La Traviata di Carmelo Rifici. Il LAC si apre all’opera di Verdi

La Traviata (photo: Luca Del Pia)
La Traviata (photo: Luca Del Pia)

Markus Poschner dirige l’Orchestra della Svizzera italiana per un allestimento che vede protagonista Myrtò Papatanasiu nel ruolo di Violetta

Come i lettori della nostra rivista ben sanno, quando ci accingiamo a relazionare su un’opera ci piace indagarla in tutti i suoi aspetti, come se, sia noi sia chi ci legge, ce la trovassimo davanti per la prima volta. Per cui siamo un po’ in imbarazzo a dover parlare oggi de “La Traviata” di Giuseppe Verdi, da noi vista ed ascoltata al Lac di Lugano che, dopo “Il Barbiere di Siviglia” nel 2018, ospita nella sua programmazione un altro capolavoro operistico. Sì, perché “La Traviata”, lo diciamo spesso, è entrata nel dna del nostro Paese, per cui ogni nostro lettore dovrebbe conoscerla a menadito. Ma noi faremo come se così non fosse e procederemo, tanta è la voglia di esplorarla, come sempre a raccontarvela.

Questa autentica meraviglia è stata composta in tre atti da Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, che la derivò da “La signora delle camelie”, opera teatrale di Alexandre Dumas (figlio), che a sua volta la trasse dal precedente e omonimo romanzo. Insieme a “Il Trovatore” e “Rigoletto” forma la cosiddetta trilogia popolare del compositore di Busseto.
Il 6 marzo 1853 debuttò a La Fenice di Venezia: una prima rappresentazione tuttavia deludente, sia a causa di interpreti di non adeguato livello, ma anche alla scabrosità dei temi trattati, che decretarono l’opera un clamoroso insuccesso.
Riallestita poi l’anno successivo, fu invece accolta in modo assai diverso. Ma anche in seguito l’opera ebbe diverse traversie: in scena al Regio di Parma il 10 gennaio 1855 le venne cambiato il titolo in “Violetta” per compiacere i moralisti, mentre nelle repliche di Napoli e Roma fu rimaneggiata dalla censura e messa in scena con alcuni pezzi totalmente cambiati.
Sempre per sfuggire alla censura, parecchie volte dovette essere addirittura traslata, come ambientazione cronologica, dal XIX al XVIII secolo, anche se il vero e dirompente azzardo di Verdi fu di averla ambientata proprio nel suo tempo. “Ti prego dunque di adoperarti affinché questo soggetto sia il più possibile originale e accattivante nei confronti di un pubblico sempre teso a cercare in argomenti inusuali un confine alla propria moralità” scrive Verdi in una lettera al librettista Piave. Dunque fu proprio il grande compositore a voler scompaginare le certezze dei benpensanti, sempre pronti a criticare ogni possibile tentativo di sperimentazione.

E veniamo a presentare l’opera nel dettaglio.
Il soggetto è il tormentato amore tra la bellissima e fragile (è malata, come la Mimì pucciniana, di tisi) Violetta Valery, una bellissima “mantenuta”, e il giovane rampollo di una famiglia borghese, Alfredo Germont, da tempo invaghitosi della donna, che incontra per la prima volta ad una festa proprio in casa di Violetta, dove “si consuma” il celeberrimo brindisi.
La donna, colpita dal sincero amore del ragazzo, per la prima volta si sente davvero amata e poco per volta inizia a ricambiarlo, sino ad andare a vivere con lui nella casa di campagna dei Germont.
E’ qui che piomba il repellente perbenista Giorgio, padre di lui, che prima accusa Violetta di voler spogliare Alfredo delle sue ricchezze, e poi constatata l’infondatezza delle accuse e, dopo varie lusinghe, chiede alla ragazza un sacrificio per salvare il futuro della figlia che si deve sposare, e certo non può avere un fratello che convive con una “poco di buono”, come direbbe oggi lo sgradevole padre di Alfredo. Così il vecchio Germont chiede a Violetta di abbandonarlo per sempre e lei, stremata, accetta di lasciare Alfredo.

Rimasta sola, dopo aver scritto all’amato una lettera per annunciargli la sua decisione e fattasi nel contempo giurare il suo amore (qua lo straziante “Amami Alfredo, finchè io t’amo”), fugge.
Si ritroveranno alla festa della comune amica Flora, dove Violetta si è fatta accompagnare dal barone Douphol, di cui, mentendogli, dice di essersi innamorata. E’ a questo punto che Alfredo, sdegnato, chiama tutti gli invitati, gettandole addosso come dispregio una borsa di denaro. Tutti inveiscono contro Alfredo, e arriva il padre (proprio lui!) a rimproverarlo del fatto.

Il terzo atto si svolge nella camera da letto di Violetta. La tisi si fa più acuta e ormai il dottor Grenvil rivela alla servetta Annina, l’unica che ancora le sta accanto, che Violetta è in fin di vita.
La donna, sola nella sua stanza mentre fuori impazza il carnevale, rilegge una lettera che custodisce gelosamente, in cui Giorgio Germont la informava di aver rivelato la verità ad Alfredo e che il suo amato, dopo un duello con il barone, sta tornando da lei (qua il parlato della protagonista è accompagnato con un violino solista che riverbera il canto d’amore di Alfredo del primo atto, “Di quell’amor ch’è palpito”).
Ed ecco che Annina accorre portando la buona notizia: è arrivato Alfredo! L’amato entra nella stanza, abbracciandola fortemente, e le promette di portarla con sé lontano da Parigi (“Parigi, o cara”). Giunge perfino Giorgio Germont, che finalmente manifesta il suo rimorso.
Violetta chiama a sé Alfredo e gli lascia un medaglione con la propria immagine, chiedendogli di ricordarsi sempre di lei e di donarlo alla donna che sposerà. Per un momento sembra riacquistare le forze, in un impeto di vita si alza dal letto ma… subito dopo cade morta sul canapè.

E’ un prodigio musicale “La Traviata”, in cui seguiamo, mai in modo affettato e artificioso e sempre esente da qualsivoglia smanceria, lo svolgersi dei sentimenti della protagonista sino al tragico finale (“È strano! È strano… Sempre libera degg’io… Amami Alfredo… Mi chiamaste? Che bramate? Addio, del passato bei sogni ridenti… Gran Dio! Morir sì giovane”).
Nel medesimo tempo vengono tratteggiate con finezza e profondità le figure maschili, da Alfredo (“Un dì felice, eterea… Dei miei bollenti spiriti…” ai duetti con Violetta) all’orribile suo padre (“Pura siccome un angelo… Di provenza il mare e il suol”).
Sempre coerenti e di grande intensità le scene d’insieme, dal famosissimo “brindisi” del primo atto, al finale del secondo con la grande scena dell’insulto di Alfredo a Violetta, ai volutamente “popolari” siparietti delle zingarelle e dei mattadori della festa in casa di Flora.
Stupendi i preludi del primo e terzo atto, che entrano direttamente nello spirito dell’opera. Il tutto viene posto nella magnifica ricostruzione borghese del mondo ottocentesco, dalle atmosfere delle feste vacue, dei giochi d’azzardo, del perbenismo imperante.
Di grande risalto poi tutta l’atmosfera di grande melanconia che avvolge la solitudine di Violetta che pervade il terzo atto.

Carmelo Rifici, che firma la regia dell’allestimento luganese, per immergere la protagonista in un clima tra sogno e realtà si affida alle ombre di Nicoletta Garioni e Fabrizio Montecchi di Teatro Gioco Vita, compagnia che seguiamo con grande stima da oltre cinquant’anni per la sua inconfondibile arte nel teatro di figura.
Sotto la presenza costante di Giuseppe Verdi, sempre intento al pianoforte a comporre le melodie dell’opera, ci appare Violetta, di bianco vestita che, attraverso un gioco sapiente di veli e velari, viene immersa, insieme al suo contraltare bambina (lei sì, pura siccome un angelo) in un gioco di ombre che ne testimonia la vita, sempre protesa ad una felicità che le verrà negata, votata alla fine ad un sacrificio compiuto solo per amore. I personaggi, tranne il suo Alfredo, le appaiono spesso come fantasmi, simili alle ombre con cui giocava quand’era bambina.
Tutto è svolto con estrema semplicità, in una scena popolata da pochissimi elementi scenici e senza eccessivi affollamenti (tre le zingarelle, tre i toreri), in cui primeggia in modo confacente la presenza del coro della Radiotelevisione svizzera, diretto da Andrea Marchiol.

La scena è pervasa da un gusto raffinato per l’immagine, attraverso le scenografie di Guido Buganza, i costumi di Margherita Baldoni, i giochi di luce del light designer Alessandro Verazzi e le coreografie di Alessio Maria Romano.
Myrtò Papatanasiu pian piano prende possesso della parte della protagonista, dandole il giusto respiro, che culmina nella grande aria del terzo atto “Addio del passato”, risolta con maestria.
Ci è piaciuto poi sia l’Alfredo di Airam Hernández, nella sua forza gagliardia che si stempera nel finale vicino alla sua Violetta malata, sia il Giorgio Germont di Giovanni Meoni, che dà risalto al mellifluo padre borghese che alla fine si pente del suo stolto perbenismo, anche se è troppo tardi.
Markus Poschner dirige l’opera con qualche eccessiva veemenza, ma ben assecondato dall’Orchestra della Svizzera italiana. Un successo meritato, anche perché, lo ricordiamo, il Lac non ha nel melodramma la sua principale mission.

LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti
libretto di Francesco Maria Piave
tratto dal dramma La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio
musica di Giuseppe Verdi

interpreti:
Myrtò Papatanasiu, Violetta Valéry
Airam Hernández, Alfredo Germont
Giovanni Meoni, Giorgio Germont
Sofia Tumanyan, Flora Bervoix
Michela Petrino, Annina
Lorenzo Izzo, Gastone, visconte di Létorières
Davide Fersini, Il barone Douphol
Laurence Meikle, Il marchese d’Obigny
Mattia Denti, Il dottor Grenvil

maestro concertatore e direttore Markus Poschner
regia Carmelo Rifici
scene Guido Buganza
disegno luci Alessandro Verazzi
costumi Margherita Baldoni
movimenti coreografici Alessio Maria Romano
ombre Teatro Gioco Vita

Orchestra della Svizzera italiana
Coro della Radiotelevisione svizzera
maestro del coro Andrea Marchiol

Visto a Lugano, LAC, il 6 settembre 2022

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