L’opera di Pedro Calderon de la Barca interpretata dagli attori della Compañía Nacional de Teatro Clásico di Madrid
La prima serata della nuova stagione del Teatro Nazionale di Genova ha consolidato uno “stile” targato Livermore. Un momento mondano che di certo non passa inosservato e accende (nel vero senso del termine) i riflettori non solo sul teatro, ma anche nel quartiere su cui insiste.
Bisogna quindi distinguere, all’interno di questo evento, due performance diverse tra loro, fisicamente collocate in altrettanti spazi differenti, seppur complementari. Da un lato l’esterno dell’edificio teatrale, il Modena di Genova Sampierdarena, dall’altro l’interno della sala con lo spettacolo d’apertura, “La vita es sueno” di Pedro Calderon de la Barca nell’adattamento di Declan Donnellan.
Per quanto riguarda la performance esterna, presentata in occasione della prima serata dello scorso 12 ottobre, le criticità del quartiere di Sampierdarena hanno lasciato spazio ad una grande festa di piazza, concentrata negli spazi antistanti il teatro, dove autorità, pubblico e abitanti si sono ritrovati in balli pop a tema latineggiante, buffet aperti, luci cangianti e un curioso red carpet con al centro una porta verde apribile, shooting corner deputato a finire sui social.
Lo scontro/incontro degli abiti eleganti di chi stava per assistere allo spettacolo con la quotidianità multietnica di un luogo così fortemente caratterizzato, è diventato un elemento imprescindibile dell’evento, probabilmente più potente di quanto andato in scena, poco dopo, sul palco.
A sipario aperto, ci siamo quindi accomodati in platea ammirando un impianto importante. In primo piano l’unico elemento scenografico è un muro verde con diverse porte chiuse, tutte di dimensioni identiche e fronte pubblico. La parete, diversamente da quanto accade di solito, non sparisce negli arlecchini ma si interrompe a pochi metri da terra rendendo volutamente visibile l’imponente sistema d’illuminotecnica sovrastante e retrostante. Le luci diventano così una intricata costellazione di cavi, lampade e sostegni. Al di sopra di essa e al centro della scena, lo schermo per la traduzione simultanea.
Positivamente sollecitati da questo allestimento iniziale, firmato da Nick Ormerod, ci apprestiamo ad assistere allo spettacolo.
L’impronta british delle prime azioni, il ritmo serrato di apertura e chiusura dei varchi, l’entrata in scena energica degli attori preannuncia un filo rosso quasi da musical. Nel recitato è invece un artificiale vaudeville a farla da padrone, rendendo ogni frammento volutamente sopra le righe, ma per chi scrive fastidioso.
Le scene si compongono e scompongono di continuo, quasi senza pause, mentre il palco rimane pressoché privo di oggetti.
I dialoghi in spagnolo vengono sintetizzati dalla traduzione sullo schermo, che risulta a volte troppo sintetica rispetto alle parole pronunciate. Compaiono a spot risate audio preconfezionate che ammiccano al trash di vecchie sitcom da tv americana anni Novanta.
Tutto poggia sulle spalle larghe degli attori, davvero abili nel garantire un ritmo serrato allo spettacolo ma, dall’altra parte, non si percepisce quel tocco registico particolare, come ci si aspetterebbe dalla firma.
L’ambiente quasi cabarettistico non riesce a mitigare i versi di Calderon, che tuttavia viene ridotto a una fiaba ben confezionata ma priva di quelle profonde riflessioni che il testo originale custodisce. Le questioni degne di approfondimento nel XVII secolo e non meno urgenti nel nostro tempo, come l’esercizio della libertà di scelta, il destino dell’essere umano fino alla differenza tra reale e non (così ben espressa nell’incontro della realtà con il sogno) restano quasi assenti. Vive, seppur rinnovato nella drammaturgia, il modo classico e ritmato di declamare i versi.
L’aspetto forse più interessante della visione di Donnellan e Ormerod risiede in alcune scelte precise, come il risalto dato a Basilio, il re padre che decide di tenere imprigionato il figlio. La regia tiene il personaggio costantemente sul palco, pronto a reagire a ciascuna delle situazioni che si sviluppano. Si crea così un funzionale polo di attrazione per gli spettatori, dei quali diventa un necessario punto fermo all’interno delle troppe azioni, anche in contemporanea, che prendono vita intorno a lui.
La figura di Segismundo ben incarna un definito carattere indeciso e titubante, ma si abbandona poi a tratti eccessivamente espansivi nel finale, evidenziando ancora una volta un tratto favolistico (seppur condito da ironia e cinismo che ben rappresentano quel bisogno di sopravvivenza che è richiesto alla sua personalità pragmatica).
Questa versione di “La vita è sogno” diventa, che piaccia o meno, qualcos’altro rispetto al titolo. La perplessità maggiore che ci lascia sta proprio nel confronto con l’originale, del quale ci sembra una semplificazione privata dei suoi eccezionali approcci filosofici.
La vita es sueno
di Pedro Calderon de la Barca
Produzione: Compañía Nacional de Teatro Clásico, Cheek by Jowl, LAZONA, Teatro Nazionale di Genova in collaborazione con Barbican (Londra) e Scène Nationale d’Albi-Tarn (Francia)
Adattamento Declan Donnellan e Nick Ormerod
Regia Declan Donnellan
Interpreti Ernesto Arias, Prince Ezeanyim, Rebeca Matellán, Manuel Moya, Alfredo Noval, Goizalde Núñez, Antonio Prieto, Ángel Ruiz, Irene Serrano
Scene e costumi Nick Ormerod
Musiche e suono Fernando Epelde
Luci Ganecha Gil
Durata: 2h circa
Applausi del pubblico: 4′ 22”
Visto a Genova, Teatro Nazionale di Genova, il 12 ottobre 2023
Prima nazionale