Cosa poteva significare per la borghesia di fine Ottocento vedersi ridicolizzata sulla scena ed esposta al ludribio? E come riprodurre il senso caustico di una commedia come “L’albergo del libero scambio” di Georges Feydeau nei teatri d’oggi?
Sono le domande che si pongono Marco Lorenzi e Davide Carnevali nel riadattare il classico francese per la prima nazionale della produzione del Teatro Stabile di Torino andata in scena dal 1° al 20 dicembre al Teatro Gobetti.
Se Feydeau agiva sul contemporaneo eleggendo a scandalo l’ipocrisia sociale del tempo, oggi la messa in scena dei suoi testi non può, per fedeltà alle premesse ontologiche della sua scrittura, distanziarsi da quell’intenzione. Neppure oggi quindi “L’albergo del libero scambio” dovrebbe agire con effetto “tranquillizzante, narcotizzante”, come spiega Lorenzi, sulle coscienze del pubblico.
La riscrittura di Davide Carnevali riesuma allora in modo accattivante il ‘sense of humour’ con cui la satira anti-borghese dovrebbe esprimersi nell’ Italia del 2015, lontana dai vaudeville della Bélle Epoque.
Tenendo a mente la tesi pasoliniana della scomparsa delle classi sociali per l’avvenire di un’unica grande borghesia, il bersaglio eletto nel testo qui rivisitato è una delle tante espressioni dell’agiatezza incosciente dello sperpero contemporaneo: la borghesia di Lorenzi è quella delle speculazioni immobiliari, degli architetti asserviti alle edificazioni di inutili loft di lusso, assuefatta dai propri imperativi estetizzanti tanto da voler “vivere come la generazione di sessant’anni fa, ma con tutti i comfort di oggi”. Il “new rustic”, gli “hipsterismi”, il minimalismo new age, lo sfoggio illogico d’impeccabile eleganza in ogni occasione: il linguaggio sposa i neologismi, le parole d’uso comune, le espressioni gergali.
Le vicende in tre atti, che narrano del tradimento del signor Pinglet con la signora Paillardin, moglie sessualmente insoddisfatta del suo socio in affari, e della relazione tra la domestica dei signori Pinglet con il nipote del signor Paillardin, vicende consumatasi con spirito galeotto tra le stanze bizzarre de L’Albergo del Libero Scambio, si svolgono all’interno di una scenografia immobile, un salotto moderno dalla bianchezza eterea in perfetto stile design che farà da sfondo a tutto lo spettacolo. Un’immobilità che richiama, d’altronde, l’intoccabilità di uno status quo da mantenere a tutti i costi integro, anche agendo nell’inganno e nella menzogna.
Analogamente prigionieri di un salotto borghese sono i protagonisti de “L’Angelo Sterminatore” di Luis Buñuel, impossibilitati ad uscire da una porta aperta se non ripristinando l’ordine frantumato durante la cena, ovvero risedendosi tutti nello stesso identico posto attorno al tavolo.
Che il salotto dei Pinglet sia proprio la stanza buñueliana all’interno della quale tutto deve accadere e nulla può fuoriuscire, condizione ambientale essenziale alla preservazione sociale di sé stessi?
Può esistere un Albergo del Libero Scambio in un mondo che si nega alla trasgressione, alla verità, all’onestà delle proprie passioni o è piuttosto la chimera di una libertà ormai castrata?
Abilmente esposti nel loro pallore morale da vivisezionanti luci bianche, i personaggi, costruiti a specchio di un moderno persino troppo quotidiano, si muovono su musiche elettroniche curate da Elio D’Alessandro senza affatto scomporsi, neppure sul finale, quando di fronte ad un salotto distrutto e vandalizzato dall’incursione della polizia, istituzione santificata e temuta cui delegare la riabilitante individuazione del colpevole degli intrighi amorosi, scoppiano in una fragorosa risata.
Una risata incosciente e meschina. Tutto è accaduto, ma nulla è accaduto: il tradimento è ancora nascosto in un oblio omertoso.
Che poi il messaggio di provocazione possa davvero scendere dal palcoscenico e diffondersi tra le file di un pubblico, quello dei Teatri Stabili sicuramente borghese, è cosa dubbia.
Ormai anestetizzati dall’etica neoliberista che santifica la funzione del consumatore al mantenimento dell’ordine cosmico, la “borghesia” (quale delle tante?) di oggi avrebbe bisogno di ben altre provocazioni. Lo penserebbe anche Feydeau, pur non esimendosi dall’applaudire divertito all’esperimento di Lorenzi e Carnevali.
L’albergo del libero scambio
di Georges Feydeau
traduzione e adattamento Davide Carnevali
con Elio D’Alessandro, Christian Di Filippo, Federico Manfredi, Barbara Mazzi, Silvia Giulia Mendola, Alba Maria Porto, Alessandro Bruni Ocaña, Beatrice Vecchione
regia Marco Lorenzi
scene Nicolas Bovey
costumi Erika Carretta
luci Francesco Dell’Elba
musiche originali Elio D’Alessandro
regista assitente Yuri D’Agostino
produzione: Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
durata: 1h 30′
applausi del pubblico: 3′ 30”
Visto a Torino, Teatro Gobetti, il 19 dicembre 2015
Prima nazionale