Lemnos. Il mito di Filottete secondo Giorgina Pi

Lemnos (ph: Federico Pitto)
Lemnos (ph: Federico Pitto)

“Volevo raccontare, insieme al mito, i campi di concentramento del Mar Egeo, una realtà che ben poco si conosce”, ci ha spiegato la regista in questa video-intervista

“Lemnos” di Giorgina Pi chiude la trilogia, dopo “Tiresias” e “Guida Immaginaria”, di un progetto che parte dal mito per andare altrove.

Lo spettacolo muove da subito su due binari paralleli che, talvolta, si incontrano. In un ambiente piuttosto buio e a palco nudo, entrando nella sala Mercato del teatro Modena di Genova, si ha l’impressione di varcare la soglia di un luogo deputato ad un concerto rock. Microfoni e aste sparse, luci a vista, grandi ventilatori, fumo, casse e cavi contribuiscono a ricreare quel contesto, mentre il fondale diventa un enorme schermo che dà il via all’inizio della performance (e al primo binario della narrazione). 

Un’auto percorre le tortuose e precarie strade di un’isola greca. Vediamo l’asfalto illuminato dai soli fari anteriori. Il mare, in lontananza, si staglia nello scuro dominante. 

In scena Ulisse e il più giovane Neottolemo, uno accanto all’altro, illuminati soltanto in viso, fronte pubblico, dialogano del ritorno a Lemnos. Stanno compiendo il percorso a ritroso, ci dice il mito che ispira la performance, per impossessarsi dell’arco di Filottete, da loro stessi abbandonato sull’isola durante il viaggio verso Troia. Senza quel prezioso strumento, donatogli da Eracle, la guerra non potrà mai giungere a compimento (a loro vantaggio).

I due personaggi sono volutamente moderni. Ulisse porta un’uniforme da ufficiale del secondo conflitto mondiale, con lustrini e medaglie, e così il suo compagno. Una prima indicazione dell’altro racconto che corre al fianco. Tra il secondo dopoguerra e i primi anni Settanta, infatti, numerosi antifascisti greci vissero il dramma dell’esilio forzato: tra loro Ghiannis Ritsos, uno dei più grandi poeti del secolo scorso. E’ lui il collante drammaturgico che fonde la storia di Sofocle con l’orrore del campo di concentramento, perché fu proprio lui, insieme ad altri, a riscrivere le tragedie in chiave moderna riuscendo a fare teatro anche in quella situazione così estrema.

Lemnos, nella visione di Giorgina Pi, diventa quindi Makrònissos, sede di uno dei più noti campi punitivi, mentre la solitudine dell’uomo-eroe Filottete viene esplosa nell’opposto. Insieme ad Eracle la regista decide di attribuire alle donne, rispettivamente Gaia Insenga e Aurora Peres, i due ruoli.

Mentre i dialoghi ci riportano le diverse riscritture del mito, l’ambientazione, i costumi e perfino i sessi dei quattro protagonisti ci restituiscono una realtà altra, molto concreta. Da un canto i due uomini, con i loro giochi di potere, sono pronti a passare su tutto per giungere alla vittoria, dall’altro le polarità femminili accerchiano senza via di scampo i disonesti intenti maschili.

L’unica voce che narra, in parallelo della storia recente, è quella dell’attrice greca Alexia Sarantopoulou. A lei è affidato, in lingua originale sovrattitolata, il racconto “altro”. E’ una figura liminale, definibile come Coro nella lettura tradizionale del mito, ma ben riconoscibile anche come frutto delle ricerche compiute dai due drammaturghi, Giorgina Pi e Massimo Fusillo, intorno alle messe in scena delle tragedie da parte dei tanti artisti greci costretti all’esilio.

La verità di Filottete, sostenuta dal suo dio, si concretizza in un intenso dialogo, quasi psicanalitico, tra l’eroe donna e la menzogna di Neottolemo, interpretato da Gabriele Portoghese. Il cambiamento interiore di quest’ultimo, in coerenza con il mito, è uno dei momenti più alti dello spettacolo.
La performance, nonostante la presenza di un buon numero di oggetti scenici, poggia saldamente su pochi confronti a due che i protagonisti attivano fra di loro, senza necessità di altro se non della forza delle parole. Lo studio storico oltre che letterario vince sulla regia e si impreziosisce, sullo schermo, di immagini e diari di un reale viaggio in Grecia. 

Unitamente alle parole di Ritsos emergono echi delle poetesse femministe Adrienne Rich e Hélène Cixous, oltre che del Premio Nobel Derek Walcott.
Degne di nota sono anche le musiche originali, riprodotte e cantate dagli stessi interpreti in scena, frutto del lavoro compositivo del Collettivo Angelo Mai e di Manos Hadjidakis

In occasione della replica genovese dello spettacolo, abbiamo incontrato la regista e realizzato questa videointervista in cui, partendo da “Lemnos”, parliamo con lei del suo teatro.

 

Lemnos 
Ispirato al mito di Filottete
Regia, video, scene Giorgina Pi
Dramaturg Massimo Fusillo
Con Gaia Insenga, Giampiero Judica, Aurora Peres, Gabriele Portoghese, Alexia Sarantopoulou
Ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai
Arrangiamenti e cura del suono Cristiano De Fabritiis, Valerio Vigliar
Costumi Sandra Cardini
Luci Andrea Gallo
Colorist Alessio Morglia
Produzione Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, TPE Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con Bluemotion e Angelo Mai

durata: 60′
applausi del pubblico: 2′ 45”

Visto a Genova, Sala Mercato Teatro Modena, il 20 novembre 2022

 

 

0 replies on “Lemnos. Il mito di Filottete secondo Giorgina Pi”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *