Life di Brioschi / Spanò: Ulrike Meinhof e Roberto Peci allo specchio

Life (photo: Giovanni Chiariot)
Life (photo: Giovanni Chiariot)

All’Elfo lo spettacolo vincitore di Artefici / Gorizia FVG 19 ripercorre il terrorismo di sinistra degli anni ‘70

Due vite allo specchio. Una donna e un uomo che, come altri loro coetanei intorno agli anni Settanta, pensavano di costruire il paradiso in terra attraverso la lotta armata: crearono solo scie di sangue e tragedie familiari. Pagarono a loro volta un prezzo esorbitante per i propri errori, con il carcere o con la morte.

“Life”, spettacolo di Emiliano Brioschi, interprete in scena con Cinzia Spanò all’Elfo Puccini di Milano, mette allo specchio le vite di Ulrike Meinhof e di Roberto Peci.
Ulrike Meinhof, socialista e giornalista, fu trovata suicida il 9 maggio 1976 nella prigione di Stammheim a Stoccarda, dov’era reclusa. Faceva parte della sinistra antagonista tedesca che voleva cambiare l’assetto della società attraverso la lotta armata. Il suo gruppo terroristico, Rote Armee Fraktion (Raf), diffuse terrore e morte in Germania Ovest per quasi un decennio.

Roberto Peci era invece fratello del brigatista rosso Patrizio. Patrizio fu arrestato nel febbraio 1980 dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; si dissociò dalle BR e divenne collaboratore di giustizia. Per ritorsione, le BR rapirono Roberto il 10 giugno 1981. Roberto fu ucciso cinquantacinque giorni dopo, con undici colpi di mitra, in seguito a un processo farsa inscenato da un fantomatico “tribunale del popolo” ordito da Giovanni Senzani. L’interrogatorio e la sentenza di condanna furono ripresi da una rudimentale telecamera. Il rituale macabro anticipò le famigerate esecuzioni dei fondamentalisti islamici dei nostri anni.

Sogni infranti. Ragionamenti e deliri. Ulrike Meinhof si ispirava alle azioni di guerriglia urbana dei Tupamaros uruguaiani. Nelle Brigate Rosse italiane era individuabile una qualche sinonimia con la Raf tedesca. I giornali dell’epoca parlarono di “internazionale del terrore”. Raf e BR sostenevano la lotta di classe. Proprio all’emancipazione del proletariato mirava Patrizio Peci, la cui storia qui è percorsa in filigrana attraverso la testimonianza di Roberto.

Nella Sala Bausch dell’Elfo di Milano la scena è demarcata in due parti simmetriche, due perimetri rettangolari. Sono spazi ridotti, superfici bianche che evocano i contorni asettici delle celle. Sono pagine di una nuova storia mai scritta, bozze accartocciate di una rivoluzione abortita. Intorno, sempre nella scena, tracce di rosso: due sedie, uno striscione con la stella a cinque punte e slogan di guerriglia già all’epoca patetici e anacronistici.

Cinzia Spanò colpisce per la sua capacità di dare spessore al personaggio di Ulrike, al suo idealismo puro e degenerato. Sul pavimento, una macchina per scrivere rossa, e fogli A4 plastificati, anch’essi rossi. Capelli corti come Sophie Scholl, eroina della Rosa Bianca (1942-43), Ulrike ripercorre la propria biografia segnata dalle azioni di lotta e dalla detenzione. Il suo viso è grigio, sfatto, emaciato; sguardi glaciali, occhi allucinati, febbrili, insonni. Ulrike cerca nello spazio antistante punti da guardare all’infinito. Ulrike resetta i sentimenti, sembra un automa. I fogli rossi, segni di vite ridotte a brandelli, si spargono sul pavimento: «Hai la sensazione che il tempo e lo spazio siano inscatolati l’uno nell’altro […] la sensazione che ti abbiano strappato la pelle».
Anche il cuore di Ulrike è logoro, sfrangiato. Si ricompone nella riscoperta dell’amore di figlia e di madre. Le sue parole sono atto di ribellione, reazione al grigiore del carcere, rivolta all’algore degli aguzzini. Nella coscienza del fallimento, Ulrike torna all’essenza schietta e fragile dell’anima: «Vorrei spingere via il cielo / Guardare verso l’alto / Allungare le braccia / Vorrei spingere via il cielo».

Alla sua sinistra, Emiliano Brioschi dà sembianze a un Roberto Peci immobile, seduto, incappucciato. Lo spettacolo è un rimbalzo tra la fierezza di Ulrike che si spezza ma non si piega, e l’annichilimento imbalsamato di Roberto. Che si esprime attraverso il filmato che ne immortala l’interrogatorio delle BR, e riempie la parete di fondo. Forse sarebbe bastato trasmettere lo sbiadito e tremante filmato originale. Ma Brioschi, con la sua interpretazione, rende più nitide le emozioni di Roberto (e in controluce quelle del suo carceriere, Roberto Buzzatti, la cui voce è commento fuoricampo) in un abbozzo introspettivo esteriorizzato attraverso i gesti delle mani sul volto, sui capelli, sulla pelle madida di sudore e tormento.

Un rimbalzo di monologhi scanditi dalle luci di Claudine Castay. Il paradiso, l’abisso. “Life” è l’intreccio di due solitudini. Volti dimessi, idealismi spezzati. Etica insana, e morti incomprensibili: quella di Roberto Peci fu un vero e proprio assassinio che svalorizzò ulteriormente la strategia eversiva delle BR anche agli occhi della Sinistra extraparlamentare.
Epilogo di due vite. Fine di due movimenti e di una strategia. Indagine sull’insolvenza di una generazione figlia, nata orfana, del Sessantotto.

“Life” trasmette un senso di smarrimento e di vuoto, che la finzione del teatro, la bravura degli attori (Spanò è maiuscola) e le profondità di un testo intriso di luci soffuse riescono a colmare.
Nel rito catartico dell’arte si rinnova un bisogno di spiritualità. “Life” è denuncia e poesia. Come il brano rock di Nick Cave (“Push the sky away”) dei titoli di coda, “Life” scorre in un unico respiro, dentro una lunga preghiera notturna che è attesa di un’alba ancora di là da venire.

LIFE
di Emiliano Brioschi
regia Emiliano Brioschi
con Emiliano Brioschi e Cinzia Spanò
luci Claudine Castay
audio e video Elvio Longato
produzione Brioschi/Spanò – in collaborazione con a.ArtistiAssociati – Artefici Residenze Creative Friuli Venezia Giulia
vincitore Artefici / Gorizia FVG 2019 – Finalista “Dante Cappelletti 2019”- Menzione Speciale Giuria Popolare “Dante Cappelletti 2019”

durata: 1 h 30’
applausi del pubblico: 2’ 30”

Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 16 febbraio 2022

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