Identità periferiche. Lo sguardo tragicomico di Ventichiaviteatro

Lady Oscar
Lady Oscar
Alessia Berardi e Riccardo Floris in Lady Oscar
Periferia = zona o quartiere esterno, al limite di una città; ciò che si definisce rispetto ad un centro, che ne è la manifestazione più esterna.
Insomma, un luogo non inteso solamente come spazio ma anche come stato esistenziale, che trova la sua definizione solo rispetto alla definizione del suo opposto: la centralità, appunto.

Due personaggi sembrano intrappolati da loro stessi in questa “periferia”. Una gabbia senza sbarre, un non luogo dell’essere, con poche finestre sulla realtà, che mostrano uno specchio deforme dell’esistente. Uno spazio vagamente definito, ma tanto familiare. Ogni città ne ha uno, ogni paese, ogni famiglia lo ha conosciuto. Spesso in sé contiene due forze uguali e contrarie. Quella centrifuga e quella centripeda. Entrambi vortici. Entrambi senza via di scampo. Spirali che ti rapiscono come quelle di fumo che circondano i due personaggi dello spettacolo “Ladyoscar” della compagnia Ventichiaviteatro, presentato venerdì scorso al Teatro Palladium di Roma nell’ultima serata di Teatri di Vetro 6.

Ventichiaviteatro è una compagnia romana che si occupa di eventi e produzione audiovisiva. Nell’ambito strettamente teatrale è stata finalista al Premio Tuttoteatro.com Dante Cappelletti 2006 con lo spettacolo “Annuska”, e con “Soprailcielodisanbasilio” del Premio Scenario Infanzia dello stesso anno.
Lo spettacolo “Ladyoscar” debutta invece in questa edizione di Teatri di Vetro.

In scena due attori. Un ragazzo e una ragazza, senza un’identità precisa, “Coso” e “Cosa” ostaggi l’uno dell’altra, rapiti dal vortice centripeto delle loro vite, tossicodipendenti di cocaina, schiavi del particolare amore che li lega. “Alla salute amò/ alla salute amò/ a chi ce vole bene/ e a chi ce vole male/ma soprattutto alla nostra!”, i due personaggi alzano così il “calice” che, con la sua stessa fiamma, accende il meccanismo, attiva il mulinello che li risucchia in fondo.  
Sognano ad occhi aperti: lei desidera la fuga, crede di conoscere l’alternativa o, meglio, la vede in ogni aereo che passa sopra la loro testa, che tuona nei loro petti ad ogni passaggio, ha un’idea, “un progetto”, dice.

Lui è concreto, calmo, lento, non è attratto da ciò che li aspetta “fuori” perché disilluso da un passato deludente, vede quello che ha, non vuole sentire altro da quello: “Nu me fa sentì lontano, amò. Nu me fa sentì solo, amò. Nu me fa sentì niente, amò. Nu me fa sentì niente, amò!”, tuona la canzone su ritmi techno.
Lei in alcuni momenti esprime un desiderio, una volontà, come quella di partire, ma gira su se stessa e il risultato è la staticità. Lui, seduto mentre “acchitta”, prepara la striscia di coca, non desidera più. E’ un giovane che sembra guardare solo dietro le sue spalle, come i vecchi. Che vede inutili le lotte contro un sistema che lo vuole pigro, disoccupato, incapace e ignorante, sempre scavalcato da “i figli di”, e per questo non più interessato alla realtà.

“Coso” è Riccardo Floris. “Cosa” è Alessia Berardi. Due attori dalle grandi qualità. Che lottano con corpo e voce in un’alternanza ritmica di parole e lunghi monologhi, suoni e urla, dialoghi serratissimi e silenzi. Sostengono l’ora di spettacolo tra sfoghi di rabbia e lampi comico-surreali, senza uscire mai dal proprio personaggio, senza perdere l’attenzione, ascoltando i sussulti e le reazioni del pubblico, sentendo intimamente il proprio partner in ogni istante e utilizzando tutto questo per mantenere il ritmo.  

Lo spettacolo, frutto di un lungo lavoro di drammaturgia, improvvisazioni, ricerche e interviste attraverso la collaborazione di Asl e associazioni, porta la firma di Ferdinando Vaselli. Il regista riesce a coniugare perfettamente l’iperrealismo dei personaggi con la poesia e la metafora; il dialetto si sposa con la performance fisica e l’essenzialità delle scenografie; e la musica di Chopin ben si affianca a quella elettronica originale di Sebastiano Forte.

Il pubblico dimostra in più momenti la sua presenza partecipante con risate e applausi a scena aperta, ma anche con lunghi silenzi nei momenti in cui il lato tragico e violento della narrazione si mostra in tutta la sua forza. Ogni riferimento (intimo, a grandi marche di multinazionali, alla religione cattolica, alla televisione, ai modi di dire), ogni parola o nome della nostra quotidianità colpisce e affonda nella mente dello spettatore.  
Unanime la reazione: un lungo applauso finale.

Ladyoscar
regia: Ferdinando Vaselli
con Alessia Berardi e Riccardo Floris
drammaturgia: Ferdinando Vaselli
musiche: Sebastiano Forte
durata: 60′
applausi del pubblico: 4′

Visto a Roma, Teatro Palladium, il 25 maggio 2012

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