Zona K nel quartiere Adriano per “Milano è Viva”. E per un giorno gli spettatori diventano direttori artistici
Il quartiere Adriano si trova nella periferia nord-est di Milano, a pochi passi dalla tangenziale est. Dista quasi 8 km dal centro. È un mosaico di appartamenti chiusi dentro palazzoni che disegnano in verticale lo skyline della metropoli: grattacieli che sfidano il cielo senza avere le ali.
Via Adriano nasce dove tramonta via Padova, cuore multietnico della città. Tempo fa uno striscione appeso a una facciata del quartiere recitava: “Qui non succede mai niente”. Ora qualcosa si muove. Lentamente, il Comune sta riqualificando la zona, bonificandola dall’amianto, demolendo ecomostri, potenziando i servizi e i trasporti, costruendo scuole ed Rsa. Decollano anche progetti finalizzati alla crescita dell’offerta culturale, con il contributo di Fondazione Cariplo e il coinvolgimento di vari artisti, come l’olandese Kevin Van Braak.
“Partecipare significa mettere il naso fuori di casa”, è lo slogan di un altro striscione.
Timide prove di partecipazione le abbiamo sperimentate a Magnete, dove via Adriano sfuma nella periferia di Sesto San Giovanni, cimitero compreso. A pochi passi da qui ci sono una scuola di danza e un centro per anziani. Ci sono vie intitolate a Totò, Tognazzi e Gassman. Ci sono il campo da basket Sandra e Raimondo e i giardini Franca Rame. C’è la Casa della Carità fondata vent’anni fa dal Cardinal Martini con don Virginio Colmegna, che promuove la dignità degli “ultimi tra gli ultimi”.
Magnete è un hub di integrazione sociale, culturale e formativa che sorge in uno spazio appartenuto alla Magneti Marelli. Si ispira a cinque parole chiave: comunità, cura, cultura, innovazione e formazione. È un luogo d’arte, performance dal vivo e inclusione sociale.
Qui è arrivato il bando “Milano è Viva”, e qui sono arrivate Zona K e Qui e Ora Residenza Teatrale. Ne è nato un lavoro estroso, creato con l’artista catalano Roger Bernat che si intitola “La scelta”.
In Italia Bernat è stato spettatore per sei mesi di alcune direzioni artistiche partecipate della rete “Risonanze”: da Cuneo a San Sepolcro, da Bergamo a Milano a Matera. I risultati di queste esperienze sono confluiti nello spettacolo.
Tre indizi fanno una prova. Zona K, Bernat e Qui e Ora hanno nel DNA l’arte partecipata. I lavori di Bernat si basano sulla compenetrazione di artisti e spettatori, ipostatizzando il concetto di dubbio. Che è poi la missione dell’arte.
Ne “La scelta” il dubbio è condizione pervasiva. Noi spettatori siamo ripartiti in tre gruppi e dirottati verso tre sale adiacenti. Ogni gruppo visiona i trailer di altrettanti spettacoli teatrali e deve scegliere il migliore. I tre lavori selezionati saranno oggetto di un confronto finale fra tutti gli spettatori riuniti insieme in un’aula più grande. Insieme decreteranno il lavoro da portare all’interno di un festival.
Di fatto noi spettatori ci troviamo in una posizione bizzarra. L’illusione di decidere si limita al voto. Il dibattito che precede la scelta si ferma alla lettura di frasi, considerazioni, incisi che qualcun altro ha pronunciato per noi e scritto prima di noi.
Ma dunque “La scelta” è un trucco? È un inganno sublime?
È normale che questo lavoro cambi identità ogni volta che rinasce da qualche parte, e si modifichi di replica in replica. In tutti i modi, ci pare che raggiunga il suo scopo. Ne apprezziamo l’andamento beffardo, il procedere leggero che regala sorrisi e risate: fosse solo per il fatto che noi spettatori leggiamo nei modi più strampalati quei cartoncini che riceviamo dalle tre “maschere” (Laura Valli, Francesca Albanese e Silvia Baldini) a presidio di ciascuna delle sale.
Durante la performance, tra gli spettatori c’è chi si alza e prova a interpretare quanto legge, mettendo in scena la propria idea di recitazione. C’è chi legge restando seduto, disattendendo le indicazioni del cartoncino, magari parlando in maniera asettica, con voce silenziosa oppure stentata. C’è chi sillaba incerto la frase, come davanti a un geroglifico. C’è chi perde il filo e interviene dopo imbarazzanti attimi di silenzio. C’è chi ride. C’è chi cerca il contatto oculare con gli interlocutori e chi lo elude. C’è chi legge con un filo di voce, oppure in modo stentoreo. E ci vengono in mente Wilde e Pirandello, le maschere nude o vive, il presupposto che tutti simuliamo una parte.
Dimmi come leggi e ti dirò chi sei. O forse chi non sei. Riflettiamo sulla scelta. La facoltà di decidere (in latino caedere è “tagliare”) comporta sempre una perdita. E comprendiamo, attraverso le parole degli altri che ogni scelta è opinabile, un abuso, un’ingiuria, e anche un’opportunità. Che la democrazia è il più equo dei sistemi ma anche la prevaricazione di una maggioranza. Che a volte si sceglie con ponderazione, altre seguendo la scia, altre ancora delegando l’istinto. Che una scelta impulsiva può essere più riuscita di una scelta meditata. Che tutto è relativo. Che intestardirsi è un atto d’arroganza. Che uscire da sé apre mille prospettive. Che aveva ragione Epitteto quando affermava che Dio ci ha dato due orecchie e una sola bocca per imparare ad ascoltare il doppio di quanto parliamo. Che i maestri della Scolastica medioevale erano più avanti di noi quando invitavano i loro studenti a sostenere la propria tesi con l’argomentazione, poi ad adottare la tesi dell’avversario per avallarla con un’argomentazione altrettanto forte.
“La scelta” ci porta a moltiplicare i punti di vista. Decisioni anche banali possono essere simultaneamente atti estetici, culturali, sociali, civili e politici.
Agiamo nel solco di Gianni Vattimo, filosofo del Pensiero debole scomparso lo scorso 19 settembre. La sua etica della democrazia era improntata al rispetto e al confronto plurale. «La filosofia – spiegava – ha il dovere di mostrare come la verità non sia mai l’oggettività, ma sempre dialogo interpersonale che si attua nella condivisione del linguaggio».
LA SCELTA
Progetto di Roger Bernat con la drammaturgia di Roberto Fratini e Marie-Klara González
Con la partecipazione di Francesca Albanese, Silvia Baldini, Josephine Magliozzi e Laura Valli
Programmazione e technical care Stefano Colonna e Txalo Toloza
Grafica Marie-Klara González
Trascrizione creativa delle registrazioni del tour presso le direzioni artistiche partecipate di
Elena Bernardi e Pina Rocco
Produzione e curatela Qui e Ora in coproduzione con Capotrave – Infinito e Kilowatt
Festival. Con il sostegno di Risonanze Network e del MIC
Con la collaborazione e le immagini di: Catalina (Iniciativa Sexual Femenina), Les Vedettes (Marta Galán), Grandissima Illusione (Cris Blanco), The Watching Machine (Macarena Recuerda), Aquelles que no han de morir (Las Huecas), Figures (Germana Civera), It don't worry me (Atresbandes +Bertrand Lesca & Nasi Voutsas), Los figurantes (Ça Marche) e Tierras del Sud (Azkona/Toloza).
E la complicità di: Agnès Mateus e Quim Tarrida, Agrupación Señor Serrano, Alessandra García, Animal Religion, Baró d’Evel, Brodas Bros, Cabosanroque, Col·lectiu VVAA, David Espinosa, El Conde de Torrefiel, Joan Català, Jordi Oriol, Juana Dolores, Malpelo, Marcel·lí Antúnez, La Veronal, Nao Albet e Marcel Borràs, Núria Guiu, Nyam-nyam, Pere Faura, Quim Bigas, Societat Doctor Alonso e Soren Evinson
Si ringrazia Stronger Peripheries
durata: 1h 10’ circa
Visto a Milano, Magnete, il 23 settembre 2023