La leggenda del Basilisco e un Lupo in sciopero al festival Segnali

Sciopero! Ovvero Quella Volta Che Il Lupo Smise Di Lavorare (ph: Salvatore Scaduto)
Sciopero! Ovvero Quella Volta Che Il Lupo Smise Di Lavorare (ph: Salvatore Scaduto)

Emanuela Dall’Aglio e Riccardo Colombini firmano due degli spettacoli più interessanti presentati durante la rassegna milanese di teatro per l’infanzia

Il festival teatrale milanese “Segnali”, dedicato al teatro per l’infanzia, si è tenuto a Milano dal 7 al 10 maggio, organizzato dal Teatro del Buratto ed Elsinor, sotto la direzione di Renata Coluccini e Giuditta Mingucci. Con i suoi 25 spettacoli, si è rivelato come sempre un palcoscenico idoneo per osservare da vicino le direzioni verso cui si sta dirigendo questo fondamentale comparto della scena italiana, per approfondirne le tematiche, i linguaggi e gli stili.

Il nostro sguardo, tra le davvero numerose creazioni degne di nota, si è soffermato in particolare su due ottimi spettacoli che, in modi diversissimi tra loro, hanno indagato, metaforicamente, la presenza del male nel mondo, e come la sua ammissione, connaturata con la dimensione della paura, sia fondamentale per la crescita dell’essere umano.

Parliamo di “Sciopero! Ovvero Quella Volta Che Il Lupo Smise Di Lavorare”, della compagnia lombarda Schedía Teatro, narrato e interpretato da Riccardo Colombini che cura anche la regia con Sara Cicenia, e “Ti Vedo. La Leggenda Del Basilisco” di Teatro del Buratto e CSS Teatro Stabile di Innovazione del FVG, creato con il teatro di figura da Emanuela Dall’Aglio, egregiamente coadiuvata in scena da Riccardo Paltenghi.

Siamo davanti a due modi diversissimi di porsi in scena, esempi originali delle varie forme con cui il teatro viene proposto al pubblico più giovane.
Colombini si palesa, da solo, con sicura presenza, nella semplice e curatissima scena pensata da Marco Muzzolon, sulle confacenti musiche di Marco Pagani, sostenendo nel racconto i diversi personaggi, e consegnando loro caratterizzazioni spesso intrise di ironia e sempre puntuali, attraverso le quali si dipana la storia.
Al centro del racconto vi è l’iconica presenza del lupo “cattivo” che, stanco di essere vessato, impallinato, mangiato, insomma di non essere mai in sintonia con il mondo, come è invece accaduto per la maggior parte degli altri personaggi delle fiabe, si rinchiude in casa, mettendosi in sciopero e facendo la bella vita.
Alla notizia, che corre di bocca in bocca tra i vari personaggi che popolano le fiabe, il Re che le governa, aiutato dal suo valente Ciambellano, proclama grandi festeggiamenti in tutto il regno, accorgendosi presto però che, in questo modo, molti dei racconti amati dai bambini risultano ora “sbalestrati”, senza alcun mordente.
Del resto come si può narrare “Cappuccetto rosso”, “I tre porcellini”, “Il lupo e i 7 capretti” senza di lui? La nostra vita, poi, che il teatro è così capace di riflettere, è sempre felice o forse la paura del male spesso l’attraversa?
Molte, troppe volte, il teatro ragazzi si è intrufolato nel mondo delle fiabe restituendole in modo superficiale e consolatorio, in un gioco – certo divertente – che le combina tra loro, ma fine a sé stesso.
Ci si accorge subito, invece, che qui il senso del tutto si spinge in nuove ed interessanti direzioni, innervate anche da un’ironia mai banale ma colma di benefici paradossi, in cui ogni parola rimanda a nuovi significati.
Torniamo alla storia: il nostro Re, aiutato sempre dal solerte Ciambellano, cerca con ogni escamotage di risolvere la questione, mandando in avanscoperta diversi personaggi: il Principe Azzurro, la Buona Fata e il cattivissimo Barbablù, che finiscono tutti e tre nelle fauci del lupo, infastidito da tanto interesse, ora che può starsene tranquillo in panciolle.
La successiva mandata per compiere l’impresa è Cappuccetto Rosso, la quale gli ricorda tutte le avventure passate insieme, e gli invia una affettuosissima lettera che così termina: “Lupo, mi manchi… ci manchi, anche la nonna me l’ha detto! Ti prego, torna da noi! Torna da me! Firmato, la tua “tenera” Cappuccetto Rosso che ti vuole tanto bene”.
Chiunque a tali parole si commuoverebbe, ma non quel vecchio volpone del lupo che, pur tentennando un attimo, non desiste dal suo proposito. Il Re allora tenta un’ulteriore carta, mandando il Ciambellano a persuaderlo a tornare, ma l’uomo si mostra goffo, inadeguato, utilizzando anche modi apparentemente perfidi, che si dimostrano, alla fine, davvero inconcludenti.
Così, alla fine, sarà un esercito di bambini (che ne capiscono, “loro malgrado”, più degli adulti) a convincere il lupo a ritornare, ma certo non vi diremo come…

“Ti vedo, la leggenda del Basilisco” di Emanuela Dall’Aglio, già Premio Ubu come costumista, è invece un piccolo capolavoro di teatro di figura, creato in simil modo, come la straordinaria trilogia dedicata alle fiabe che lo ha preceduto (Cappuccetto Rosso, Hansel e Grethel, Gianni e il gigante) su una grandissima gonna da cui escono mirabolanti invenzioni.
E’ da questa grande gonna che si fa presente una strega. Prima, Emanuela, sotto forma della ricercatrice di reperti fiabeschi Galina Cicova, ci aveva illuminato su come il Basilisco possa nascere da un uovo deposto da un gallo e non da una gallina, e covato da un rospo per nove anni in un nido di peli di lupo. E pure ci aveva messo in guardia sul potere del mostro che pietrificava ogni essere umano che lo avesse guardato negli occhi: per far questo, con orrore Galina ci aveva mostrato il cane del suo assistente, Pallino, pietrificato. Per la verità sa anche che esiste un antidoto contro queste trasformazioni, ma la pagina su cui era scritto malauguratamente è stata trafugata. Allora decide di cercarla, ma stanca si appisola e si risveglia dopo nove anni, mentre il rospo, proprio lui, sta covando l’uovo.
Per paura di fare la fine del povero Pallino, la strega fugge in gran fretta. Così nasce un piccolo (per il momento) mostro, con una cresta rossa come quella di un gallo, un piccolo becco azzurro e delle ali.
Poco dopo, la stessa gonna si apre su un paese multicolore che magicamente prende vita con tutti i suoi abitanti. È qui, nel pozzo di questo paese, che il Basilico ha deciso di nascondersi, mentre sta diventando grande e, come la sua natura comanda, pietrificando i malcapitati che lo guardano negli occhi. Per combatterlo si sta già muovendo un esercito di adulti, quando un bambino, Siro, curiosissimo, esce da casa, contravvenendo ai consigli di sua madre, e instaurando in poco tempo un tenerissimo e condiviso rapporto con la creatura. Solo quando anche il bambino verrà inevitabilmente pietrificato, e il nostro “tenero” Basilisco, a tale vista, verserà un fiume zampillante di lacrime, si scoprirà che il fiore che nasce dalle sue lacrime non è altro che l’antidoto che tutti cercavano da tempo. In questo modo tutti potranno tornare di carne ed ossa e ovviamente anche il nostro piccolo Siro. Ciò avverrà attraverso un patto tra il Basilisco e la strega, che alla fine utilizzerà il nostro come suo particolare scendiletto.
Il linguaggio particolarissimo del teatro di figura, nello spettacolo, attraverso anche le scene, i paesaggi sonori e le luci di Mirto Baliani, ha la capacità di trasfigurarsi sotto mille forme per raccontare una storia così complessa. La grande gonna ora diventa il viso di una donna vecchia e petulante che tenta di governare galli e rospi, ora un paese arroccato su una montagna con tutti i suoi abitanti, ora, sopra di lei, il presunto mostro che riesce a volteggiare nel cielo infinito.
Come nello spettacolo precedente, anche qui sarà l’infanzia a darci le ragioni del male e a risolvere la vicenda.

Ambedue gli spettacoli, intrisi di corroborante ironia seppur in modo diverso, spingono il pubblico di riferimento a considerare la paura come un male necessario per crescere in modo consapevole ed attrezzato, per attutire il male, quello reale che popola il mondo, e nel contempo invita a riflettere su come il male non lo si sconfigge attraverso le violenza, ma con la possibilità di comprenderne le ragioni e, a volte, affrontandolo con la necessaria dolcezza.

Ti vedo. La leggenda del Basilisco
un progetto di Emanuela Dall’Aglio
regia Emanuela Dall’Aglio
interpreti Emanuela Dall’Aglio, Riccardo Paltenghi
scene/luci paesaggi sonori e luci Mirto Baliani
costruzioni Emanuela Dall’Aglio, Michele Columna, Riccardo Paltenghi, Caterina Berta
assistente alla regia Beatrice Masala
produzione
una coproduzione Teatro del Buratto; CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia

Sciopero! Ovvero quella volta che il Lupo smise di lavorare
di e con Riccardo Colombini
da una scintilla di Donatella Diamanti
scene Marco Muzzolon
sarta Ornella Chiodini
musiche Marco Pagani
luci Matteo Crespi
regia Sara Cicenia e Riccardo Colombini

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