La Rosa Bianca di Officina delle Pezze. A lezione di resistenza senza lo spiegone

La rosa bianca (ph: Sara Tonin)
La rosa bianca (ph: Sara Tonin)

In occasione della Giornata della Memoria, Anna De March e Valentino Bettega uniscono i fratelli Grimm alla Resistenza al nazismo

Tra le proposte che sono circolate in occasione della Giornata della Memoria nel territorio veneto è spiccata “Die Weisse Rose” di Officina delle Pezze. La compagnia è stata istituita nel 2018 da Anna De March [che nessun legame ha con chi scrive, nonostante lo stesso cognome] e Valentino Bettega, due allievi della Scuola Cònia diretta da Claudia Castellucci e Joe Keller che, dopo la formazione a Bologna e Cesena tra i meandri universitari del Dams e di Lettere e lo sperimentalismo della Socìetas, hanno deciso di disseminare il loro operato nel territorio montano di cui sono originari, a cavallo tra le province di Trento e Belluno.

“La Rosa Bianca” è lo spettacolo che ce li ha fatti conoscere, e che attesta una poetica raffinata e puntuale, capace di far leva simultaneamente sui vari canali espressivi che convergono nella scena teatrale: fisicità, luci, ombre, voce, musica. La ricerca registica mira a realizzare una messinscena «dove l’attore si sottrae o tenta di scomparire, a favore della storia, della visione, della complessità del teatro», conferma Valentino Bettega a margine.
L’opera quindi sorprende proprio perché è un esempio raro di come si possano affrontare temi di impegno civile senza rinunciare al dato estetico e al potenziale suggestivo ed evocativo propri del sincretismo teatrale. A differenza di certo didatticismo che si respira e si subisce in simili circostanze ed opere commemorative, in questo caso siamo avviluppati nel mistero che attraversa e lega due linee narrative, illustrate in modo non didascalico ma per cenni e frammenti suggestivi ed affascinanti. L’invito complessivo dell’intero percorso non manca tuttavia di risplendere chiaramente.

La drammaturgia, scritta dagli stessi Anna De March e Valentino Bettega che firmano anche la regia, intreccia due racconti molto distanti tra loro: la fiaba di Hansel e Gretel, interpretati da Frida e Alvise Marascalchi, due adolescenti non professionisti; e quella dei fratelli Scholl, Hans e Sophie, che a 24 anni diedero vita nel 1942 alla “Rosa Bianca”, un gruppo di universitari che promuoveva una Resistenza nonviolenta al nazismo, quotidiana, “non eroica”, fondata sul rifiuto del consenso e il sabotaggio. De March e Bettega vestono i panni sia dei fratelli Scholl, sia dei malvagi che nella fiaba vogliono manipolare i ragazzi, in una simmetria del tutto originale con le dinamiche del potere dittatoriale.
Una voce fuori campo pronuncia la chiave di accesso alla favola: “C’era una volta…”. L’italiano si alterna al tedesco, poi cominciano vocalizzi che esprimono ordini, intimidazioni e paura.
Due ragazzi stanno ascoltando da sotto le coperte e si scoprono non più destinatari del racconto ma protagonisti. Di loro occorre liberarsi perché manca il pane e perciò sono inviati in un bosco dove si smarriranno, fino ad essere salvati da una strega che in realtà li soggiogherà: similmente, la gioventù cresciuta sotto i regimi nazifascisti si è trovata a districarsi tra promesse esaltanti e seduttive, e l’evidenza del carattere repressivo e parassitario del Potere. Hansel e Gretel quindi sono figure del doppio di Hans e Sophie Scholl: in entrambi i casi, si passa attraverso la demistificazione e la sottrazione alle lusinghe degli antagonisti, assumendosi la responsabilità di un’opposizione. «Che facciamo?» si chiedono Hansel e Gretel: la risposta saranno Hans e Sophie a batterla, con la macchina da scrivere, in un bollettino che ricorda a tutti noi che «bene supremo dell’uomo è la libera volontà» e che è il momento di «risvegliarsi dall’apatia». Nella messinscena emerge brillantemente il contrasto tra l’esilità di una giovinezza inerme da un lato e dall’altro la sua genuinità, il suo coraggio di affrontare l’oscurità in nome della vitalità di cui è portatrice.

La specularità delle due vicende si plasma in scena grazie ad una costruzione singolare. Il palco è diviso da un telo semitrasparente che definisce due dimensioni: quella antistante è lo spazio di Hansel e Gretel, in quella retrostante tramano al buio i loro antagonisti, oppure si svolge l’attività clandestina dei due fratelli Scholl. Il telo permette di giocare con la penombra, il controluce, proiezioni di sagome che assumono proporzioni maggiori e inquietanti, suscitando un effetto misterico ed allusivo ed un impatto visivo multiprospettico. L’uso di questi espedienti produce una realizzazione di grande eleganza e nitidezza estetiche. Attraverso di essi, Officina delle Pezze consegue uno dei più apprezzabili risultati: evocare atmosfere, attivare correlazioni e suggestioni, senza narrare in modo didascalico.
Ma c’è di più: la simmetria della scena si riverbera anche sugli spettatori. Un secondo telo ancora più impalpabile, infatti, separa lo spazio di Hansel e Gretel da quello della platea. Da quest’ultima, dalla realtà, provengono all’inizio Frida e Alvise Marascalchi quando, vestiti in divisa scolastica, salgono sul palco e si insinuano sotto il sipario rosso, prima che questo si apra. Orientata verso il pubblico, si conclude anche l’ultima scena: Hansel e Gretel imbracciano una grande forbice con cui si dirigono a fessurare quella barriera che li separa dagli spettatori. In un’altra occasione ancora, la quarta parete sarà sfondata, per sollecitare il pubblico a reagire, prendere coscienza e assumersi la propria responsabilità.

Lo spettacolo presenta scelte cromatiche che lo fanno risultare una pellicola in bianco e nero. Più che le azioni o i dialoghi, sono significative certe pose icastiche in silhuoette, piccoli gesti che esprimono complicità ed un’ingenuità tipica della giovinezza, un tessuto sonoro composto con grande delicatezza e accuratezza. Il lavoro sulla voce sembra registrare il magistero di Chiara Guidi: si passa da modulazioni al limite del percettibile, che balbettano o sussurrano finché ci si aggira tra la paura, il sospetto e la ricerca di una via di fuga o reazione; alla sicumera altisonante della propaganda; ad un’interpretazione del tutto antiretorica, spontanea e verosimigliante dei due attivisti. In qualche passaggio le battute non si capiscono fino in fondo, a volte la pronuncia è biascicata, le frasi incompiute e frammentate da interiezioni: Anna De March conferma che questo tipo di ricerca intende riportare «la parola alla sua dimensione originaria di suono, staccandola dall’essere esclusivamente vettore di un contenuto letterario ed elemento scenico dominante».
Alla vocalità umana si affiancano registrazioni in tedesco, rumori di interferenza radiofonica e musiche originali composte dal duo bellunese Higuita Doom, capace, ad esempio, di interpolare motivi di Marlene Dietrich con arrangiamenti elettronici e sintetizzati. Interessanti e coinvolgenti alcuni contrasti di ritmo e timbro provocati proprio da musiche psichedeliche, che si incuneano nella rarefazione delle scene. L’effetto ricercato, conferma Bettega, mira a creare una dissonanza e decontestualizzare il racconto, forse ad attualizzarlo.

Officina delle Pezze comprende anche Marco Bellotto, Caterina Gerardi, Angelo Longo, Giulia Pivetta Stefani, Nicole Slongo: un gruppo affiatato che gestisce un piccolo ma prolifico teatro a Imer (TN), vicino a Fiera di Primiero e San Martino di Castrozza. Qui dal 2019 organizza la rassegna autunnale BluOff. In un contesto territoriale dove la fa da padrone il teatro amatoriale e che risulta periferico ai principali circuiti, l’obiettivo di BluOff è promuovere la condivisione di linguaggi e poetiche più aggiornate, rispettando al tempo stesso il bisogno popolare di racconti, dell’inaspettato, di un sapere artigianale. Le varie stagioni si susseguono registrando successi di presenze, favoriti anche da una politica di biglietti a basso costo.
Dal 2021, inoltre, Officina delle Pezze ospita anche la residenza artistica Vandùgola, il cui nome deriva dal dialetto di Primiero e indica un piccolo avvallamento o affossamento, ricco di biodiversità. Si tratta quindi di un’operazione che la compagnia vive innanzitutto come opportunità personale di fuoriuscire dall’isolamento e dalla marginalità per entrare in contatto con artisti emergenti, dei settori disciplinari più vari (musica compresa), che portino nuova linfa nel rapporto col pubblico e nell’espressione di tematiche rilevanti per la nostra attualità. Il bando 2025 è già aperto e si chiuderà il 21 marzo: offre dieci giorni di residenza e un premio di produzione di 1000 euro.

Die Weisse Rose – La Rosa Bianca
di Anna De March e Valentino Bettega
con Valentino Bettega, Anna De March, Frida e Alvise Marascalchi
musiche di scena di Higuita Doom
scenografia di Valentino Bettega
produzione Officina delle Pezze in collaborazione con Circolo Cultura e Stampa Bellunese
con il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto CARITRO

Visto a Ponte nelle Alpi (BL), Teatro G. Pierobon, il 7 febbraio 2025

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