Vien subito da dire: ecco quando la (buona) politica può fare la differenza!
E’ il caso delle Giornate di danza contemporanea svizzera, Swiss Contemporary Dance Days, piattaforma organizzata ogni due anni, e quest’anno allestita a Zurigo dal 19 al 22 febbraio per presentare il meglio della danza elvetica a direttori di teatri e organizzatori di festival di tutta Europa. Quale modo migliore per fare conoscere le compagnie nazionali oltreconfine? E difatti a Zurigo, per la decima edizione, erano tantissimi gli addetti ai lavori invitati per vedere le ultime creazioni delle compagnie, soprattutto di quelle della Svizzera romanda e tedesca, con un grande assente: il Ticino.
Se in Italia il progetto della NID Platform (la terza edizione sarà a Brescia dall’8 all’11 ottobre) e circuiti affini sono nati proprio per dare una mano alla visibilità e alla circolazione delle compagnie di danza italiane, ci sembra che, nonostante tutto, tanto ancora resti da fare visto che il refrain di questi giorni svizzeri è stato più o meno sempre lo stesso: “In Italia non ci sono vetrine adeguate”.
A Zurigo mi sono così trovata a parlare con operatori stranieri che, sebbene manifestassero ufficialmente interesse per la danza italiana, in realtà non ne conoscevano artisti e produzioni e, cosa ancor più grave, pareva che in fondo non fossero poi troppo impegnati a fare quel po’ di fatica in più per scoprire progetti non solo italiani, ma anche di realtà come Spagna e Grecia.
Che le difficoltà economiche, la crisi e quel sentore che ci vede ‘arretrati’ in tanti campi, influenzi anche l’interesse esterno per i nostri aspetti cultural-artistici più contemporanei?
Ecco allora come tanti operatori sembrino accontentarsi di proposte “limitrofe”, che però possono avere un difetto: parlare la stessa lingua e andare nella stessa direzione.
Progetti europei a sostegno di un’equa circolazione culturale delle compagnie si dimostrano quindi oggi ancora urgenti per colmare le lacune: va da sé che Paesi (come la Svizzera) che hanno risorse economiche da investire a sostegno delle proprie compagnie di danza, con questa politica assicurino loro, quasi certamente, tournée e presenze in giro per l’Europa, ma Paesi con più difficoltà e meno attenti producano meno possibilità per artisti e coreografi, che devono “accontentarsi” delle rispettive scene nazionale, se va bene…
Certo, è anche vero che non sempre i soldi e una buona politica culturale bastano per confezionare un bel prodotto. Difatti queste giornate di danza svizzere si sono dimostrate a tratti deludenti: delle 14 proposte scelte, diverse performance non sono sembrate rappresentative né di un’idea di danza né di un linguaggio artistico riconducibile alla storia del cantone di appartenenza, a tratti più facilmente identificabili come performance incompiute, magari riprese solo per le Giornate; e in cui spesso la danza ha avuto un ruolo marginale o del tutto assente.
Tuttavia ci sono state anche proposte che si sono ritagliate a pieno titolo consensi e applausi, e che sembrano seguire un cammino di rinnovamento della danza, all’insegna della ricerca e della scoperta, il che, per un Paese piccolo come la Svizzera, di per sé è già un ottimo risultato.
Se poi a questo si aggiunge il proliferare di compagnie (la sola Svizzera romanda, tra Losanna e Ginevra, ne annovera moltissime), che sul territorio lavorano con una vivacità e una diversificazione di proposte inimmaginabile, si spiega ancor meglio il risultato ottenuto dal lavoro di coordinamento e sostegno portato avanti in questi anni.
Di quest’edizione spicca la scelta quasi comune di ridurre al minimo scenografie e fronzoli, giocando molto sul filo dell’ironia, mentre gli artisti, spesso nudi in scena, si espongono in tutta la loro fragilità, in una ricerca di ascolto, forse davvero segno dei tempi.
Di Zurigo, oltre alla fonduta e ai cetriolini della cena del venerdì, ricordiamo in particolare l’atmosfera conviviale del Gessnerallee e la fantastica struttura del Rote Fabrik, ma anche alcune performance: è il caso di “Eifo Efi”, della compagnia ginevrina Mamaza (il prossimo autunno ospiti al Romaeuropa Festival) che, con una performance incalzante, ironica e mai scontata, ha investito il pubblico con raffiche di parole e un equilibrismo corporeo per nulla semplice affidato ai due artisti in scena, Ioannis Mandafounis e Fabrice Mazliah. Un gioco, il loro, che dall’inizio alla fine ha mostrato un’intesa perfetta oltre che una notevole capacità di concetrazione, per far sì che corpo e mente si muovessero davvero in sincronia e acrobazia.
“Antes” è invece uno spettacolo creato in occasione del ventesimo anniversario della compagnia Alias di Guilherme Botelho. Con “Antes” l’artista brasiliano, da tempo residente a Ginevra, ha voluto raccontare la condizione dell’umanità prima del divenire esseri sociali.
Così, attraverso il corpo – è davvero il caso di dirlo – di dodici danzatori, per un’ora in scena nudi, Botelho ha diretto un lavoro che, per sincronia di spasmi, respirazione e movimento, a tratti ha dell’incredibile.
Ogni corpo intraprende, prima individualmente poi assieme all’altro, un cammino di conoscenza, ascoltando e assecondando ogni piccola parte di sé. I corpi così fragilizzati, nudi, inermi anticipano quello che sarà il destino collettivo di uomini e donne: la sofferenza, la malattia, la solitudine.
In un crescendo di situazioni e scoperte, i dodici interpreti, in una performance difficilissima da danzare sino alla fine con la stessa intensità, raccontano attraverso il corpo una moltitudine di sensazioni.
Tra gli altri spettacoli più interessanti di questa vetrina, citiamo anche quello di Phillipe Saire, coreografo e direttore del Théâtre Sévelin 36 di Losanna (che dal 4 al 22 marzo sarà sede del festival di danza contemporanea Les printemps de Sévelin): il coreografo ha presentato una performance che aveva debuttato nel 2012 all’Opéra di Losanna, “La nuit transfigurée”, pièce costruita attorno al tema della confessione e del perdono, dell’ombra e della luce.
Yasmine Hugonnet ha invece proposto al pubblico “Le récital des postures”, un dialogo a tre fra linguaggio coreografico, interprete e spettatore, in cui la drammaturgia è costruita in questo spazio di risonanza, con il corpo visto e sentito come oggetto.
Citiamo anche Alexandra Bachzetsis e il suo “From A to B via C”, una performance-installazione con tre danzatori centrata sulla relazione tra linguaggio e trasposizione, dove il linguaggio è concepito come qualcosa di fisico e corporeo.
Infine la coreografa Nicole Seiler, che ha presentato al pubblico “Shiver”, performance in cui si interroga sulla nozione di realtà. Prendendo a prestito i codici del cinema noir e dell’orrore, la coreografa utilizza una tecnica per proiettare sul corpo un doppio animato, creando un ambiente ricco di suspense. La scena diviene così, anche se per gioco, il riflesso delle nostre angoscie più profonde.
L’appuntamento con Swiss Contemporary Dance Days è ora per il 2017, nuova occasione per tastare cambiamenti, evoluzioni e anche l’interesse – in campo neutro – degli operatori stranieri verso la nostra danza contemporanea.