Dalla Persia alla Spagna, la primavera di danza di Interplay 18

Kokoro di Lali Ayguadé|Prelude di Sina Saberi (photo: © George Stylianou)
Kokoro di Lali Ayguadé|Prelude di Sina Saberi (photo: © George Stylianou)

Il festival torinese Interplay organizzato da Mosaico Danza da sempre invita alla condivisione della danza contemporanea sia in spazi più convenzionali che in location all’aperto e più informali. E’ così anche per i quattro spettacoli proposti nella serata del 29 maggio, presentati alla Lavanderia a Vapore di Collegno: due in esterno, due in interno. I primi, infatti, sono stati pensati appositamente per un ambiente aperto, nel quale il pubblico possa disporsi circolarmente intorno agli artisti; i secondi esigono uno spazio teatrale tradizionale, poiché luci, musiche e scenografie sono indispensabili, a livello drammaturgico, per lo svolgersi delle azioni.

Ad aprire le danze è un lavoro francese del Collectif A/R, in residenza all’interno del progetto Sharing&Moving/International Residencies. Due batteristi e due danzatori agiscono su una base musicale preregistrata, ricercando una fusione perfetta tra passi di danza e musica dal vivo. Che lo spettacolo sia stato pensato per la strada lo si può facilmente intuire fin dal titolo, “L’homme de la rue”, e dal fatto che i quattro perfomer, verso la fine, si incarichino di prendere per mano un buon numero di spettatori, portarli in scena e, facendoli girare in tondo, lasciarli ambiguamente interdetti su cosa dover fare.
Sicuramente tra le strade francesi il collettivo è abituato ad incontrare un pubblico diverso rispetto a quello di un festival di danza contemporanea, meno esigente e forse più predisposto al gioco.

Analogo finale nel lavoro di Lucio Baglivo. Un trio acrobatico di due uomini (lo stesso Baglivo e Maximiliano Sanford) e una donna (Candelaria Antelo) andranno a prendere gli spettatori uno ad uno portandoli in scena a ballare. Trascurando la forzatura del finale, lo spettacolo è semplice, senza pretese, e scorre liscio per un quarto d’ora. Evoluzioni folli, prese vigorose, lanci pericolosi, passaggi di contact e finte cadute sono l’ingrediente principale di questo trio argentino/spagnolo, più circense che tersicoreo, e che, di nuovo, potrebbe funzionare molto bene (forse meglio) nel mezzo di una strada affollata.
I tre si parlano, gridano, scherzano, si intrattengono con il pubblico, attraverso una drammaturgia debole, su una falsariga cabarettistica.
Paradossalmente avevamo apprezzato di più questo “Solo Juntos” l’anno scorso, ad Interplay/17, quando Baglivo, lasciato all’improvviso solo dai suoi due compagni infortunati, si trovò a realizzare lo spettacolo in solitaria, nel foyer della stessa Lavanderia a Vapore. Ne emerse un solo intimista, sensuale, toccante e, nonostante l’imprevisto, estremamente virtuoso.

Un lavoro eccellente, ben scritto ed interpretato, è il terzo pezzo, “KoKoro”, un quartetto della coreografa spagnola Lali Ayguadé, che torna a Interplay dopo un suo fortunato duetto presentato ai Blitz nel 2015.
Qui alla sua prima sfida con una coreografia dalla lunga durata (un’ora circa), la Ayguadé lavora sulla tematica amorosa, come suggerisce il titolo, che in giapponese significa ‘cuore’, con una varietà di sfumature lessicali che comprendono al suo interno anche l’idea di identità e psicologia. Fra i vari momenti dello spettacolo riconosciamo chiaramente dai richiami alla religione (una chiesa nella quale i quattro personaggi non riescono a comunicare), alla manipolazione (quando tre danzatori muovono, strattonandolo, il quarto che nel frattempo esegue disperatamente un monologo), ai traumi psicologici (il personaggio femminile che, dopo vari maltrattamenti, regredisce al livello di primato), e ancora all’amore di coppia, al solipsismo drammatico, alla violenza sulle donne.

Lo spettacolo è un concentrato potentissimo di alta preparazione tecnica, atletica e attoriale: uno spettacolo di danza nel senso più ampio e convincente del termine. I quattro danzatori svettano per bravura, e riempiono di senso anche i momenti meno spettacolari attraverso un abile dosaggio dell’intensità della loro presenza. Nick Coutsier è un danzatore delicato, custode di una gran sensibilità, sinuoso, espressivo e teatrale. Sergi Parés, acrobata robusto ed atletico, formatosi nel circo, è portatore di una motricità forte e vigorosa. Anna Calsina Forrelad vanta una formazione teatrale, e presenta in “KoKoro” una trasformazione corporea che lascia di stucco. Molto valido infine, come ci si poteva aspettare dalla sua crescente fama, Diego Sinniger De Salas, danzatore preveniente dall’hip-hop, capace di un controllo del corpo impeccabile, a tratti inquietante nella sua precisione. Ogni parte del suo apparato fisico sa dislocarsi cinesteticamente dalle altre, come vuole l’estetica tipicamente contemporanea e “dinoccolata” (diremmo da inesperti) con la quale lavora la compagnia di Lali Ayguadé, coreografa formatasi al PARTS di Anne Teresa De Keersmaeker.
“KoKoro”, in definitiva, è uno spettacolo che funzionerebbe molto bene a prescindere dal suo contenuto testuale, ma che regge, senza annoiare, proprio grazie a una scrittura drammaturgica forte, eterogenea e chiara.

Prelude di Sina Saberi (photo: © George Stylianou)
Prelude di Sina Saberi (photo: © George Stylianou)

A chiudere la serata è un solo del 2016 intitolato “Prelude”, un lavoro intimista e silenzioso del danzatore iraniano Sina Saberi.
L’autore ha studiato approfonditamente le ipnotiche danze persiane diffuse in Iran da più di quarant’anni. E la performance è incentrata su suoni, gesti e suggestioni di tradizione iraniana che Saberi vuole trasportare nel contesto attuale. A uno sguardo esterno emerge però una qualità del movimento occidentale, giocato sui gemiti del danzatore e sul buio che di tanto in tanto abita la scena.

L’artista, all’interno di una ricerca che intende rivolgersi anche alla scoperta della propria identità, “cerca di ricongiungere un passato invisibile a un presente frammentato”; eppure questa “ispirazione ai rituali di Zarathustra” sembra rivelarsi un colpo sparato nel vuoto poiché, se davvero qualcosa di folclorico e autenticamente spirituale esiste in questo solo, a un pubblico di torinesi avulsi dalla cultura persiana sembra non arrivare, se non nella forma di un esotismo curioso, che spinge ad applaudire senza sapere bene il perché. Una realtà culturale, quella di Zarathustra, che saremmo felici di poter conoscere meglio, forse con l’ausilio di una drammaturgia più chiara, o di una lezione frontale, che la danza, in quanto linguaggio tutt’altro che universale, da sola in questo caso non riesce a compiere.
Parafrasando Nanni Moretti, la drammaturgia è importante, particolarmente in un prodotto che, provenendo dal rito, non vuole essere solo rito, ma anche uno spettacolo teatrale.

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