Opening night. L’omaggio di La Veronal alla magia del teatro

La Veronal, Opening Night (photo: May Zircus &TNC)
La Veronal, Opening Night (photo: May Zircus &TNC)

A Romaeuropa il coreografo e regista spagnolo Marcos Morau per un omaggio allo spettacolo dal vivo

La qualità del movimento è centrale in “Opening night”, coreografia di Marcos Morau, messa in scena dalla sua compagnia La Veronal, sempre per Romaeuropa, stavolta all’Argentina. È una celebrazione in teatro del teatro, che riesce quasi miracolosamente a sottrarsi dall’autocelebrazione e che inizia dove in genere uno spettacolo finisce: gli applausi a una diva, forse richiamo a Myrtle Gordon del film omonimo di John Cassavetes.

Siamo dunque portati dietro le quinte, tra il ronzare degli allarmi e dei quadri elettrici, nel confondersi dei corpi vivi di artisti e tecnici con le pareti scure, con i condotti d’aria serrati da grate, con le luci di servizio al neon e le porte tagliafuoco. Un brulichio di personaggi dalla non perfettamente distinta identità si produce nel viavai che una, due, cento volte attraversa le membrane che sezionano quegli spazi: un sipario, la linea del fondo, le porte dei locali tecnici, tutto abilmente ricostruito in una scena tradizionale, agganciata alle americane, costruita su più livelli. Livelli che non tardano a prodursi in ribaltamenti e rispecchiamenti. Il palco prima dà su di noi, ed è a noi che si rivolge dalla ribalta l’attrice nel suo monologo – elegantemente ironici i testi di Carmina S. Belda, Violeta Gil, Celso Giménez, specialmente in questo primo ringraziamento a tutto tondo del teatro, dalle sue componenti spaziali a quelle umane, antropologiche, affettive: “Dove altro potrei andare in giro vestita così?” si chiede da dietro un imponente fascio di rose scarlatte la diva, plafonata in un lungo pesante abito da sera scuro, rossetto cremisi.

Ma il palco fa presto a ritrovarsi, da un certo punto, ribaltato, grazie alla prospettiva sfondata che ci rimanda l’attrice in un proscenio che dà sul fondo – la sbirciamo da una porta di servizio socchiusa – e noi siamo invece chiamati alla complicità con il retropalco, con le sue luci di chiamata, con i suoi andirivieni di personaggi che paiono un miscuglio tra formicolanti figure di anonimi tecnici e folletti partoriti dalle grasse tavole nutrite di personaggi. L’oscurità regna su questi spazi – l’oscurità buona del teatro, che non occulta, che anzi aspetta i controluce (di Bernat Jansà, nel nostro caso) per risaltare i corpi.

Ma le direzioni spaziali di questo lavoro non si limitano all’orizzontalità, anche il sottopalco vive: “Chi c’è là dentro?”, si domandano gli attori-danzatori, prima che una botola s’apra o che si rispolveri la buca del suggeritore, da cui è pronto a partire un fascio di luce. E d’altra parte, in uno dei numerosi finali che allontanano forse anche troppo la fine vera, procrastinandola in un crescendo tanto protratto da ritrovarsi sospeso, statico, comincia un’emozionante discesa di americane motorizzate, un diorama di alluminio che si sfoglia esaltando la profondità del campo sotto la luce ambrata, una danza di pachidermi.

È qui che si potrebbe riagganciare l’apertura, in cui si diceva che la qualità del movimento è centrale in “Opening Night”, per specificare che non è il solo movimento dei danzatori, costretti in quelle movenze da super-marionetta rapidissime che riconosciamo a La Veronal, a tratti impossibili. Non è nemmeno il movimento dei corpi in gruppo, ora in sistemi autoportanti, ora bisognosi invece di un qualche strumento scenico, sia esso un tappeto arrotolato, un lungo bastone, una porta che si apre e si chiude o una fitta popolazione di sedie alla “Cafè Müller”, per ritrovarsi in un sistema complesso e funzionante. Non basta nemmeno parlare del movimento degli oggetti in scena, a partire da americane e fasci luminosi e dei corpi-oggetto: un mezzacoda nero scivola con non minore agilità di una fanciulla dalla lunga gonna a imbuto, una sorta di danzatrice di Berëzka.

No, è l’intero sistema del teatro-danza di Marcos Morau che è un organismo in perenne organico movimento, in cui anche l’accuratissimo lavoro su suono e musica, su scenografia e attrezzeria perdono la loro caratteristica di “comparti” per integrarsi in modo inestricabile nel percorso scenico.

Bisogna ammetterlo, tra scene emozionanti e altre forse inessenziali – e specialmente nella torturata sequela di finali che si diceva, dove gli spazi lasciati vuoti dal movimento non sono “riempiti” dal testo ma come ripassati a china sui margini, e con un colore più profondo – qui fa capolino, tra queste fiamme di candele, sipari paludati ed enormi maschere inquietanti, la famigerata, detestabile ma innegabile “magia” del teatro, con scene, costumi e tutto.

“Come mai non si usano più le scenografie?” si domanda la solita attrice, facendo sghignazzare qualche inacidito spettatore dei bei vecchi tempi. Forse perché non è facile farlo così bene.

OPENING NIGHT
Idea, direzione artistica e design: Marcos Morau
Coreografia: Marcos Morau in collaborazione con i performer
Performer: Mònica Almirall, Valentin Goniot, Núria Navarra, Lorena Nogal, Shay Partush, Marina Rodríguez
Testo: Carmina S. Belda, Violeta Gil, Celso Giménez
Assistente alla regia: Mònica Almirall
Consulenze artistiche: Roberto Fratini
Direzione tecnica: David Pascual
Light designer: Bernat Jansà
Direttore di scena, macchinari ed effetti speciali: David Pascual
Sound design: Juan Cristóbal Saavedra
Scenografia: Max Glaenzel
Costume design: Sílvia Delagneau
Sartoria: Mª Carmen Soriano
Maschere: Juan Serrano – Gadget Efectos Especiales
Produzione e logistica: Cristina Goñi
Gestione della produzione: Juan Manuel Gil Galindo
Co-produzione: La Veronal, Teatre Nacional de Catalunya, Centro de Cultura Contemporánea Condeduque e Romaeuropa Festival
Con il supporto di: INAEM – Ministerio de Cultura y Deporte de España e ICEC – Departament de Cultura de la Generalitat de Catalunya

durata: 1h 20′
applausi del pubblico: 2′ 30”

Visto a Roma, Teatro Argentina, il 6 ottobre 2022

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