Un artista. Un maestro. Un poeta travestito da diavolo. Un giullare capace di portare pezzi gioiosi tra gente comune, trasformando le strade in palcoscenico. Giuliano Scabia è stato tra i maggiori sperimentatori nel teatro italiano del secondo Novecento. La fantasia febbrile che attingeva dal genere favolistico e dal filone epico-cavalleresco, lo portava a invenzioni sempre nuove con una materia antica, scomponendo e assemblando linguaggi diversi per creare un teatro popolare.
È meritevole che un omaggio a Scabia, scomparso lo scorso 21 maggio, arrivi proprio da due ex allievi del Dams che sono costole della sua poetica.
È il caso di Giulia Dall’Ongaro ed Enrico Deotti, registi e attori di Teatrino Giullare, compagnia tra le più visionarie della scena italiana.
Di Giuliano Scabia, che domenica 18 luglio avrebbe compiuto 86 anni, Teatrino Giullare ha portato nella rassegna milanese Stanze (progetto di teatro d’appartamento ideato da Alberica Archinto e Rossella Tansini, con la produzione di Teatro Alkaest), “Lettere a un lupo” e altri brani tratti dalla raccolta “Teatro con bosco e animali”. Senza essere un lavoro propriamente site-specific, “Lettere a un lupo” è una lettura immaginifica che si adatta perfettamente al contesto della rappresentazione, il giardino del Centro Artistico Alik Cavaliere.
Siamo in via De Amicis, a pochi passi dai Navigli, tra S. Ambrogio e le Colonne di San Lorenzo. Il luogo spettacolare fu sede dello studio di Alik Cavaliere (1926-1998), scultore, docente e direttore dell’Accademia di Brera. Cavaliere creava labirinti surreali manipolando materiali come ceramica e terracotta, cemento-legno, bronzo e altri metalli. Realizzava soggetti animali e vegetali con un abbrivo dadaista, che oltrepassava indagando il proprio sé più intimo. Usava plastiche, stoffe, carte, fotografie, acqua e colori, e poi porcellane, vetri, ingobbi, specchi e materiali di recupero. Saldava la materia con le parole, sbalzava la musica con la luce, ed è lo stesso approccio di Teatrino Giullare ai testi di Scabia.
Nell’ala di questo convento seicentesco che era lo studio di Cavaliere, c’è un giardino dove gli alberi di frutta veri si mescolano a quelli scolpiti. Tra questi alberi, i testi di Scabia sono letteralmente trasformati in fiocchi, fiori di carta appesi ai rami, fogli accartocciati come frutti. Deotti si avvicina che sembra Eva nell’Eden. Si lascia tentare da queste prelibatezze. Le coglie e le gusta insieme con noi.
Inizia la danza delle parole. Eva è una Cappuccetto Rosso redenta. Come san Francesco, dialoga con il lupo: sono rivolte al lupo quelle parole bonarie dei fogli; ciascuna è una lettera, attraverso cui si stabilisce con l’animale un dialogo confidenziale e psicanalitico.
Il mittente sta dalla parte del destinatario. Verrebbe da dire che lo umanizza, se l’umanizzazione non fosse sminuente, giacché il lupo è collocato in una sfera trasognata e ideale, mentre l’uomo è degradato a cacciatore crudele e cruento. Ogni lettera è un addentrarsi nei misteri della natura, nell’ignoto selvaggio, nella grazia sfuggente di un animale solitario che è allegoria della fragilità minacciata dall’uomo.
Frammenti. Apparizioni e sparizioni. Suoni di campanelli di bicicletta o di gong, a puntellare un dialogo di bracconieri e di animali predatori derubricati a prede. Un senso di giocondità smemorata, d’ilarità fanciullesca, caratterizza le domande del protagonista al lupo, in un climax di confidenzialità troncato da una protervia umana rosso-sangue.
“Lettera a un lupo” ha qualche appendice. Entra in scena anche Giulia Dall’Ongaro nella “Tragedia di Roncisvalle con bestie”, che è una sarabanda di animali mescolati agli uomini, preoccupati della fantomatica guerra degli umani. Qua c’è la volpe e il cervo, là c’è la lepre e l’orso, e poi farfalle e mosche e api. Diverte il punto di vista degli animali sugli uomini.
I due attori si ritrovano a meraviglia nelle onomatopee del testo. Paratassi e ripetizioni creano un mondo favoloso, da sedurre anche i bambini. Gli attori giocano con i rami degli alberi su cui già Cavaliere aveva piazzato le sue minisculture. Dall’Ongaro e Deotti assomigliano ai bimbi che si divertono con i soldatini, e li fanno inerpicare sui rami quasi fossero veri. Si trastullano come vecchi cantastorie tra suoni metallici o di carillon, mentre narrano la guerra attraverso uova di quaglia schiacciate, e fragole, mirtilli e lucertole maciullati.
Teatrino Giullare coglie l’intento scherzoso di Scabia, che castigava la retorica bellica con un mix tra commedia dell’arte e lauda medievale, posando lo sguardo sornione su personaggi scalcinati e perdenti.
Il gioco del testo e degli attori è nella molteplicità di atmosfere e toni, nella capacità di armonizzarli, amalgamando gli estremi di una lingua a volte pedestre, a volte aulica e libresca.
È un teatro naïf solo all’apparenza. Dietro la patina ingenua c’è raffinatezza intellettuale e un’attenta documentazione. C’è la capacità di oltrepassare la superficie, e di scovare bellezza e armonia dove uno sguardo sterile troverebbe solo volgarità e grigiore.
Teatrino Giullare continua ad agitare i sogni del maestro. È il merito più grande di questo lavoro.
Le “Lettere a un lupo” saranno lette anche nelle Giornate Teatrali di Colle Ameno (Sasso Marconi – Bo) il 25 e 26 settembre.
LETTERE A UN LUPO
di Giuliano Scabia
con Giulia Dall’Ongaro ed Enrico Deotti
un omaggio del Teatrino Giullare alla straordinaria figura di Giuliano Scabia
realizzazione specifica per Stanze
durata: 1h
applausi del pubblico: 2’ 30”
Visto a Milano, Centro Artistico Alik Cavaliere, il 28 giugno 2021