Esistono ossessioni nella vita di ciascuno di noi. In quella della compagnia Fanny & Alexander quest’ossessione si chiama Lyman Frank Baum.
A più di dieci anni di distanza da “Him“, “Emerald City” e “Kansas“, e dopo aver attraversato tutti e quattro i punti cardinali (facendo portare a casa a Francesca Mazza anche un bel premio Ubu per “West“), Chiara Lagani viene catapultata al Café Müller di Torino – forse scaricata qui dalle scimmie volanti, forse battendo tre volte i tacchi – scegliendo di proporre al pubblico del Festival delle Colline Torinesi un reading poliedrico, con lacerti di narrazione cavati dalla monumentale (ma ancora troppo inesplorata) saga di Oz, da lei recentemente tradotta per i Millenni di Einaudi: un mondo – quello creato all’alba del Novecento da Baum – traboccante di colori e di modernità, di magia e di ruvidezza, di bizzarrìe e di dolore.
La mise en éspace (in arrivo a Cesena domenica 10 giugno) diventa vera e propria fabula teatrale, grazie anche al ritmo cadenzato e mai monotono della voce dell’attrice, cinta in un elegante abito blu. Impeccabile il “paesaggio sonoro” curato a quattro mani da Mirto Baliani e Vincenzo Scorza, che rendono possibile ad esempio al Leone esprimersi con un certo naturalismo.
Le arcinote vicende del ciclone e di Dorothy Gale, del cane Toto e del mago impostore si mescolano a quelle di personaggi più umbratili, quantomeno per noi italiani: le storie favellate di Testadizucca, della gallina Billina e di “Lady Woodman” (la bella dell’uomo di latta, per intenderci) invadono il palcoscenico, mentre alle spalle della pluriabitata protagonista si stagliano le delicate raffigurazioni di mano dell’illustratrice Mara Cerri, una John R. Neil 2.0.
Fra tutti, il frammento più affascinante è quello che vede come protagonista Lady Ev, al secolo la bisbetica regina Langwidere, una collezionista di teste che cambia spesso volto, maschera, senza mai mostrarsi per come in realtà è. Una perfetto esempio di trasformismo ante litteram che profuma di attualità politica.
Di fronte alla Lagani, un tavolo quasi spoglio, provvisto solamente di qualche oggetto di scena: come un vetro convesso utile a dilatare grottescamente il volto dell’attrice quando questa assume la parte del mago, presentatosi a Dorothy sottoforma di testa fluttuante; sulla sinistra, le iconiche scarpette (nel dubbio, di rubino e d’argento). Infine, al centro, il volume edito, posto là a mo’ di Sacra Scrittura.
E in effetti la saga fu fin da subito un classico del canone nordamericano, tanto che oggi – accanto ai quattordici romanzi d’autore compresi tra il “Wonderful Wizard” e “Glinda of Oz” (composti da Baum nell’arco di un ventennio, tra il 1900 e il 1920) – si situa un numero pressoché incalcolabile di apocrifi e riscritture.
«I libri di Oz – scrive la Lagani – sono una piccola enciclopedia di temi celebri. Si potrà di volta in volta parlare di mito, di storia, di sistemi politici e costituzioni fantastiche». La trad-attrice nutre però nel contempo anche forti interessi geografici: sfoggiando una dettagliatissima pianta di tutta Nonestica, ne dà pubblica lettura. La chiave di volta per intenderla è una soltanto: ad Oz si può arrivare in tanti modi (per lo più bruschi). Ma non è importante come ci si arrivi. L’importante è arrivarci. E stupirsi della sua fantasmagorica bellezza: «Definitely not Kansas!», commenta trasognata Judy Garland.
Un recital godibile e a tratti piacevolmente “notturno” che, senza esasperare o esasperarsi, stuzzica la fantasia dello spettatore, strappando all’occasione anche qualche sorriso.
I LIBRI DI OZ
di e con Chiara Lagani
regìa Luigi De Angelis
testi di Frank Baum tradotti da Chiara Lagani per I Millenni di Einaudi
illustrazioni Mara Cerri
paesaggio sonoro Mirto Baliani
animazioni video Luigi De Angelis
produzione Elastica, E/Fanny & Alexander
presentato in collaborazione con Giulio Einaudi Editore
durata: 50′
applausi del pubblico: 2” 30′
Visto a Torino, Café Müller, il 3 giugno 2018