi di vite sciagurate, dimenticate nella campagna remota o nelle buie camere da letto di castelli decaduti. Esistenze segnate da quelle che lo stesso Bernhard, nel suo romanzo, chiama “alterazioni catastrofiche”, dove, attraverso la malattia del corpo, si fa strada la malattia dello spirito.
E per tradurre le dislocazioni mentali in puro teatro, Lupa, noto per la sua estenuante ricerca del personaggio, ha reclutato dieci dei migliori attori francesi coinvolti in un processo di trasformazione intenso, le cui lungaggini, purtroppo, si riflettono nello spettacolo, che si prolunga per quasi 4 ore e mezzo, perdendo, tra i cambi di scena, la tensione e l’adrenalina iniziali.

Il sipario si leva su Thomas, figlio di un medico di campagna, padre assente, causa involontaria di turbe adolescenziali e interrogativi ansiosi, interpretati, con un misto di ingenuità e disinvoltura, da Matthieu Sampeur. La scenografia si accende. Un video alle spalle dell’attore mostra padre e figlio destreggiarsi in auto nelle campagne, in una sorta di periplo iniziatico, dove, di casa in casa, di malattia in malattia, l’adolescente osserva da vicino i segreti e i buchi neri della professione del padre.

Tra i due, tuttavia, vige un continuo non-detto, la comunicazione resta superficiale, e dai dialoghi sbocconcellati trasuda un torpore che s’impossessa, purtroppo, dello spettacolo, abbandonandolo solo nei momenti in cui le porte si aprono sulle schizofrenie e le vite dislocate dei malati. Qui l’estro immaginifico di Lupa torna brillante, con una scenografia da incubo a occhi aperti, dove le stanze del dolore dei pazienti si aprono sulla scena, lentamente, scricchiolando, incorniciate da un nastro rosso incandescente. La violenza di queste umanità sul bordo dell’abisso, i flussi di coscienza, gli scatti nervosi dei pazienti, relegano fortunatamente in secondo piano i rapporti melensi tra padre e figlio.

Nella seconda parte dello spettacolo, i due approdano al maniero del principe Sarau, personaggio bernhardiano per eccellenza, intriso di quell’esistenzialismo nichilista che trionfa nel monologo declamato lungo una passeggiata su un’impalcatura che circonda tutta la scena, dove il principe, misantropo entusiasta, solitario, ansioso di vivere, circondato dalle due sorelle, le figlie svampite e un misterioso cugino polacco, sembra condividere la stessa filosofia di Bernhard quando scriveva: “Detesto gli uomini ma sono la mia unica ragione di vita”, perché, come dice il suo personaggio, “ognuno vive per sé e, tuttavia, viviamo tutti uno accanto all’altro”.

L’ultimo atto, introdotto da un conto alla rovescia, è quasi un divertissement, un dopo-festa ancora ebbro, un albeggiare opaco a margine dello spettacolo. Gli attori sono distesi, quasi l’uno sull’altro, e abbandonano per un attimo le vesti dei personaggi per tornare teatranti, estenuati dalla rappresentazione.
“Tutto è artificiale” confermava Bernhard: ogni parola, ogni immagine si rivela una messa in scena.

A sipario calato, si ha l’impressione di aver visto un adattamento trascinato, in cui gli equivalenti scenici della prosa sono sì folgoranti, ma rivelano le debolezze e le esagerazioni della regia, dove le pillole del genio sensibile di Bernhard spesso si perdono nella sperimentazione folle di Lupa, ma in cui si scorge, in fondo, il senso di tale violento parossismo. È lo stesso principe a svelarlo, nel suo sfrenato soliloquio, dove si anela alla violenza, quella degli atti e delle emozioni, come unica via d’uscita per sfuggire alla monotonia dell’accecamento quotidiano.

Perturbation
ispirato al romanzo di Thomas Bernhard
regia: Krystian Lupa
con: John Arnold, Thierry Bosc, Valérie Dréville, Jean-Charles Dumay, Pierre-François Garel, Lola Riccaboni, Mélodie Richard, Matthieu Sampeur, Anne Sée, Grégoire Tachnakian
costumi: Piotr Skiba
suono: Frédéric Morier
video: Karol Rakowski

durata 4h 20’
applausi del pubblico: 3’

Visto a Parigi, Théâtre La Colline, l’8 ottobre 2013

 

 

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