Sadaf Baghbani protagonista della propria storia, dall’Iran all’Italia
Se il teatro smette di essere rappresentazione dell’altro e diventa presentazione di sé e narrazione della propria storia, è ancora teatro? Se l’impatto della realtà si impone sulla finzione, è ancora teatro? Se a fine spettacolo, il pubblico, frastornato, applaude per sei lunghi minuti e si alza in piedi per abbracciare virtualmente il coraggio di una donna, esprimere la propria solidarietà e unirsi a una protesta e a una lotta attualmente in corso, è ancora teatro?
Lo è, nella misura in cui assume rilievo non solo quanto accaduto (la storia narrata), ma quanto accade in sala, hic et nunc.
In “Le mie tre sorelle” di Ashkan Khatibi per settantacinque minuti si viene trasportati in Iran, dove essere donna significa vivere sottomesse a una legge che impone di indossare l’hijab e infrangere quest’obbligo comporta l’esposizione ad abusi e maltrattamenti da parte di chiunque, l’arresto da parte della polizia morale e persino la morte, come è accaduto a Masha Amini nel settembre 2022 e a Hadis Najafi solo due mesi dopo.
È teatro perché, a narrare la propria storia, è una giovane attrice, Sadaf Baghbani, dalla voce morbida e sorprendentemente gentile, nonostante i 147 pallini di piombo che le girano in corpo con il rischio di intaccare gli organi vitali.
Appassionata di teatro, frequenta in Iran una scuola di recitazione e non può non pensare a Checov se ripercorre il rapporto che la lega alle sue due sorelle minori (interpretate qui da Nazanin Aban e Saba Poori), più insofferenti, impulsive e combattive di lei. È la loro rabbia e determinazione ad avere la meglio sulla sua inclinazione protettiva, fino al punto di prendere la decisione di unirsi alla cerimonia dei quaranta giorni dalla morte di Hadis Najafi a Karaj, a quaranta chilometri da Teheran, sfociata poi in una violenta repressione da parte della polizia morale, di cui porta ora le tracce nel corpo.
In un Paese dove alle donne è vietato persino cantare, le due sorelle minori urlano la loro ribellione al ritmo incalzante della musica rap. Trascinante il momento in cui a quel canto-grido si unisce infine anche Sadaf. Fanno da contrappunto melanconici canti e nenie su musiche tradizionali persiane, tramite la voce di una quarta attrice (Sahba Khalili Amiri), a cui è affidato l’incipit dello spettacolo e che successivamente attraversa lo spazio scenico, come una confortante ma lontana figura materna.
Tossicodipendenti, i genitori di Sadaf si dimostrano fin da subito inadeguati a prendersi cura delle bambine, nonostante il grande amore che li unisce, e questo contribuisce, insieme alla povertà, ad esporle a rischi continui, alle maldicenze, ad assumere precocemente responsabilità troppo grandi, ma anche a cementificare il rapporto tra le sorelle.
Convincente e particolarmente toccante la scena in cui le ragazze, disposte su tre letti verticali, coperte da un unico lenzuolo, ripropongono una di quelle conversazioni che ci si scambia prima di addormentarsi quando si condivide la camera. Una si lamenta che ha fame, l’altra è divorata dalla rabbia e non pensa che a unirsi a nuove forme di protesta, Sadaf comunica di essere stata appena licenziata, perché non indossava il velo. Eppure, nel dramma che le accomuna, trovano la forza di ridere, di scherzare, di prendersi in giro, ma anche di riflettere su come agire e cercare soluzioni.
Dopo essersene andato per disintossicarsi, il padre ritorna, questa volta “pulito”, ed è lui, insieme alle due sorelle, a convincere Sadaf a venire in Italia, per farsi curare e continuare a coltivare la sua passione. Ed eccola qui, Sadaf, a raccontare la sua storia.
Lo spettacolo è in lingua italiana e persiana (con sovratitoli), ma non si avverte alcuna fatica. Il palco è sostanzialmente spoglio, se si esclude la sola scena dei tre letti in verticale; coni luce illuminano di volta in volta i personaggi evocati nel corso del racconto. Costumi quotidiani, nessun orpello. Non se ne sente il bisogno.
Quando il teatro smette di essere finzione e diventa denuncia e richiamo alla responsabilità politica, allora si fa necessario.
“Le mie tre sorelle”, in scena al Teatro Astra di Torino, è uno schiaffo all’indifferenza.
LE MIE TRE SORELLE
drammaturgia e regia Ashkan Khatibi
con Sadaf Baghbani, Nazanin Aban, Saba Poori, Sahba Khalili Amiri
costumi Delshad Marsous
assistenti di scena Alma, Ava, Negar, S.A
assistente alla regia Pari Naz Ghasedi, Kimia Rahmani
traduttrice Parisa Nazari
coordinatrice del progetto Negar Mokarram
produzione gruppo artistico Charpayeh (Scagnell)
Durata: 1h 15’
Applausi del pubblico: 6’
Visto a Torino, Teatro Astra, il 19 febbraio 2025